SAPETE UNA COSA? IL VERONA HA PIU’ SENSO ADESSO CHE TRE MESI FA

Credo che dobbiamo distinguere due piani per giudicare il Verona e le ultime vicende: il primo è quello societario che ha venduto per sistemare il bilancio. Sono partiti Doig, Hien, Ngonge e Terracciano sull’altare delle plusvalenze. Di questi, personalmente rimpiango Ngonge che ha fatto veramente la differenza sia l’anno scorso sia quest’anno e Terracciano che è un prodotto del vivaio. Dura però per una società come il Verona rifiutare 25 milioni di plusvalenze piene per i due giocatori più i bonus che arriveranno. Per gli altri sinceramente non ho nessun rimpianto.

L’altro piano è quello tecnico-sportivo. Credo che Sogliano stia attuando ora quella rivoluzione che non era riuscito a fare alla fine della scorsa stagione per vari motivi. Una rivoluzione che era indispensabile e non più rimandabile. Il Verona era arrivato alla fine di un ciclo. Iniziato con Juric, proseguito con Tudor e poi portato allo sfinimento nel campionato scorso. Tanti giocatori che erano senza motivazioni e che dovevano cambiare aria. Inutile far nomi ma credo che l’evidenza sia sotto gli occhi di tutti.

Mi dà molto fastidio quando la questione viene affrontata con il main stream da social. Ora il Verona è la squadra da prendere in giro, Setti un presidente in difficoltà da sbeffeggiare, l’Hellas una vittima sacrificale da offrire al sistema.

Mi piace essere obiettivo, non mi piace seguire la massa, solo per il gusto di non contraddire. Io penso che il Verona che sta uscendo da questa rivoluzione abbia molto più senso di quello che è uscito dal mercato dell’estate, credo che Setti abbia fatto benissimo a cedere giocatori come Hien, Doig e Faraoni che non avevano più nulla da dire e da dare, credo che Magnani visto nelle ultime partite valga dieci volte lo svedese e che Cabal (questo Cabal…) valga cinque volte Doig che ha fatto bene solo qualche spezzone di partita l’anno scorso, sparendo poi dai radar per tutto il campionato.

Mi pare assurdo anche rimpiangere Djuric: utilissimo finchè c’è stato, ma non certamente Luca Toni. Mi fa sorridere che un attaccante non venga giudicato dai gol che fa ma dai duelli aerei che vince. Djuric, che ha trovato nel Verona una maglia da titolare, una grande opportunità che lui si è giocato con professionalità, è stato onesto: davanti all’offerta del Monza ha detto che non se la sentiva più di restare. E noi di questi giocatori, che restano magari col muso lungo e a testa bassa, o scontenti non ne abbiamo bisogno. Cosa doveva fare il Verona? Alzare l’ingaggio di Djuric e animare un’asta per convincerlo? Siamo seri?

Ha detto bene Baroni a fine gara col Frosinone. Serve gente che ce la metta tutta al trecento per cento. Come Suslov, come Duda, come l’ultima edizione di Folorunsho, come Magnani, Cabal e Noslin, ultimo arrivato. Questo farà la differenza quest’anno. il Verona di San Siro, il Verona che ha battuto l’Empoli, il Verona di Roma e anche questo che ha pareggiato con il Frosinone, facendoci masticare amaro, è ovvio, è una squadra che ha trovato orgoglio, compattezza, idee di gioco. Limitata, ne siamo consapevoli, ma ora con un’identità diversa.

A fine mercato avremo un’idea di che mercato ha fatto la società. Ma lo dico fin da adesso: arrivasse una punta forte, vera, con un po’ di gol in canna… forse chi oggi ci prende per i fondelli tra qualche mese si ricrederà.

