Belli, sporchi e… poco cattivi (sottoporta)

Doveva essere “brutto, sporco e cattivo “. É stato invece bello, a tratti bellissimo, un po’ sporco, poco cattivo. 

Dopo quindici giorni di duro lavoro, di taglia e cuci, di aggiustamenti, Zanetti ha trovato la formula magica. Mai viste tante occasioni da gol, mai vista tante giocate di prima, palla a terra, triangoli stretti, traccianti disegnati, tanti tiri. Un’abbondanza a cui non eravamo abituati, tanto da non riuscire a spiegarci come sia possibile non essere qui a celebrare un’abbondante vittoria dopo una partita del genere. Invece é possibile ed è tutto racchiuso nel mistero infinito del calcio che al contrario di basket e volley, a fine gara 2+2 non fa sempre quattro. Ecco perché resta, nonostante la referee cam, la Var e una classe arbitrale che fa di tutto per rovinare 150 e passa anni di storia, il gioco più bello e affascinante del mondo. 

Il segreto é che tu puoi costruire tutte le azioni da gol del mondo, tirare in porta mille volte, ma se non segni non vinci.

E al bellissimo Verona succede esattamente ciò. Proprio quando scopre di avere la miglior coppia di attaccanti degli ultimi anni, non riesce a sfondare il muro di Audero. Giovane e Orban, Cremonese a parte, regaleranno soddisfazioni e gioie, di questo statene certi, perché da qui in poi non potranno migliorare e quei centimetri che oggi hanno fatto la differenza, quei controlli sbagliati di millimetri, quegli scatti non ancora brillanti, si tramuteranno in gol.

Zanetti, questa é l’impressione netta, è che ora si stia divertendo a cesellare la qualità tecnica superiore. Ma che al contempo non abbia perso tutte le lezioni della scorsa stagione. Sa benissimo che di complimenti son piene le fosse (della B), mentre ci si salva facendo punti. 

Ma è pur vero, a costo di auto smentirci che il calcio ha una sua giustizia e che giocando così i frutti non potranno che arrivare. Ora però non bisogna imboccare il solito ottovolante che ci ha massacrato morale (e non solo) nella scorsa stagione. Bisogna trovare un seguito a questa sontuosa gara anche nelle prossime con Juventus e Roma. Bisogna essere incazzati come le bisce per non avere oggi quattro punti in classifica. Bisogna in sostanza fare punti. E mai come oggi: stemo calmi.

QUATTRO SALUTARI SCHIAFFONI

Benvenuti nella sofferenza. Se per qualche giorno, forse qualche ora, i tifosi del Verona si erano illusi che il campionato della loro squadra potesse contemplare qualcosa di diverso dalle lacrime, sudore e sangue, la tappa dell’Olimpico li ha fatti tornare immediatamente alla realtà. Questo sarà l’ennesimo torneo in cui tutte le energie dovranno portare alla salvezza, in cui le montagne russe dei risultati metteranno a rischio le coronarie, in cui servirà l’ennesima impresa per tagliare il traguardo. Ogni legittimo sogno di alzare l’asticella ha sbattuto sulla Lazio di Sarri che ci ha riportato alla realtà. Quattro salutari schiaffoni ai nostri sogni ingenui. Il Verona dovrà fare in fretta a trovare un bandolo dentro la solita Babele di giocatori, molti sicuramente di buona qualità, magari anche ottima ma tutti con un handicap: chi caratteriale, chi fisico, chi semplicemente di condizione. Toccherà a Paolo Zanetti l’improbo compito di rendere questo coacervo di giocatori una squadra vera. Ma toccherà anche a noi avere quella pazienza necessaria per capire che il calcio è fatto da uomini e che gli uomini richiedono tempo per legare tra loro, ma anche più semplicemente per conoscersi. Il problema è che tempo non ce n’è molto e che già la prossima tappa con la Cremonese diventerà molto importante. 

Il mercato ha dato a Zanetti almeno qualche fucile per riuscire ad andare in battaglia. Nè più nè meno. Ha reso il Verona competitivo per la salvezza alla pari di tante altre squadre che oltre ai fucili si sono dotate anche di obici e qualcuno di bazooka. 

