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SETTI SFIDA VERONA

Prima di tutto è una sfida alla logica e al buon senso. Se dopo una gara come questa non tenti nemmeno la carta disperata dell’esonero del tecnico significa che non hai voglia di salvarti. E Setti, diciamocelo francamente, ha venticinque milioni di buoni motivi per andare in serie B. E poi è una sfida aperta alla città intera. Che ieri ha assistito impotente e attonita all’ultima farsesca sconfitta che era stata preceduta dall’ultima farsesca dichiarazione del presidente proprio alla vigilia del match contro il Crotone: “Bisogna essere positivi”. “Concordo” ha detto qualcuno della claque che accompagna Setti in queste penose celebrazioni.

Come se la colpa fosse sempre degli altri. Colpa degli infortuni (ricordate due anni fa?), della pioggia, dei giornalisti cattivi, dei tifosi. Colpa di tutti, mai della propria incapacità. Tre anni fa il Verona era un modello di organizzazione. Setti ha spazzato via tutto, si è legato alle mele marce e da allora non ne azzecca più una. Due anni fa, isolatamente denunciavo tutto questo, denunciavo ironicamente il silenzio dei tifosi mentre avveniva la catastrofe, venendo al solito attaccato. Qualche cretino che resiste ancora, in mezzo ad una marea di grandi tifosi e amici che mi hanno sempre dato il loro appoggio contando sulla mia infinita libertà di pensiero e indipendenza.

Una serie di errori infinita, di cui questo non sarà l’ultimo capitolo. Setti non ama Verona, non l’ha mai amata. E’ venuto con la spocchia di sprovincializzarci, ha calpestato persino la storia della società, ignorandola. Ha cambiato i colori, ha parlato di modelli che non poteva mantenere. Ora, forse accecato dalla presunzione, prende una strada precisa per dimostrare al mondo di avere ragione. E’ lui e non Pecchia il responsabile, mi dispiace e chi non vuole capire questo messaggio è in evidente malafede.

Pecchia (e con lui Fusco) sono una conseguenza di queste scelte, tutte sbagliate. Setti sfida Verona tenendo Pecchia, ma perderà anche questa partita. Il problema è che la perderemo tutti noi che assistiamo impotenti a questo teatro che ha già nel suo dna tutti i geni che portano ad una veloce disfatta.

Ma poi, amici miei,  è al nostro interno che dobbiamo interrogarci: è Verona che si deve chiedere cosa fare dell’Hellas Verona. Il nodo è tutto lì. Finché lasceremo la nostra amata Scala nelle mani di modenesi, carpigiani, vicentini non potremo mai essere pienamente a posto con la nostra coscienza.

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