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MA SANNO PER CHI GIOCANO?

Gianni Clerici, superbo giornalista del tennis, quand’è costretto a commentare partite senza storia trova spesso geniali escamotage. Ricordo un’intera pagina di Repubblica in cui si soffermava con immensa scrittura sulle gambe di una tennista e sull’armonia del loro movimento sul prato inglese. La cronaca del match? Due-righe-due in fondo.

E che vuoi dire della Caporetto di ieri sera? Nulla nello specifico. Il discorso è più generale: il Verona da qualche anno a questa parte perde male le partite più importanti per i tifosi (eccezioni il Milan alla prima, il derby di ritorno e il pari con la Juve nella scorsa stagione). Attenzione, ho scritto “perde male”, non “perde”. La differenza non sta solo in un avverbio, è – se mi permettete – filosofica (filosofia applicata al calcio, of course). Perché il tifoso del Verona mai ti rimprovererà se perdi, il punto è come perdi. C’è modo e modo e non è un bel modo il 5 a 1 di Napoli del 18 maggio scorso e nemmeno il 6-2 più recente sempre al San Paolo. O, ancora con il Napoli, lo 0-3 di un anno fa in casa. Per non star lì a riaprire la ferita dei due derby: quello del novembre 2013, cartina di tornasole di una settimana di effusioni mediatiche tra i tesserati delle due squadre, e l’ultimo prima di Natale giocato con svagatezza. O l’1-3 con il Milan. E, tornando alla scorsa stagione, potremmo parlare della barbina figura con l’Inter in casa. Ora siamo qui a commentare il cappotto di ieri sera.

Il Verona, per storia e tifoseria, è uno dei club più identitari d’Italia. Ora, io capisco che viviamo in un calcio malato di marketing e cinismo, dove i colori sociali sembrano non contare più, dove i calciatori vanno e vengono peggio che in una stazione, le partite sono tutte uguali e il tifoso è visto solo come consumatore. Capisco pure che chi parla di identità e spirito d’appartenenza oggi viene ormai trattato alla stregua di un matto naif da lasciare nel suo brodo di retroguardia. Capisco, ma non mi adeguo e, lasciando perdere il mondo pallonaro nel suo insieme, vorrei che chi lavora per la squadra per la quale tifo e della quale ho il privilegio di scrivere, sappia che opera innanzitutto per una città e per tante persone che tifano, soffrono, cantano, spendono tempo, sentimenti e soldi. Quindi sotto di nuovo con la Juve e basta figure da cioccolatai.

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