Una cosa non deve mai mancare peró: la voglia e la determinazione di non mollare un centimetro, la fame e la grinta. L’unica cosa che Sogliano e Zanetti hanno promesso in questi anni. Quello che è mancato in parte con la Lazio e che non dovrà più mancare da oggi in poi. Della Presidio non parlo. Ne parlerò a breve, a mercato chiuso

SORPRESA VERONA. MA SENZA RINFORZI VERI QUESTA SQUADRA RISCHIA LA B

Sorpresa! Abbiamo una squadra. Succede spesso quando le aspettative sono vicine allo zero. Perchè diciamocelo chiaramente. Le aspettative prima di Udine erano veramente molto basse. Tra chi pensava ad una sconfitta con goleada e a chi immaginava un onorevole insuccesso, in pochi, ma davvero in pochi, avevano buone sensazioni.

Del resto, come si poteva non essere preoccupati? Tra cessioni milionarie, rinforzi che non arrivano, infortuni gravi, la partita di Cerignola, il morale era veramente basso. Invece è andata bene, oltre le aspettative, oltre le più rosee previsioni.

Vorrei sottolineare, una volta di più, dopo questa gara, i meriti dell’allenatore. In un mondo in cui la lamentela dei tecnici durante il mercato è diventato un rito estivo, Zanetti non ha mai (mai) sollevato una minima richiesta. Ha parlato di quattro, cinque rinforzi che devono arrivare, ma non come se fosse un suo desiderio di bambino viziato, ma semplicemente portando all’evidenza quanto si era detto con la società, insomma un dato di fatto.

Di più: ha assorbito senza battere ciglio le cessioni di Coppola, Ghilardi e Tchatchoua, ha accettato di non avere più tra i suoi un leader tecnico e morale come Duda, ancora non sostituito. Ha lavorato come se nulla fosse, senza il punto di riferimento in attacco, indispensabile per tutti i meccanismi della squadra. Ha accolto, ancora una volta, giocatori da ogni dove, inseriti in un gruppo sano e finalmente libero da tutti quegli scontenti e pessimisti che abitavano nello spogliatoio dell’Hellas l’anno scorso che hanno reso così dura e difficile la passata stagione. Ha dato un’impronta di gioco solida e concreta, frutto anche della dura esperienza dell’ultimo campionato. Insomma un piccolo, grande capolavoro.

Il Verona di Udine ha sorpreso, ma nemmeno per un secondo ci si deve illudere che questa squadra, così com’è possa giocarsela alla pari in un campionato che si preannuncia molto più duro e difficile del passato. Il week-end ci ha restituito la fotografia di quello che sarà: sebbene siamo solo all’inizio dell’avventura è chiaro che tutte le rivali del Verona hanno alzato l’asticella (di molto) e che per salvarsi serve, è necessario, è indispensabile e persino vitale che la proprietà faccia qualcosa di importante, che non sia solo mettere il cerino nelle mani di un direttore sportivo bravo, anzi bravissimo e geniale, ma che senza soldi, senza investimenti, non può sempre fare le nozze con i fichi secchi.

Non emettiamo oggi giudizi definitivi. Vedremo il Verona e giudicheremo la Presidio dopo il primo settembre. I segnali non sono incoraggianti, ve lo voglio anticipare, ma magari anche Cris Puscasiu, vero capo del fondo (Zanzi è uno stipendiato che è stato collocato alla presidenza come front-man…) ci sorprenderà. Proprio come il Verona di Udine.

GHE L’EMO FATTA

Ghe l’emo fatta… Ghe l’emo fatta da soli. Soli contro tutti… Come sempre del resto. Lo scudetto del Verona anno 2025 si chiama salvezza. Per il settimo anno consecutivo il povero e misero Verona si iscriverà alla serie A. Una continuità di rendimento che ha pochi precedenti nella storia ultracentenaria di questa società.

Banalizzare e ridurre a “normalità” questa terza salvezza consecutiva è un atto blasfemo nei confronti di chi ha permesso al Verona di colmare l’incredibile gap economico e tecnico. Forza di volontà, orgoglio, appartenenza, fino a spingere il gruppo di giocatori a dare sempre tutto, oltre le proprie responsabilità è il segreto di queste tre salvezze miracolose.

Dietro le quali c’è la costante di un ds che oggi è il vero valore aggiunto di questa società. Sean Sogliano ormai è un veronese a tutti gli effetti. Domenica sera appena terminata la partita mi ha confessato il suo unico rammarico: “Mi dispiace solo non aver vestito la maglia del Verona da giocatore”. Sean è veronese nel midollo. Duro, tenace, concreto, romantico. Con le dovute proporzioni è il sindaco di questi anni, in cui la società non si può permettere di acquistare un bomber del valore di Elkjaer o Toni.