PER I VERONESI L’UNICA COSA CHE CONTA E’ ONORARE LA MAGLIA

“L’unica cosa che conta alla Juventus è vincere”. Invece al Verona l’unica cosa che conta è l’orgoglio. Chissenefrega della vittoria, quando sei al cospetto di una squadra che sputa il sangue in campo, che supera immense difficoltà, che mantiene alta la bandiera di una città che ha assistito attonita e preoccupata ad una gigantesca vendita, come mai nella storia di questo club, nemmeno con il peggior Pastorello, nemmeno prima del fallimento con Chiampan e Polato.

E’ questa la differenza che c’è tra noi e tutti gli altri e magari c’è chi non capisce, ma dopo la gara dell’Olimpico non c’è un tifoso del Verona che non abbia gonfiato il petto, felice di vedere in campo undici piccoli eroi, con tutti i loro limiti, ma con la voglia di dimostrare al mondo di essere grandi professionisti e magari, anche di non essere così scarsi come magari frettolosamente li abbiamo battezzati. Una lezione di sport che andrebbe sottolineata e raccontata.

Questo piano di giudizio non va assolutamente mischiato con quello della società, che dopo anni di plusvalenze a nastro scopre di avere un buco milionario nel bilancio che metteva a repentaglio la vita stessa della società. Incredibile e senza giustificazioni. Come minimo c’è un problema di gestione finanziaria là dentro perchè i conti davvero non si riescono a far tornare dopo tutto quello che si è venduto in questi anni. Si sperava che almeno il bilancio fosse a posto, invece abbiamo scoperto che è un disastro che solo questa massiccia campagna di cessioni ha (forse) stabilizzato.

C’è invece da applaudire Marco Baroni. Non gli abbiamo risparmiato le critiche quando il Verona non aveva nè capo nè coda, quando pareva che non trasmettesse carattere alla squadra, quando ha brancolato nel buio tra difesa a tre e difesa a quattro. Ma nel momento più difficile, con la barca allo sbando, davanti a cessioni dolorose come quella di Ngonge che avrebbero mandato in tilt altri allenatori (pensate a Juric nella stessa condizione…), Baroni ha saputo dare un senso a tutto. Ha tenuto dentro gente come Cabal, Amione Coppola e Folorunsho, ha fatto crescere Duda e Suslov, ha ritrovato paradossalmente squadra e identità. Che fosse una brava persona lo sapevamo. Ma probabilmente è anche un buon allenatore.

Un appello, infine: tre rigori sbagliati non sono sfortuna. E’ evidente che nè Djuric nè Henry devono prendersi ancora questa responsabilità. Fateli tirare a qualcuno che abbia piedi buoni, personalità e freddezza. Tre rigori sbagliati sono punti preziosi buttati via. Almeno tre tra Firenze, Milano e ora Roma. Punti su cui si rischia di piangere a maggio.

IL VERONA E’ ANCORA VIVO. ED E’ L’UNICA COSA CHE CONTA

Nel momento più duro, il Verona ha scoperto se stesso. Ha scoperto l’orgoglio e la dignità. Mentre è in atto una svendita totale, quando tutto lasciava presagire una disfatta dietro l’altra, con la società debolissima, bloccata dal sequestro delle azioni, Baroni, Sogliano e una banda di ragazzini terribili, molti dei quali delle scommesse, stanno tenendo alta la bandiera gialloblù.

Chissà come finirà e chissà soprattutto quando finirà l’opera di liquidazione, forse si fermerà solo dopo la cessione del pezzo migliore, cioè Cyril Ngonge, ma intanto l’Hellas è vivo, lotta, non molla. L’era Setti, comunque andrà, finisce qui, impossibile pensare ad un futuro con questo presidente, ormai troppo debole per resistere alle tempeste calcistiche e al mondo che verrà. Ognuno si tenga la propria idea su Setti, ma ora bisogna pensare alla salvezza. Fondamentale per restare in vita e per non finire persi in mari che abbiamo già navigato e che possono tirarci in fondo all’abisso. Ma proprio giù, più in basso di quanto non siamo mai stati. E se per caso non ne foste convinti alzate lo sguardo e date un’occhiata ad esempi anche molto vicini.

