C’era una volta un vantaggio. C’era e ora non c’è più. Il Verona si butta via a pochi metri dal traguardo e ora dovrà soffrire come un cane, come da miglior tradizione, per arrivare alla salvezza.
Altroché “biscotto” e risultati già scritti come i soliti soloni e ben informati annunciavano alla vigilia della gara con i sardi. Prima ci ficchiamo nella zucca che questo campionato è strano, duro, difficile, complicato e ancora tutto da giocare meglio è.
L’illusione di poter piazzare il colpo del ko è stata illusoria e fallace. Ne è stato contagiato lo stesso Zanetti che recuperava Serdar e Suslov potendo finalmente schierare il centrocampo dei sogni estivi. In realtà un incubo come si è ben presto potuto verificare. Suslov in preda ad un virus girava a vuoto e inutilmente per il campo fino alla sostituzione, la forma di Serdar segna al massimo un quaranta per cento sul tachimetro.
Il peccato di Zanetti è stato di non aver previsto nemmeno per un secondo un altro piano strategico per la partita. Anzi: ha continuato sulla stessa strada inserendo Bernede per Suslov, invece di tornare ai vecchi e sani equilibri vista la serata, mettendo un po’ di chili e centimetri con Niasse.
Dall’altra parte Nicola ha furbescamente schierato un Cagliari muscolare, rinunciando completamente ai fronzoli e ai ricami. Pavoletti ha giganteggiato con Coppola, Luvumbo è stato una fastidiosa zanzara notturna.
Il gol è stato come un pugno al mento che il favorito non si aspetta. Il Verona ha barcollato, è andato in confusione, non è più riuscito a trovare lucidità. L’inconsistenza dell’attacco, non favorita certamente dalle giocate del centrocampo ha fatto il resto.
Ne è uscita una serataccia che ora bisogna avere la forza di dimenticare in fretta. Inutile e assolutamente autolesionista fare processi inutili. Siamo tutti delusi da questa squadra, incapace di fare il salto di qualità, quasi che avesse sempre bisogno di qualche sana pedata nel sedere, per rendere al meglio.
Ma c’è anche da dire che alla fine siamo perfettamente in linea con quelle che erano le premesse della vigilia e che a gennaio, mentre la società cambiava padrone ma non i metodi né gli investimenti, avremmo firmato per essere qui a giocarcela a quattro dalla fine e ancora un po’ di vantaggio.
Solo per un momento abbiamo pensato che quest’anno si sarebbe potuti arrivare alla salvezza senza penare. Un desiderio contrario alla storia e al dna del club. Una scala in cui si sale e si scende è il nostro simbolo. Un giorno su e un giorno giù. Ma quando torneremo su, diciamocelo, sarà ancora più bello. Sperando di non cadere, però.