Inizio subito col dire, per anticipare inevitabili commenti, che l’argomento non è di "scottante" attualità, nè di straordinaria importanza.
Oggi sono andato per la prima volta al campo d’allenamento di Sandrà.
Senza giri di parole: non m’è sembrato adatto per il Verona. Se questa è la squadra che rappresenta la città, come ha detto il sindaco Tosi, non si può allenare così lontano dalla città.
Il campo di Sandrà non è un centro sportivo, ma semplicemente un campo di provincia. Capisco l’affetto che il presidente Martinelli, che proviene da questo paese, prova per il "suo" ambiente, ma francamente mi pare assurdo che l’Hellas venga sottratto all’affetto dei suoi tifosi solo perchè l’affitto dell’antistadio è eccessivo.
Capirei se la scelta fosse stata fatta in virtù di un grande progetto: un impianto a tutti gli effetti di proprietà dell’Hellas con tutte le comodità che una struttura di questo tipo può offrire.
Così però, c’è la sensazione di qualcosa di precario, di una trasferta perenne, come se l’Hellas cercasse una "casa" senza averla ancora trovata e nel frattempo venisse ospitato da un buon amico.
Credo che abbiamo un po’ tutti sottovalutato l’impatto di questa scelta. Dettata (giustamente) da una logica economica.
Ma la faccenda non può dirsi chiusa qui. L’assessore allo sport Sboarina, il presidente Martinelli e l’amministratore Siciliano hanno il dovere di ritrovarsi attorno ad un tavolo per arrivare ad un accordo.
Altrimenti tutti i discorsi ascoltati in queste settimane sul "Verona patrimonio della città e dei veronesi" rischiano di diventare già ora aria fritta. L’Hellas deve tornare ad allenarsi in città, al Bentegodi o lì vicino. Di trasferte, lunghe e difficili, quest’anno, ce ne saranno già a sufficienza.
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