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CONTRASTI AL BENTEGODI

Contrasti al Bentegodi. Spazi deserti sugli spalti, eppure là in curva mai come questa volta cantavano incessantemente. L’ecumenico Corini vestiva da prete e passeggiava, tanto nervoso quanto impeccabile, con le mani in tasca; pochi metri più in là lo “spettinato” Mandorlini si sbracciava, sbuffava, imprecava. Al suo fianco in panchina si mostravano Sogliano e Setti, figure di una società che sta colmando piano piano anche l’unico gap rimasto intatto sinora, cioè la distanza dai tifosi e dalla storia del Verona (in questo quadro va vista la riapertura dell’antistadio e anche, perché no, la scelta di regalare il biglietto con l’Udinese ai paganti di ieri, adesso manca il tassello di riconsegnare i colori storici alle maglie e di riappropriarsi di scale e mastini anche per la campagna abbonamenti al posto di stravaganti opliti). In tribuna invece si annidava e masticava amaro Campedelli che, alla resa dei conti, piange sia per l’incasso che per il risultato.

Che diceva quel vecchio proverbio? Chi la fa l’aspetti, uno a zero e palla al centro (in attesa del prossimo derby, perché probabilmente il Chievo si salverà). Se da un lato c’è un club centenario, con uno scudetto e un popolo dietro, resistenza old style ai tentacoli impalpabili ma soffocanti del calcio moderno, dall’altro troviamo una società che ai tempi del “miracolo” perse l’occasione della vita, quella di identificarsi e identificare, di creare e accrescere un suo popolo, di sviluppare un suo marchio antropologico, e che adesso orfana di pathos vive socialmente di riflesso e probabilmente soffre il ritorno dell’Hellas a certi livelli.

Contrasti anche in campo, e non mi riferisco ai tackle, ma all’andamento musicale della partita. Il vecchio gioco del gatto col topo. Primo tempo d’assaggio, col Verona un po’ sulle sue, ma già superiore sul piano delle occasioni (due nitide). Crescendo rossiniano nella ripresa, quando si è svegliato quel mezzo indio terribile, un po’ paraguaiano e un po’ argentino, di Iturbe. L’Hellas ha alzato vertiginosamente il ritmo, facendo impazzire il sottoscritto anche su facebook (“lo facciamo ‘sto cazzo di gol?”, sono stato accontentato dopo trenta secondi, credo) e siglando la rete della vittoria con un bellissimo gesto tecnico di Toni (alla faccia di chi dice che non è agile). Vittoria meritata e gioia, perché – checché se ne dica – questa non era una partita come le altre e si percepiva dalle facce felici di tanti tifosi alla fine. In loro un retrogusto sarcastico di rivincita, un sentimento di rivalsa a fronte di tante (troppe) cose accadute in questa decade.

Mandorlini, uomo molto attento alle sfaccettature della piazza, sembra averlo capito. La sua dedica a chi è rimasto a casa va in questa direzione. Avevo scritto a suo tempo dell’autogol di Campedelli, che alzando i prezzi avrebbe anche alzato la tensione agonistica della partita. E lo spirito, l’atteggiamento in campo e anche le parole del mister a fine partita mi confermano che un surplus di motivazioni Maietta & C. devono averlo avuto anche per la tanta gente di Verona e del Verona. Un plauso.

Nel frattempo ci stiamo riappropiando anche di una classifica che ci compete, adesso si tratta di porsi l’obiettivo dell’ottavo posto, quello più realistico. Mandorlini, uomo che per rendere al meglio ha bisogno del senso della sfida, della pressione e dell’ambizione, sa che riuscendoci firmerebbe il miglior risultato del Verona in serie A, Bagnoli a parte. Chi lo ferma più? Avanti.

 

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