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CIAO ALBERTONE

“Quello per cui ho sempre ammirato Alberto Bucci era la straordinaria sintesi che aveva raggiunto tra la sua esperienza umana e la sua professione di coach. L’uomo era il coach, con lo stesso coraggio contro le avversità, la stessa incrollabile fede che lo spirito avrà sempre la supremazia sulla fragilità del corpo, l’impegno di condividere con i suoi la sua passione per la vita. I suoi giocatori hanno avuto da lui il più importante schema per la vittoria, quella su se stessi”. (Valerio Bianchini)

Il ricordo di Alberto Bucci resterà sempre legato in modo indissolubile al trionfo in Coppa Italia. Un mese dopo il coach bolognese avrebbe guidato Verona alla prima promozione in A1, ma l’impresa del 21 febbraio 1991 a Bologna è rimasta unica e irripetibile: nessuno potrà mai eguagliarla. Di quella serata magica mi è rimasta impressa l’immagine di Alberto che – mentre tutta la squadra è in preda all’esaltazione – si avvia con la sua andatura caracollante ad abbracciare un amico nel parterre del Paladozza.

Ma ci sono anche ricordi più intimi. Bucci aveva firmato con la Scaligera ben prima di sfiorare lo scudetto 1989 con Livorno: contratto triennale da 300 milioni all’anno. Nella prima stagione la Glaxo, dopo il doppio cambio di americano Bailey-Michael Henderson-Stokes, chiuse al terzo posto, lasciando la promozione diretta a Torino e Trieste. Poi nei play-out si sarebbe arresa nello scontro decisivo al Palaverde con la Benetton. All’ultima giornata della regular season a Brescia, ininfluente perché i giochi per la promozione erano già fatti, nel dopo gara Albertone, già irritato per il risultato, ci chiese i risultati delle altre partite. Lì per lì non fummo in grado di darglieli, così lui ci apostrofò “che grezzoni che siete a Verona!”. Da allora, con il mio vezzo di dare un soprannome a tutti, Bucci diventò “il Grezzone”, ovviamente in modo affettuoso, utilizzato anche da qualcuno con cui avevo più confidenza nello staff, anche naturalmente se mi guardai bene dall’utilizzare il nickname nelle telecronache…

Chi ha conosciuto bene Alberto Bucci sa che era più severo e duro, con se stesso e con gli altri, dell’immagine che dava all’esterno, ma ovunque dove ha lavorato ha lasciato un profondo segno umano. A Verona pensava – un po’ come il suo predecessore Dado Lombardi – che dovessimo essere “educati”, cestisticamente parlando, a maggior ragione da uno che arrivava da Basket City. Perciò si lasciava andare in lunghi sermoni con i giornalisti. Finché, forse per stemperare la tensione della prima stagione che non andava al massimo, decise che a tavola i rapporti si sarebbero chiariti meglio. Così, con Stefano Alfonsi e me, andammo a pranzo. Quando toccò pagare a noi due, scegliemmo una buona ma normale trattoria del centro. Quando toccò a lui e ci disse di prenotare dove volevamo, un po’ perfidamente puntammo su un ristorante stellato che gli costò un occhio della testa.

Nella stagione trionfale, quando la Glaxo fu definita “la diciassettesima squadra di A1” (e senza l’infortunio a Russel Schoene nei playoff probabilmente ci sarebbero state delle sorprese), decise di chiudere con un anno di anticipo il rapporto con la Scaligera. Aveva capito subito che la Glaxo, con l’uscita di scena di Mario Fertonani, avrebbe ridimensionato l’impegno. Un giorno mi arriva la soffiata che Bucci sta trattando con Pesaro. Mi sembra impossibile, Verona aveva appena vinto la Coppa e stava dominando il campionato, però, fatte le opportune verifiche, diamo la notizia. Il giorno dopo all’allenamento (beati i tempi in cui tutti i giorni andavamo al palazzo…), appena mi vede Alberto dice: “Socmel, non si può neanche andare da Scavolini per comprare una cucina e subito lo sa mezzo mondo!”. Una bugia che confermava tutto.

A Verona lo abbiamo rivisto da presidente della Virtus, già segnato dalla malattia contro la quale ha lottato con la proverbiale tenacia. E’ stato l’allenatore della stella della Virtus, a Bologna ha vinto altri due scudetti. Ha allenato la Nazionale Over, vincendo anche lì. In queste ore non si contano i messaggi di ex giocatori, colleghi (su tutti quello magistrale di Valerio Bianchini), dirigenti, tifosi, anche avversari. Perché Alberto Bucci si era guadagnato soprattutto il rispetto di tutti. Ti sia lieve la terra.

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