Poi spendo una parola per Paolo Zanetti. Un ragazzo d’oro, che ha sposato il Verona. Allenatore giovane, sicuramente, ma convinto che Verona fosse la sua piazza, un punto d’arrivo della sua carriera, non un trampolino. Avrebbe voluto regalare grandi partite e grandi gioie alla tifoseria gialloblù. Si è sentito in debito per tutto il campionato, soprattutto per quelle gare sbagliate in casa. Guardava la Curva e pensava di essere nel posto più bello del mondo. Al contempo era frustrato, persino troppo, quando il suo Verona non riusciva a ripagare quella meravigliosa gente. In parte c’è riuscito a Empoli. Conquistando 37 punti, frutto di dieci vittorie, sei fuori casa. Un bottino eccezionale per tutto quello che ha passato questa squadra in questa stagione. Una squadra che non ha avuto, almeno all’inizio, il collante del gruppo dei senatori, svuotati, stanchi e delusi dalla società dopo anni di battaglie. Che doveva cementarsi in un manipolo di giovani scommesse che arrivavano da tutto il globo, senza un minimo di idea di cosa fosse il Verona e dove fossero capitati. E che ha sopportato anche una serie infinita di infortuni nei suoi uomini migliori, cosa che avrebbe piegato chiunque.

Come una canna di bambù, Zanetti si è piegato, non si è spezzato. Ha trovato in Sogliano un compagno di viaggio leale e coerente. I due si sono scontrati e aiutati a vicenda. Con l’onestà di fondo che li caratterizza, senza ipocrisia, dicendosi in faccia tutto quello che dovevano dirsi. Sempre tenendo presente che non era importante il loro bene personale ma l’Hellas Verona.

Da oggi si guarda al futuro. La palla passa nelle mani di Chris Puscasiu, di Italo Zanzi, di Dirk Swaneveld, alla Presidio Investors. Il nuovo e anomalo fondo americano col cuore tedesco che deve tornare a far grande il nostro Verona. Da quello che abbiamo capito fino ad oggi, non girano grandi soldi dalle parti di Austin. Ma c’è onestà di fondo e idee chiare. Puscasiu è alla ricerca di nuovi investitori, ha messo Verona, come città, al centro di tutto. Avrà un compito durissimo. Far amare il Verona agli imprenditori veronesi, che non lo hanno mai amato troppo e che da sempre però vorrebbero metterci becco senza investire un euro. Verona è stupenda, potenzialmente una città europea, che potrebbe ogni anno giocare partite internazionali che contano. Abbiamo tutto, l’Arena, l’opera lirica, la storia, la bellezza. Il club ha tradizione, ha vinto un fantastico scudetto, ha una tifoseria pazzesca, innamorata e attaccata come poche al mondo.

Manca solamente una regia che metta tutto assieme, che ci faccia uscire dal nostro provincialismo che è al tempo stesso catena e identità imprescindibile. E’ la sfida più grande che ci attende da oggi in poi. Senza la serie A non si sarebbe potuto fare niente di tutto questo e non ci sarebbe stato un futuro. Teniamolo presente. E volemoghe ben al Verona.

GHE LA FEMO

Ve lo ricordate il “ghe la femo” che ci accompagnò durante la battaglia play-off in serie C? Era diventato un mantra… Sorrento e poi Salerno, quattro gare una peggio dell’altra, trappole ovunque. Ghe la femo, ghe la femo… Era una speranza, una domanda che tutta la città in quel momento si faceva. Ghe la femo? Si doveva uscire dalla palude della serie C, non si vedeva lo sbocco, l’anno prima c’era stato Portogruaro all’ultima giornata e poi Pescara, Martinelli, la delusione, milioni di euro buttati via. L’annata era iniziata malissimo, Giannini non ne azzeccava una, arrivò Mandorlini per una incredibile mano del destino, e pian piano quel Verona divenne una bella favola. Ghe l’emo fatta.

