Oggi i giornalisti italiani fanno sciopero contro una legge che, se approvata, è abominevole. Una legge che, a mio avviso, tenta di annullare il ruolo di “cane da guardia” della stampa. Restando in tema calcistico, se la legge fosse stata approvata, non avremo saputo nulla di calciopoli, delle imbarazzanti telefonate di Moggi (anche a giornalisti ancora presenti nell’Ordine e che continuano a scrivere su prestigiosi giornali…), di uno scandalo che ha ridotto il calcio italiano ad una barzelletta. Non mi piace il principio della legge, anche se non è giusto sputtanare chi non c’entra nulla con un’inchiesta solo per il gusto di fare gossip.
Per contrastare questa legge, definita “legge bavaglio”, la Fnsi, ha indetto per oggi uno sciopero che è tradizionalmente un mezzo, l’unico mezzo, che hanno i lavoratori per far sentire la loro voce. Il problema è che la “controparte” stavolta non è rappresentata dagli editori (che in maggioranza sono d’accordo con i giornalisti), ma la politica, o una parte di essa.
Mi sono chiesto, dunque, se l’arma dello sciopero è la più giusta per far conoscere alla gente l’importanza di questa battaglia. Ed ho concluso che è un mezzo sbagliato, inefficace, vecchio. Se c’è chi ti vuole imbavagliare, devi contrastarlo ampliando l’informazione e non facendo silenzio. Insomma, contro il bavaglio io non m’imbavaglio.
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