Era il 1994 quando dissi che chi tifava per una squadra non poteva tifare anche per l’altra. Mi riferivo, naturalmente al Chievo e al Verona. Sono stato spesso attaccato per questa mia posizione. E’ assurdo, si diceva, che in una città come Verona, si crei una rivalità di questo tipo. Io ribattevo: guardate che è lo sport, è la bellezza del calcio. E lo sport e il calcio è fatto anche di sconfitte. Non si può accettare solo la cultura della vittoria. Mi ricordo benissimo che qualche fenomeno mi diede anche del fomentatore. Solo perché ribadivo il fatto che chi tifava Verona non poteva farlo anche per il Chievo. E se uno era veramente un tifoso doveva scegliere: o seguiva una squadra o l’altra. Certo, poi esiste anche lo “spettatore”: ma qui siamo in un’altra categoria. C’è chi va allo stadio solo per assistere ad uno spettacolo. Come andasse al circo. Ma questo “prototipo” non m’interessava. Trattasi per lo più di gente che va allo stadio quando il biglietto costa meno di un euro e solo in occasione di avvenimenti eccezionali (finali, feste scudetto, partite che valgono una promozione).
In questo mio discorso sono sempre stato coerente: ho sempre tifato per il Verona ma ho sempre ammirato il Chievo. Due piani diversi. Per tanti versi, e l’ho sempre detto, Campedelli rappresentava il non-plus-ultra del presidente. Appassionato, capace, intelligente e onesto. Purtroppo a noi del Verona uno così è terribilmente mancato. L’anno scorso, poi, la mia ammirazione nei suoi confronti è esponenzialmente aumentata. E’ successo che anche il Chievo, infatti, dopo tanti anni di vittorie, abbia perso. E’ crollato in serie B. In maniera anche ingiusta e inaspettata. Ma è stato proprio in quel momento che questa società ha avuto la forza di reagire facendo vedere a tutti che i successi non erano frutto del caso. Campedelli si è rimboccato le maniche, ha cambiato allenatore, ha allestito una squadra fortissima, trattenendo quasi tutti i migliori della stagione precedente ad incominciare da “Pelliccia” Pellissier, un giocatore che sogno avere nella mia squadra ideale.
Campedelli ama il calcio inglese e suo papà Gigi, era un tifoso sfegatato del Verona, tanto da sponsorizzare gli abbonamenti con il marchio Paluani nel campionato 1978-’79, come ho scoperto in questi giorni girovagando alla mostra sul Verona. Luca Campedelli disegna personalmente le magliette della sua squadra, con cura maniacale e tante volte mi sono chiesto: ma se disegnasse quelle del Verona, sai che divertimento? Forse è per questo che ora mi chiedo: è mai possibile che Campedelli non abbia mai pensato di essere lui stesso la ciambella di salvataggio del Verona?
Secondo me ci ha pensato e ci sta pensando. Il problema è salvaguardare la storia del vecchio Verona, scudetto compreso. Con Campedelli e Sartori ci sarebbe un grande futuro. E la forza economica della società aumenterebbe (c’è poco da fare…) tantissimo. Pensate solo al mercato dei diritti tivù che ormai rappresentano più del sessanta per cento del bilancio di una società. Se oggi con il Chievo (in serie A, naturalmente), Campedelli ricava dodici, massimo quindici milioni di euro, rappresentando il Verona potrebbe ricavare (minimo) almeno un terzo in più.
E dall’altra parte: con il bilancio disastrato come quello attuale dell’Hellas, senza diritti tivù (scordarseli in serie C…), incapace di investire (Arvedi o chi per lui metterà ancora soldi?), senza un management adeguato (Chi? Come? Dove? Quando?), quanta vita avrà ancora il
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