Oggi siamo a pochi passi dalla meta. Ma proprio pochi. Eppure non ghe l’emo ancora fatta. E la domanda resta sempre quella di quel maggio del 2011: ghe la femo? La prospettiva è di un’ultima grande battaglia da giocare. A Empoli, in trasferta, per dare concretezza al nostro sogno di salvezza, per chiuderla qui. Guardarsi indietro adesso è perfettamente inutile. E’ andata così. A fine stagione quando si fanno i conti arrivano i rimpianti per tutti i punticini lasciati per strada che adesso sarebbero preziosi. Penso alle due gare con il Milan perse immeritatamente, penso alla gara casalinga con il Cagliari, penso alle sconfitte di misura di Lecce e ancora di Cagliari.

L’esito di questa ultima grande battaglia dipenderà soprattutto dal Verona che andrà in campo. Se sarà quello che ha perso con i sardi in casa, non c’è scampo. Butteremo via la serie A. Ma se in campo ci va quello del secondo tempo che abbiamo visto con il Como, orgoglioso e a testa alta, sebbene ancora impreciso sino all’autolesionismo sottoporta, allora non c’è dubbio: ghe la femo.

Prepariamoci ad un’altra vigilia di sofferenza, di tensione, di ansia. Ma anche di grande fiducia. Il meraviglioso Bentegodi che ancora una volta si è unito ai ragazzi gialloblù, giocherà in massa anche a Empoli. Andiamocela a prendere. Senza paura.

LA SOFFERENZA È IL PREZZO DELLA GRANDEZZA. QUINDI SIAMO GRANDISSIMI

“La sofferenza è il prezzo della grandezza”. Non lo ha detto un tifoso del Verona abituato a resistere alle più brutte partite a cui abbia mai assistito nella sua vita, a campionati presi per i capelli, a salvezze miracolose. Era il succo del pensiero di Winston Churchill. E quindi siamo grandissimi. Nella nostra indicibile sofferenza, in quella resilienza che risulta essere il carattere identitario di un popolo che non piange mai, che si piega ma non si spezza. Davanti all’epopea gialloblù che ricordava che una volta tanto le giostre si sono fermate anche qui per farci divertire, siamo ripiombati nella dura realtà di una squadra che fa quasi tenerezza da tanto che è fragile e da tanto che si fa attanagliare dalla paura anche quando intorno a lei si dipanano le meravigliose ali del popolo gialloblù. Il calcio è una brutta bestia perché imponderabile nei meandri della mente che fa girare le gambe, altrimenti non si spiegherebbe perché alcuni giocatori non reggono la pressione delle grandi piazze e perché il miserabile Hellas (miserabile perché un prodotto di budget miserabili), stia a quota 33 a due giornate dalla fine.

Dovremo gioire di questo, invece siamo tutti, francamente stanchi. Non ci si accontenta più del “settimo anno di serie A consecutivo”, non è più sufficiente spiegare che Mosquera non è una scelta ma un obbligo, l’obbligo di chi non può spendere. E così ci arrabbiamo con Mosquera, che cito a mo’ di esempio, perché vorremmo tornare ad esercitare il nostro diritto al sogno, che è proprio di ogni tifoso. Ci siamo ridotti a contabili, a ragionieri della salvezza, prima a fare i calcoli delle plusvalenze, poi dei soldi spesi, infine dei punti che mancano. Di chi ci innamoriamo? Di quale giocatore? C’è qualcuno tra questi che abbia smosso il nostro cuore? Nessuno. Anche perché, non sia mai, se ti affezioni poi rischi la delusione eterna al prossimo mercato quando ancora sull’altare del dio pagano della plusvalenza, ti venderanno quel tuo pupillo. Così deve vincere il sano realismo, la logica, la razionalità. Come Montanelli quando si turava il naso ma votava Dc. E’ un buon punto. Credo fondamentale per la salvezza. Non sufficiente per non soffrire fino alla fine. Lo sapevamo. Volemoghe ben al Verona.

NON CREIAMO UN CLIMA DI PESSIMISMO PERCHÉ SIAMO FINITI

Non lo volevamo, ci speravamo, ma in realtà lo sapevamo. Anche questo campionato si sarebbe giocato nelle ultime tre giornate. Abbiamo avuto la palla del match, l’abbiamo sprecata, ora non bisogna fare drammi e pensare che ancora una volta il Verona sta costruendo un miracolo.