Ringraziamo Dio che in un momento del genere, resiste un uomo come Sean Sogliano, punto di riferimento assoluto alle prese con un’impresa titanica: salvare il club dal punto di vista finanziario e salvare per quanto possibile l’aspetto tecnico, cercando almeno di lottare fino alla fine. Le ultime due gare ci stanno dicendo questo. Il Verona non è morto. Persino Baroni, adesso pare migliore. Ora che non c’è nulla da perdere è come se anche l’allenatore si fosse liberato di un peso.

C’è un fattore determinante in tutto questo: la gente di Verona. Che quando riesce a saldarsi con la squadra è capace di centrare imprese leggendarie. Come dico spesso, non è un caso che a Verona accadano, calcisticamente parlando, delle magie assurde. Dallo scudetto vinto, agli spareggi, alla fatal Verona che tante volte ha sgambettato le grandi. E’ una preziosa bevanda che, in questo momento e fino alla fine, sarà necessaria alla squadra per continuare a sperare. Soli contro tutti. Come sempre.

LA NOSTRA DIGNITA’ DI POVERI MERITA UN GRANDE RISPETTO

Verrebbe voglia di mandarli tutti a quel paese. Ma fatevi la Superlega, continuate a giocare tra di voi, lasciateci in pace. Noi poveri derelitti del calcio, che abbiamo presidenti senza soldi, noi che abbiamo un passivo di 11 milioni di euro e vendiamo tutti i pezzi migliori, contro di voi che avete 750 milioni di disavanzo e comprate e vincete e avete bisogno persino degli arbitri per vincere. Perchè va così, è sempre andata così, nessuno meglio di noi veronesi rompiscatole lo sappiamo. E’ dall’anno di Wurtz che va così, ma andava così anche prima, e andrà così finchè questa gentaglia non deciderà di togliere il disturbo. Vince chi è più furbo ma stavolta a fare la figura dei “mona” non ci stiamo.

Sogliano ha spiegato a quei signori lì che dovrebbero vergognarsi, perchè sì è vero, noi abbiamo le pezze al culo, ma meritiamo rispetto. E il rispetto il Verona che stava per fermare la grande Inter se l’è guadagnato sul campo, con una partita di grande spessore, proprio nel giorno in cui pronosticavamo goleade e meste passerelle verso la serie B. Accidenti, mi verrebbe da dire a Marco Baroni, se solo questa partita l’aveste fatta con la Salernitana, non saremmo qui a piangere e a incazzarci come le biscie per non averla pareggiata questa del Meazza.

Il Verona ha giocato benissimo, ma proprio benissimo, ha ritrovato anima e idee, ha portato a spasso l’Inter, che pareva giocare al gatto col topo, invece era il Verona che la pressava e non gli dava modo di ripartire e che non meritava di perdere. Ci sarebbe da aprire un’inchiesta sul Var Nasca, sempre a dirigere le gare, meglio di quando era in campo. Per dire: è lo stesso Nasca che l’anno scorso a Salerno non vide un fallo di Candreva a palla lontana e tolse un rigore sacrosanto al Verona.

Poi certo, se Henry non avesse sbattuto sul palo il rigore staremmo festeggiando una grande impresa, ma a ben rivedere anche quel rigore andava ribattuto con Sommer già lontano dalla riga di porta quando Henry tira. Figurarsi se al 100° minuto a San Siro ti rifanno battere il rigore… Henry, comunque, ha già segnato tre gol, giocando spiccioli di partita, è l’unico attaccante che si muove da… attaccante nel Verona, va recuperato assolutamente per il ritorno.

Ci attende un periodo durissimo, ci saranno altre partenze dolorose, ma sappiamo che là dentro abbiamo un signore che non perderà mai la dignità. Lasciatemelo dire. Meno male che c’è un ds come Sean Sogliano, andare in battaglia con lui non sarà un problema. E di certo, non dobbiamo avere paura. Chiediamo solo rispetto.

