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OFFENSIVISMO (TEMPERATO)

Nulla è peggio delle “belle sconfitte”. Sanno di beffardo bacio della morte, del “restiamo amici” dell’amante che se ne va; ti lasciano l’amaro retrogusto di un affetto impalpabile e si congedano con la fredda gentilezza dei sospetti (troppo sospetti) complimenti di circostanza. Il Verona 15 giorni fa ha lasciato Benevento così, con l’eco mediatico della “bella sconfitta”, per il gioco mostrato, per l’alibi dell’espulsione ecc..

Sembrava fosse tutto frutto del caso, o della sfiga, un’ingiustizia bella e buona per il “bellissimo” Verona delle trame, dei fraseggi e del possesso palla. E invece mai KO fu più meritato, e Pecchia – al di là delle dichiarazioni pubbliche – se n’è accorto modificando qualcosina e rimettendosi intelligentemente in discussione. Parlo di atteggiamento e di dettagli, non di filosofia di fondo, né di moduli o di uomini. Il Verona di Benevento era una squadra apparsa presuntuosa e fin troppo spavalda, direi monotematica e unilaterale nel suo voler sempre e comunque attaccare. Il Verona di ieri invece, pur mantenendo l’identità pecchiana del gioco e della qualità, è stato una squadra più pragmatica e universale nella gestione della partita, mostrando anche di sapersi adattare all’avversario, di lasciarlo sfogare, di saperlo studiare e dunque infilare.

“La storia insegna che le rivoluzioni non si conducono lancia in resta, ma necessitano di fine razionalità nella strategia. Sognatori nell’obiettivo, pragmatici nell’azione” scrivevo dopo Benevento nel pezzo ‘L’Ayatollah Pecchia sogna la rivoluzione ma…’. E concludevo: “Il ‘bel gioco’ aiuta a vincere (e a riconciliarsi col calcio) ed è anche educativo, perché afferma l’idea (poco italiana) che si vuole primeggiare perché si è più bravi e non più furbi. Pecchia difenda e porti avanti il suo calcio, ma un avvertenza non guasta: il bel gioco non basta in serie B, è condizione necessaria ma non sufficiente”. Con quelle parole paventavo il rischio talebanismo, temevo  una squadra tanto generosa nei confronti del gioco d’attacco, della platea e dell’estetica quanto prevedibile per gli avversari (e dunque vulnerabile).

Ma ieri così non è stato, anzi. A Telenuovo ho definito quella con il Frosinone una vittoria intelligente: sognatori nell’obiettivo (segnare, vincere e convincere), pragmatici nel metodo (sapersi adattare, se richiesto, anche al contesto e all’avversario). Si chiama offensivismo temperato: è la strada da seguire.

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