Se anche, per un secondo, non ci rendiamo conto di questo, siamo fregati. Se anche per un secondo diamo per scontata la salvezza e non apprezziamo il campionato del Verona, banalizzandolo, riducendo a demeriti degli avversari il nostro restare in corsa, ci meritiamo di andare in serie B.

Sarà una volata dura, difficile, meno complicata rispetto al passato, ma in cui l’ambiente avrà una valenza determinante, come sempre.

E’ una di quelle volte in cui bisogna trascinare e non essere trascinati. In cui, anche quando ti viene voglia di spaccare la televisione o di fischiare se sei allo stadio, bisogna reprimere e stare dalla parte di questi ragazzi. 

La verità è sempre meglio dirla. Questa è una squadra fragile. Fragile psicologicamente in cui non abbondano i leader, in cui riemergono fatalmente gli incubi e gli shock tremendi delle imbarcate. Una squadra che ha comunque orgogliosamente fatto 32 punti, che ha sempre saputo risollevarsi anche nei momenti più duri e più bui. Siamo noi a determinarne il futuro, creando un clima da battaglia, creando un Bentegodi assatanato, in cui si apprezzi veramente il senso dell’ennesima impresa.

Dico questo perchè ora ci aspettano tre finali, tre gare decisive, tutte da giocare, da assaporare, con la passione di un popolo meraviglioso come quello del Verona. Domenica festeggeremo al Bentegodi l’anniversario per il 40 anni dello scudetto. Non deve essere una festa, una passerella, ma una preparazione ad una autentica battaglia sportiva. Vedere i Grandi Campioni del Tricolore deve essere uno stimolo eccezionale per chi oggi veste questa gloriosa maglia. Le imprese sono possibili. E a Verona lo sappiamo meglio di chiunque altro. Perché la Storia siamo noi.

SPRECATO IL VANTAGGIO, SI TORNA A SOFFRIRE COME CANI

C’era una volta un vantaggio. C’era e ora non c’è più. Il Verona si butta via a pochi metri dal traguardo e ora dovrà soffrire come un cane, come da miglior tradizione, per arrivare alla salvezza.

Altroché “biscotto” e risultati già scritti come i soliti soloni e ben informati annunciavano alla vigilia della gara con i sardi. Prima ci ficchiamo nella zucca che questo campionato è strano, duro, difficile, complicato e ancora tutto da giocare meglio è.

L’illusione di poter piazzare il colpo del ko è stata illusoria e fallace. Ne è stato contagiato lo stesso Zanetti che recuperava Serdar e Suslov potendo finalmente schierare il centrocampo dei sogni estivi. In realtà un incubo come si è ben presto potuto verificare. Suslov in preda ad un virus girava a vuoto e inutilmente per il campo fino alla sostituzione, la forma di Serdar segna al massimo un quaranta per cento sul tachimetro.

Il peccato di Zanetti è stato di non aver previsto nemmeno per un secondo un altro piano strategico per la partita. Anzi: ha continuato sulla stessa strada inserendo Bernede per Suslov, invece di tornare ai vecchi e sani equilibri vista la serata, mettendo un po’ di chili e centimetri con Niasse.

Dall’altra parte Nicola ha furbescamente schierato un Cagliari muscolare, rinunciando completamente ai fronzoli e ai ricami. Pavoletti ha giganteggiato con Coppola, Luvumbo è stato una fastidiosa zanzara notturna.

Il gol è stato come un pugno al mento che il favorito non si aspetta. Il Verona ha barcollato, è andato in confusione, non è più riuscito a trovare lucidità. L’inconsistenza dell’attacco, non favorita certamente dalle giocate del centrocampo ha fatto il resto.

Ne è uscita una serataccia che ora bisogna avere la forza di dimenticare in fretta. Inutile e assolutamente autolesionista fare processi inutili. Siamo tutti delusi da questa squadra, incapace di fare il salto di qualità, quasi che avesse sempre bisogno di qualche sana pedata nel sedere, per rendere al meglio.

Ma c’è anche da dire che alla fine siamo perfettamente in linea con quelle che erano le premesse della vigilia e che a gennaio, mentre la società cambiava padrone ma non i metodi né gli investimenti, avremmo firmato per essere qui a giocarcela a quattro dalla fine e ancora un po’ di vantaggio.

Solo per un momento abbiamo pensato che quest’anno si sarebbe potuti arrivare alla salvezza senza penare. Un desiderio contrario alla storia e al dna del club. Una scala in cui si sale e si scende è il nostro simbolo. Un giorno su e un giorno giù. Ma quando torneremo su, diciamocelo, sarà ancora più bello. Sperando di non cadere, però.