INAMMISSIBILE PASSO INDIETRO

C’era la possibilità di fare un balzo in avanti importante. Dal punto di vista morale e psicologico il Verona era, una volta tanto, in vantaggio. La vittoria con il Cagliari ci permetteva di giocare senza pressione, liberi, con la possibilità di osare e di dare una mazzata ferale alla Salernitana.

Dopo mesi di involuzione tattica e di confusione, Baroni pareva aver preso la via giusta. Il cambio di modulo aveva permesso di non perdere contro Lecce e Udinese, di fare una grande partita a Firenze, di battere il Cagliari. Aggiungiamoci che alla vigilia della sfida con i campani era arrivata anche la notizia che la Curva Sud non sarebbe stata chiusa e quindi si sarebbe giocato con l’aiuto del pubblico più caldo.

Non ci sono scuse, nè alibi, per una partita del genere. Di nessun tipo. Nè l’assenza di Duda, sicuramente importante, ma assente anche a Firenze quando il Verona ha fatto la miglior gara della stagione, nè altre amenità. A Verona, lo sanno tutti, si vive in una splendida oasi. C’è passione, un po’ di pressione, ma tanta comprensione.

La squadra vive tranquilla, forse troppo. La stampa non può più fare interviste all’allenatore, cioè una serie di domande collegate tra di loro, manca il dibattito, l’interloquire, un filo logico. Le critiche, al confronto di altre piazze, sembrano la recita di un rosario. C’è rispetto per la vita privata dei giocatori, nessuno persino si incazza più se la squadra vive ormai scollegata dalla realtà, nel bunker di Peschiera, lontano dal cuore della gente. Mai un allenamento in città. mai un allenamento a porte aperte. Una vergogna assoluta, lasciatemelo dire.

Inoltre, tutti hanno compreso la delicatezza del momento, Setti in difficoltà, le azioni sequestrate, il futuro nebuloso. Abbiamo capito e compreso che questa squadra è stata fatta pensando prima di tutto a ridurre gli ingaggi, imbottita di ragazzini, di scommesse a costo zero e di anziani al capolinea. Una squadra da amare dicevo nell’ultimo articolo di questo blog.

Inzaghi ha vinto perchè è stato più bravo. Ha preparato meglio la partita, ha caricato meglio la sua squadra, ha dato un’idea precisa e semplice al gioco, l’ha fatta correre di più. La gara di Baroni e del Verona è stata simile alla conferenza stampa di fine partita del tecnico. Una supercazzola, una confusione totale. Come voleva giocarla questa gara Baroni? Aspettando la Salernitana? Con la palla a terra? Con i lanci lunghi su Djuric? Sulle fasce? Ditemi voi se l’avete capito. Io no. E credo neanche Baroni.

Ultima cosa: Baroni ha detto anche che ci sta di perdere. Certo, è vero. E’ la grande lezione dello sport, che è sempre l’accettazione della sconfitta. Perdere ci sta mister. Ma non in questa maniera, non rinunciando a lottare, non facendo una gara così orribile. Perdere così dovrebbe farla incazzare e molto. La stessa incazzatura con cui dovranno festeggiare il capodanno i tifosi del Verona. Abituati a soffrire. Ma non dei mona da prendere in giro. Sappiatelo.

UNA SQUADRA DA AMARE

Ci sono squadre che nascono per caso, in mezzo alle difficoltà, bruttine, con tanti difetti. Squadre operaie, con giovani scapestrati arrivati un po’ per caso, un po’ per scommessa, sicuramente a costo zero. Squadre su cui non scommetteresti un euro.

Il Verona di quest’anno è una di queste. Una squadra figlia della spending review (chiamiamola così…), imbottita di giocatori sconosciuti, tirati su dalle reti di un ds anti Iphone come Sean Sogliano, convinto che il lato umano sia sempre più importante dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi, uno che mangia pane e ignoranza, ma quella sana, buona che sa di pearà con la miola, per capirci e di piatti antichi. Una squadra da “far cavar el cor” come direbbe uno dei personaggi di Roberto Puliero (accidenti quanto ci manca quel genio del nostro Robertone…) e che alla fine, proprio per quella sua faccia bruttina e per quella sua poca classe, non puoi non amare.

