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Dire, fare, baciare, lettera, testamento…

E’ il gioco, tra bambini, più vecchio che io ricordi per comunicare cose “imbarazzanti” (positive o negative) tra le classi popolari.
Quelle più borghesi avevano altre modalità.
DIRE:
Avevo una bella dizione, la maestra mi insegnò ad impostarla.
Mi dissero che sarebbe stata la mia fortuna, che avrei fatto “l’avvocato”.
Per carità così non fu, sono stato abbastanza fortunato ma non per la dizione.
La svolta avvenne quando capii la differenza che c’era tra il DIRE ed il COMUNICARE: un abisso.
Oggi siamo nel mondo dei “dicenti” e dei (mal) “comunicanti”.
Siamo sommersi da un effluvio di parole in libertà, che tanto si possono smentire, l’infausto companatico di quel pan-dicente è lo scarso Pensiero.
Io sono ancora fermo a “Le parole sono Pietre”, mi sento sempre più fuori gioco, ma non me ne do la minima pena.
Quella la provo per coloro che sono a venire o che sono già sula strada.
FARE:
E’ complicato, il fare connesso e consequenziale al dire è ormai un’impresa titanica.
Faccio quelo che mi pare è diventato l’urlo di battaglia generalizzato.
Una sorta di rito di chi si è sentito spesso incatenato (a torto o a ragione).
Quindi Jim Morrison sbagliava quando in “Light my fire” riteneva che la gente “amasse” le proprie catene e che esse davano loro sicurezza.
Jim Morrison, gran sciamano, un interprete del suo secolo, ma non un filosofo, e neanche un sociologo.
Amen.
BACIARE:
Bello, bellissimo, mi è sempre piaciuto così tanto che non ricordo nemmeno il primo bacio, tanto ero concentrato sul secondo, il terzo, il quarto, e quelli a venire.
Sono stato un buon baciatore, ma come tutti i popolani (seconda razza dannata dopo i cortigiani), non l’ho mai fatto in pubblico.
Intimamente privo, per me, del comune senso del pudore, ho per l’appunto avuto sempre attenzione di non offendere quello altrui.
E se qualche volta ho mancato, ho chiesto scusa.
Un’atto, quello dello scusarsi, in via di irreversibile atrofia.
Tra non molto, quando lo si troverà in qualche manoscritto (o in una clip), ci sarà una didascalia esplicativa che dirà: “rito privo di significato reale, in uso tra le genti del XX° Secolo, restò per breve tempo un atto “formale” di coercizione punitiva, poi con disinvoltura si estinse”.
LETTERA:
L’ultima che ho ricevuto, circa otto anni fa, la conservo ancora.
Ogni tanto, come un vecchio coglionazzo, la rileggo ancora, non dico che mi commuovo, ma siamo lì lì.
TESTAMENTO:
Quello materiale non posso farlo perchè manca il “contendere” mancando il “conquibus”.
Avere la pretesa di lasciarne uno “morale” è troppo, anche per me.
E poi sono un po’ come Roy Batty, il terzultimo Replicante di Blade Runner (Rick Deckard e Rachel gli ultimi), il quale, sebbene amareggiato, lascia i suoi ricordi e le sue esperienze alla pioggia, succedaneo metaforico delle lacrime.
Tutto qua.

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