NON MI FIDO. FACCIAMO QUESTI PUNTI CHE MANCANO IN FRETTA…

Non mi fido. Non mi piace quest’aria che sento in giro “adesso giochiamo bene, i punti e le vittorie le faremo”. Ho visto finali di campionato drammatici e senza star qui a rievocare il nostro trauma collettivo (anno di Malesani), è meglio tenere alte le antenne. Facciamo sti maledetti punti che mancano alla salvezza e chiudiamola qui.

Bello, per carità, il Verona di Roma. Ma quello scapigliato che si massacrava a inizio campionato vinceva di più. Forse perché affrontava le partite da “dentro o fuori” come le gare della vita, forse perché accumulava rabbia, ma quel Verona che piaccia o non piaccia, segnava, vinceva e alla luce della matematica faceva punti preziosi per la classifica. Poi per carità: perdeva e perdeva di brutto e rovinava tutto quello che di buono aveva fatto prima… Però mi piacerebbe che questo Verona 2.0 riprendesse un po’ di quello sano spirito da battaglia che questo ha smarrito soprattutto quando si trova davanti alla porta.

E’ evidente che manca un po’ di qualità e che se l’Udinese rimpiange ad ogni intervista Thauvin, a Verona possiamo rimpiangere a maggior ragione uno come Tengstedt, ma detto questo, sottoporta bisogna arrivarci con più cattiveria, non possono passare dei traversoni nell’area piccola degli avversari e non c’è nessuno dei nostri che “aggredisce” la porta, prima palo, secondo palo, dove volete.

La sintesi della gara con la Roma è semplicissima. Il Verona ha fatto un errore sul gol, ha sbagliato gol fatti. Tutti a dire che Sarr era in fuorigioco: avesse segnato avrebbe costretto a disegnare le linee al Var e non so se era proprio in fuorigioco. L’impressione, francamente, è che non lo fosse.

Ora arriva il Cagliari: non è da dentro o fuori, per carità, ma chiudiamo la pratica e finiamo il calvario. Poi sarà il tempo di godersela, Adesso ancora no.

INCREDIBILE MA VERO: RECRIMINIAMO PER UN (OTTIMO) PAREGGIO

Mai avrei pensato di poter scrivere questo post. Eppure è vero. Mi avessero fatto firmare prima di questa partita per un pareggio non avrei avuto dubbi. Un punto in saccoccia, quota 32 raggiunta, salvezza sempre più vicina, quarto risultato utile consecutivo. Considerati gli infortuni, le ricadute, l’assenza degli uomini chiave, prendere un punto contro il Genoa che è un’ottima squadra che ha messo in crisi anche le grandi in questo torneo, era sicuramente grasso che colava.

A fine partita non son più così sicuro. Perché il Verona è stato praticamente perfetto. Strategicamente una gara preparata alla perfezione da Zanetti, primo tempo con la squadra corta, attenta, concentrata, zero rischi, ripresa alla garibaldina, Genoa alle corde, occasioni da gol create, pressing alto, Montipò inoperoso.

Purtroppo è mancato il gol, fattore fondamentale per vincere le gare. Le occasioni create da Mosquera, quelle di Livramento che ha preso anche il palo, quella clamorosa di Kastanos verso la fine (rigore in movimento) mi fanno pensare se questo punto guadagnato non siano in realtà due punti persi.

A quota 34 saremmo sicuramente stati ormai tranquilli, incredibile e pazzesco, salvi a sei giornate dalla fine. Ma anche a 32, ragazzi, non si sta così male. Qualcuno dice che questa potrebbe essere già la quota dell’ennesimo miracolo, dipenderà molto dagli prossimi scontri diretti (Empoli-Venezia e Empoli-Parma in particolare), comunque sia, manca pochissimo per tagliare il traguardo.

Non si può oggi non guardare al futuro con grande ottimismo. Finalmente stanno recuperando dagli infortuni giocatori importanti come Serdar e Suslov, mentre per Tengstedt si deve attendere a metà maggio, probabile rientro con il Lecce. Più qualità vuol dire anche più precisione in zona gol, quella che è mancata oggi.

Recriminare per questo pareggio benedetto mi fa quasi sorridere…