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QUELLA SFIDA ESISTENZIALE DI PECCHIA E GIOCATORI…

La bellezza dell’epicità si può cogliere anche in un campionato – quello del Verona – che appare viziato dall’ovvio di un dominio sinora assoluto (leggasi al riguardo il mio articolo del 30 ottobre “L’ovvio non ucciderà il godimento”). Si coglie ad esempio nel sabato di La Spezia, che assume contorni gloriosi perché l’Hellas ha giocato più partite in una nel catino bagnato eppure bollente del Picco – uno di quegli stadi affascinanti nel suo passatismo vintage, con un pubblico vero nei suoi smoccoli e con le sue imprecazioni, ben lontano da certi contesti preteschi, asettici e dai vuoti echi che pure questo calcio del nuovo millennio ci ha consegnato. Il resto forse l’avranno fatto la pioggia, i ritmi vertiginosi della partita, il suo andamento più contorto e vissuto di quanto dica il risultato.

A me è piaciuta molto la gestione della sofferenza iniziale. Il Verona è stato intelligente, cioè sornione e ordinato in consapevole attesa del colpo vincente. A Benevento, per dire, non era accaduto e in quella circostanza l’atteggiamento ottusamente spregiudicato fu la causa dell’espulsione di Caracciolo e della sconfitta. Il prosieguo è stato un crescendo rossiniano, con il Verona che ha sprigionato tutto il suo talento e la sua personalità. Mi direte, e qui dove sta la novità? Risposta: nella forza quasi imbarazzante con cui questo è avvenuto, una forza ancora più significativa delle altre volte, per il valore dell’avversario e per il contesto ambientale (stadio, e pioggia e campo pesante), una forza da cecchini freddi e risoluti, senza concessione ad alcuno spreco di energia. In altre circostanze avevamo ammirato un Verona bello e vincente, ma anche civettuolo, narcisista e accademico. A La Spezia registro un salto di qualità: all’estetica si è accompagnata una concretezza totalitaria e una capacità di lettura della partita (anzi delle tante partite in una) chirurgica.

Il dominio assoluto rischia di nascondere una finezza, meglio, un dettaglio che tuttavia i più acuti osservatori avranno certamente colto: l’Hellas, i suoi giocatori e il suo allenatore stanno ancora studiando, crescendo e migliorando. Stanno giocando su loro stessi e i loro limiti, sfidandoli. All’obiettivo agonistico – cioè vincere il campionato, o quantomeno risalire in serie A – accompagnano un obiettivo più esistenziale: costruirsi e costruire per loro stessi un futuro ai più alti livelli. Dovessero riuscirvi, Setti avrebbe l’obbligo di ripartire da lì per non disperdere e consegnare ad altri il frutto di questo percorso.

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