Ecco, il Verona di Marco Baroni, signore dagli occhi gentili, fin troppo martoriato da una schiera di incontentabili quali siamo diventati noi veronesi al quinto anno di serie A, dimenticando troppo in fretta i patimenti della serie C, Pastorello, Arvedi, Cannella, la maledetta palude da cui sembrava impossibile emergere, è una squadra da amare.

Penso ora a Dawidowicz, questo polacco che ha piedi da boscaiolo e cuore da oscar della generosità, penso al piccolo e cazzutissimo Suslov, al tuttofare Terracciano, all’imbullonato Tchatchua, a Duda che quando lo sento mi parte sempre la canzone, a Hongla che è tornato tra noi, a Folorunsho che a volte sembra Forrest Gump che corre anche fuori dallo stadio attraverso la porta di maratona, a Djuric che spizza palloni anche quando è in salotto di casa, a quel pazzo di Ngonge che sembra vivere nel mondo di Alice delle Meraviglie, a Saponara che ha avuto la pazienza di aspettare il suo turno senza rompere le balle (e se le ha rotte non ce ne siamo accorti).

E’ tempo amici miei di accantonare polemiche e diatribe. Il Verona ha bisogno di noi, come quando pareva ad un passo dallo scomparire. Amiamo questa squadra, che forse, poi, alla fine, magari non è nemmeno così brutta. Auguri a tutti. Buon Natale (gialloblù, ovviamente).

SE LA RIGIOCHIAMO CENTO VOLTE, NOVANTANOVE LA VINCIAMO E UNA LA PAREGGIAMO

Come si fa a spiegare che hai perso una partita dominata per sessanta minuti? Come fai a giustificare una squadra che gioca la miglior gara della stagione e raccoglie zero? Che voto dai a Marco Baroni che da una parte prepara un piano perfetto, assalta la Fiorentina, crea mille occasioni da gol e poi combina un disastro togliendo Suslov, inserendo Dawidowicz e inoculando di conseguenza il virus della paura ad una squadra sorretta da una banda di ragazzini?

Mai come oggi l’imbarazzo di commentare l’Hellas Verona è salito a livelli così alti. Ma non dobbiamo cadere nella trappola dello sconforto. Sarebbe troppo facile arrendersi davanti alle avversità di questo campionato. Sarà durissima, lo ripetiamo da mesi, ma era peggio quattro gare fa, dopo la sconfitta col Genoa. Lì, davvero, il Verona sembrava essere arrivato al capolinea. Allenatore in confusione, squadra senza carattere e senza identità, giocatori mediocri. Poi Baroni ha cambiato, sono arrivati tre pareggi in rimonta e la gara con la Fiorentina. Presa a pallate, col portiere che esce con l’oscar del migliore in campo, con un rigore sprecato, e un gollonzo che grida vendetta.

Basta per lenire la delusione? No, ma è una situazione che deve creare tanta rabbia. Se la rigiochiamo cento volte, novantanove volte vinciamo e una la pareggiamo. Perdere non ci sta. Però va detto che probabilmente questa superiorità non è stata sufficiente. Che bisogna fare di più e di meglio. Che non bisogna sbagliare le scelte e la lettura della gara.

Rabbia che va canalizzata per affrontare le prossime due gare. Le più importanti del campionato. Due partite che valgono quelle del gennaio dello scorso anno quando il pareggio di Torino e la vittoria con la Cremonese riaccesero la fiammella della speranza. Giocando così, ne sono certo, le vinciamo tutte e due. Non abbassiamo la testa, non arrendiamoci adesso. Senza sofferenza, non sarebbe l’Hellas. E non sarebbe nemmeno bello, francamente.

