"Metaforicamente, ogni settimana, i tifosi uccidono una grande preda e il momento dell’uccisione è rappresentato dal goal. Quando la palla colpisce la rete, è come se la tribù avesse ucciso un temibile animale e tutti allora possono festeggiare l’avvenimento".
Non so se il mio collega Luca Fioravanti ha mai letto Desmond Morris e il suo libro "La Tribù del calcio".
L’antropologo inglese, famoso per aver scritto "La scimmia nuda", paragonava il "rito" calcistico ad un rito tribale, in cui appunto due opposte fazioni si contendevano una preda e in cui la sublimazione dell’uccisione era rappresentata da un gol.
Il calcio, dunque, è un rito antico, una sorta di "messa", dilatando il concetto, è qualcosa di magico che appartiene alla stessa socialità dell’uomo. Ci sono due squadre, una vince, l’altra perde. Questo è il concetto che mi affascina del calcio. Ed è per questo che non capisco francamente quando recentemente Fioravanti in un suo topic ha parlato di odio nei confronti del Chievo (o del Verona), odio che sarebbe stemperato da chi come Luca segue con simpatia entrambe le squadre.
Fatto salvo che ognuno è libero di fare quello che vuole (quindi anche di tifare due, tre, quattro persino cinque squadre), l’analisi che faccio io parte da presupposti diversi da quelli di Fioravanti.
Il calcio è lotta, battaglia, "caccia" come dice Morris. Dentro quel campo, all’interno di regole predefinite e seguendo un fair-play non scritto, io "appartengo" ad una delle due tribù, o se volete delle due fazioni. Si vince e si perde. Questo è il senso più alto del calcio e dello sport in genere. Ma se accettiamo l’idea che si può "appartenere" a più fazioni, a più tribù, si rifiuta l’idea che esiste una sconfitta che è l’esatto contraltare di un successo, anzi è persino il suo stesso essere. Mi spiego meglio: non c’è vittoria se non c’è sconfitta. Non esiste squadra al mondo che non conosca le sconfitte e tutti i cicli, anche i più lunghi e gloriosi sono per definizione destinati a chiudersi. E’ finita la Juve, l’Inter, il Real Madrid, il Milan. Ma poi tutti si sono ripresi e sono ripartiti. E i tifosi del Milan ricorderanno sì le vittorie in Champions ma al contempo si ricorderanno la serie B, così come quelli della Juve, mai così uniti da quella retrocessione a tavolino e via discorrendo.
Questo è possibile solo ed esclusivamente perchè c’è un senso di appartenenza e nessun tifoso del Milan si sognerebbe di tifare Juve così come nessun interista penserebbe mai di passare sulla sponda rossonera solo perchè il Milan ha vinto tanto e per tanto tempo.
Ora perchè questo è valido ovunque e non a Verona? E perchè una semplice e sana rivalità come quella tra Verona e Chievo deve essere per forza innondata di odio? Chi come il sottoscritto è andato dicendo in questi anni che era assurdo tifare per due squadre, sebbene della propria città è stato descritto come "fomentatore", "pianta-grane", "giornalista-ultras". Cioè il mio discorso che è di altissimo livello "sportivo" è stato visto e letto come un discorso "antisportivo".
Capisco che forse questo (il fatto di avere un "pubblico mobile"… un po’ di qua, un po’ di là) era il "disegno" di qualche "genio" (che qualcuno continua a descrivere come "potere forte"…) e che devo in qualche modo aver rotto le scatole a chi pensava che l’amore per una squadra fosse intercambiabile come il pezzo di plastica di una costruzione Lego.
Per adesso ho avuto ragione io. L’amore per una squadra di calcio non è intercambiabile. E il calcio non è a
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