BRUTTI (MOLTO BRUTTI), SPORCHI (MOLTO SPORCHI), CATTIVI (MA BISOGNA ESSERLO DI PIU’)

Brutti, sporchi, cattivi. Brutto il Verona lo è. Molto brutto. Tranne qualche colpa di genio (tipo la rovesciata di Ngonge) questa squadra gioca male ed è brutta. Dovessimo guardare all’estetica sarebbe meglio fare un giro ai mercatini di Natale che andare sugli spalti del Bentegodi. Sporchi lo siamo da sempre. Basta guardare ai gol che facciamo. Gol incredibili o gol “de scarafon” come quello di Henry di oggi che ha segnato con il bacino. Cattivi… ecco, sarebbe bello lo fossimo un po’ di più, con qualche legnata ben assestata proprio a compensare quella mancanza di estetica di cui sopra… Ma insomma… Questo passa il convento signore e signori e anche a me piacerebbe vedere un Verona che avesse un senso, gioco sulle fasce, sovrapposizioni, tempi di gioco. Un Verona in cui fosse facile prevedere le sostituzioni, in cui tutto avesse una logica. Ma questo piccolo “mostricciatolo” che Marco Baroni sta cercando di pilotare verso una difficile salvezza, almeno ha un po’ d’anima. Ecco, non si può dire che non ci sia anima in questa squadra. Non sarà spettacolare ma non può essere neanche un caso che tutte le grandi giochino male contro di noi. Ha giocato male il Napoli (e infatti vi ricordate i rimpianti per la sconfitta?), il Milan (e anche qui giù di rimpianti), l’Atalanta (altra occasione mancata), la Juve (gol della beffa al 96′ e commenti del tipo: contro una Juve così bisognava approfittarne) e oggi la grande Lazio di Sarri. Meno male che è arrivato un punto, che secondo me non è casuale, come non è casualità che da tre gare si vada sotto e si recuperi. Sotto sotto c’è del valore in questa squadra, e le cose state certi andranno solo che meglio. Vogliamo parlare di tutte le emergenze che Baroni ha dovuto affrontare fino ad oggi? Basti vedere la difesa schierata nelle ultime due gare, con giocatori adattati e altri quasi mandati allo sbaraglio e a tutta la girandola di infortuni che ci hanno falcidiato dall’inizio sino ad oggi. Non appena il mister potrà lavorare un attimo sulla rosa al completo (e con giocatori in forma, non gente appena recuperata come Hien), sicuramente non potrà che andare meglio.

E infatti non appena Henry è arrivato ad una forma decente s’è visto quanto sia mancato un giocatore con quelle caratteristiche. Anche qui non è un caso: due apparizioni, due reti. Lasciatelo tornare in forma e forse anche il problema del gol sarà risolto. Sarà quest’aria natalizia, sarà perché il Verona ci ha abituato ai miracoli e a grandi sorprese, ma non vedo il futuro neo come un mese fa. Stiamo guarendo e a fine anno dopo aver giocato contro Cagliari e Salernitana speriamo di esserne tutti più convinti.

IL DESTINO DEL VERONA CAPOVOLTO DA UN GOL (FANTASTICO) IN ROVESCIATA

E’ successo ancora. Maledizione. Ancora una volta, come sempre. Quella maledetta squadra che fa arrabbiare, discutere, che ci fa incazzare, che pare una masnada di giocatori “strassi”, con un allenatore “mollo”, che non fa i cambi giusti, che rischia di perdere una partita che doveva vincere, alla fine è riuscita ancora a farci commuovere. Finisce sempre così questa storia.

E’ l’Hellas Verona, bellezza. E’ la magia del calcio, di un gol (fantastico) in rovesciata, di Cyril Ngonge, il nostro nuovo campioncino, è la storia di una difesa che non c’è, un po’ come l’isola di Peter Pan, è la testa di Henry che sbuca fuori al 96′ quando anche la speranza ha lasciato lo stadio. E’ tutto incredibilmente bello, tutto gialloblù, forse, recuperando un po’ di razionalità, è la partita della svolta.

Due gare in cui si poteva perdere ma non si è perso, in cui il Verona ha recuperato, ha creato, ha tirato. Tante volte quanto prima non s’era visto, anche se tutti i difetti non si cancellano con una spugna come d’incanto. La prudenza di Baroni, i gol presi che neppure i pulcini e chissà perchè bisogna andare sotto di due gol per iniziare a giocare liberi nella testa, senza nulla da perdere.

Ma vediamo anche le cose buone. Oggi c’è un gioco sulle fasce: Terracciano, umilissimo guerriero a sinistra, super adattato ma sempre dentro la partita, e Tchatchoua, l’uomo con i bulloni nel collo, sul quale era facile fare ironia quest’estate che finalmente stantuffa a destra. E Suslov con le sue gambette da formichina che ara il centrocampo e Duda che disegna geometrie.

E poi lui: Cirillo il Pazzo. Capolavoro di mercato di Sean Sogliano, costato zero euro (va bene ricordarlo ai distratti), che migliora di partita in partita, sempre più convinto, sempre più leader. Avesse segnato un gol così Vlahovic o Martinez dell’Inter sarebbero qui a farne una fogna che non finisce più. Ma forse è meglio così. Meno copertina, meno possibilità di esporlo in vetrina e più ce lo godiamo noi.

Ci salviamo? Bella domanda. E’ durissima amici miei, molto più dura della scorsa stagione. Ma le ultime gare ci danno due certezze. La prima è che Baroni non ha una squadraccia ma ha anche giocatori di valore. La seconda: il Verona non ha mollato, pur con tutti i suoi limiti e le difficoltà. Se volete due buone notizie.

SETTI, IL VERONA E QUELLA DISAFFEZIONE PERICOLOSA CHE NON SI RIESCE PIU’ A FERMARE

Leggo su Repubblica una bella intervista a Paolo Maldini, bandiera del Milan, “scaricato” dal fondo d’investimento proprietario della società rossonera. Spiega Maldini: “Ci sono persone che sono di passaggio in istituzioni come il Milan, nel mondo dei club di calcio di profilo internazionale, e che non hanno un reale rispetto della sua identità e della sua storia. Non sono incaricate e non si muovono per dare una visione per le nuove generazioni di tifosi. Spesso sono manager che vengono a lavorare in un grande club di grande prestigio e popolarità anche per migliorare il proprio curriculum e poi andare da un’altra parte. Per contro, invece, ci sono persone che hanno a cuore tutte queste cose, molto più a lungo termine e molto più legate agli ideali che il club, nel corso della sua storia, ha insegnato a tanti, sul campo e fuori. Purtroppo, nel calcio professionistico moderno, la popolazione della prima tipologia di persone sta diventando sempre più numerosa. Io credo che bisognerebbe tenersi stretto chi è portatore di ideali e orienta il proprio lavoro per salvaguardarne valori e identità”.

Le parole di Maldini mi hanno fatto riflettere: non tanto sul Milan, ma sul Verona, la squadra della nostra città. Che cos’è oggi il Verona, quale impianto “ideologico” promuove, quali sono i suoi obiettivi, esiste un “appeal” nei confronti delle nuove generazioni, distratte da altre squadre, sport, campioni?

Purtroppo la verità è che non esiste nulla di tutto questo. La gestione Setti ha allontanato in maniera tragica la massa dei fans dall’Hellas. Il Verona, per carità, resta un importantissimo asset della città, ancora oggi uno dei biglietti da visita di Verona, ma quasi completamente “spogliato” di ogni romanticismo, che sopravvive nel cuore e nella mente di ogni singolo tifoso ma che non riesce a trovare più nella società scaligera il motore primo di questo incredibile amore.

La squadra, cioè l’asset sportivo se vogliamo parlare con il linguaggio del manager, è lontanissimo da ogni tifoso. Si allena isolata, lontana dagli occhi e dal cuore di chi la sostiene poi alla domenica allo stadio. La disaffezione è evidente. Non esiste un minimo contatto diretto con il giocatore che non si abbevera delle emozioni dei tifosi, della loro carica, anche del loro malumore. Spesso le prestazioni in campo non ricalcano il calore dello stadio, la passione del veronese.

Ridurre poi il calcio e soprattutto il Verona ad un arido ambito commerciale, dedito a bilanci, plusvalenze ha creato una mentalità distorta persino nel tifoso più romantico. Basta scorrere un qualsiasi social in tempo di calcio mercato per capire che ormai anche il tifoso sia permeato da valori che sono lontani dal sogno sportivo di creare cioè sempre una grande squadra o comunque la migliore possibile. Si parla di quotazioni, di formule, di cessioni ancora prima che di campioni o futuri campioni che possano rafforzare quella squadra. La mancanza di emozioni di Setti, sempre freddo sugli spalti quanto glaciale quando deve cedere un giocatore, persino quelli giovani, ha creato un ulteriore scollamento. Non ci può innamorare di un giocatore perché puntale arriva l’inevitabile cessione che tra l’altro mai porta a creare qualcosa di più importante, di alzare il livello, come magari è successo all’Atalanta. Si vende per sopravvivere, vivacchiare, per salvarsi, senza ambizione, senza sognare.

Il Verona non ha un grande campione di riferimento, non ha una bandiera. Non appena un giovane calciatore riesce ad esplodere viene ceduto, sull’altare del bilancio e della plusvalenza. Ma come fa un ragazzino ad innamorarsi senza questi riferimenti? Tutti noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere i meravigliosi anni ’80 nella nostra adolescenza, avevamo sui muri delle nostre camerette i posters dei nostri campioni preferiti. Personalmente dormivo tra Elkjaer e Fanna che accompagnavano i miei sogni notturni. Ma oggi, un ragazzino chi potrebbe avere come “mito”? Jorginho, ceduto a gennaio? Simeone, ceduto ai primi gol? Caprari, svenduto al Monza?

Maldini tocca poi un altro aspetto, non meno secondario. Quello dei manager che vengono, passano, a volte distruggono, molto spesso “mangiano”. Ne abbiamo viste a decine a Verona. Gente che, tranne eccezioni, non ha dato nulla, semmai tolto. Nel Verona non esiste praticamente nessuno che incarni veramente la storia dell’Hellas Verona, che sappia tramandare quello spirito. Setti non conosceva nemmeno la storia della sua società e volutamente ha sempre allontanato dai ruoli chiave chi incarnava quello spirito. Lasciamo stare gli incarichi di facciata, come la presidenza onoraria di Osvaldo Bagnoli, che sono serviti più a mettersi l’anima in pace proprio per ribattere a questa accusa, che a dare veramente un senso di appartenenza.

Setti è figlio del calcio moderno, di quel calcio che in Italia sta sempre più precipitando verso il baratro. Non gliene faccio una colpa. A livelli di risultati resto convinto sia uno dei migliori presidenti avuti da trent’anni a questa parte, ma è indubbio che mai il Verona squadra e la città siano stati così distanti. Ed è un gioco pericoloso. Non pensare ai giovani, ai futuri tifosi, alle nuove generazioni, porterà ad una desertificazione del Bentegodi, ad un impoverimento del valore della società, ad un ridimensionamento del fenomeno. Oggi l’Hellas è ancora vivo e vegeto perché vi sono generazioni che lo tengono in vita, che ne animano ancora la discussione, che ne custodiscono gelosamente tradizioni, vittorie e sconfitte.

Sono temi che alla vigilia di un futuro passaggio di consegne della società vanno a maggior ragione ribaditi. Il Verona non è e non sarà mai una semplice società per azioni, un’impresa commerciale. E’ una banca di sogni, emozioni, ricordi. Se perde questa “mission” sarà solo un vuoto e decadente magazzino.