Tre considerazione attorno ad Eluana e alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto il “diritto di morire”.
Primo. Chi non condivide questa sentenza sostiene che siamo di fronte ad una introduzione surrettizia dell’eutanasia nel nostro Paese. Non è così, è molto peggio. Perchè siamo di fronte alla più pericolosa delle degenerazioni che può seguire all’introduzione dell’eutanasia: quando cioè non è il diretto interessato a decidere della propria morte, ma è un altro che lo fa al suo posto. Nella fattispecie il padre di Eluana. Il quale sostiene che sua figlia, prima dell’incidente che 17 anni fa la ridusse in coma, ogni qualvolta vedeva una persona in quello stato affermava che lei, piuttosto di ridursi così, avrebbe preferito farla finita, cioè morire. Non escludo di aver detto anch’io qualcosa del genere in passato, il che però non da ai miei figli il diritto di darmi la morte quando (tra poco) sarò completamente incapace di intendere e di volere…Perchè si possa parlare di eutanasia, ci vuole una chiara ed inequivocabile espressione di volontà del diretto interessato. Non di un qualunque parente per quanto stretto, per quanto affezzionato, per quanto in buona fede. Infatti nel caso che oggi tutti ricordiamo, quello di Piergiorgio Welby, fu lui che fino all’ultimo e in piena coscienza rivendicava il diritto di morire. Non era sua moglie a raccontarci che 17 anni prima aveva espresso quel desiderio. Con Welby fu eutanasia, non lo è con Eluana.
Secondo. Nel caso di Eluana nemmeno Travaglio riesce…ad infilarci Silvio Berlusconi. E, non essendoci di mezzzo il Cavaiere nero, tutti dovrebbero capire quanto sia oggi invasivo e discrezionale il ruolo assunto da taluni magistrati. E’ infatti indiscutibile che al momento l’eutanasia è vietata dalle leggi italiane. Leggi che naturalmente si possono modificare, ma solo con la sovranità popolare espressa indirettamente, dal Parlamento, e/o direttamente attraverso un referendum. Proprio così furono introdotti nel nostro Paese prima il divorzio e poi l’aborto: con leggi confermate da un referendum. Sarebbe stato immaginabile introdurre divorzio e aborto attraverso la sentenza di una Corte d’Appello? No, chiunque l’avrebbe giudicata una forzatura inaudita. E altrettanto vale oggi per l’eutanasia.
Terzo. Proprio come nel caso di divorzio ed aborto anche con l’eutanasia siamo di fronte a questioni che hanno grandi implicazioni etiche, nel senso che legalizzandoli andiamo a modificare valori e regole di vita della nostra società. Non mi sembra dunque corretto invocare la dimensione privatistica: cioè sostenere che, se anche non sei favorevole, tu singolarmente non vi fai ricorso, ma devi riconoscere a chi lo vuole il diritto di utilizzarli. E’ un ragionamento da Ponzio Pilato. Se sono convinto che l’eutanasia sia un male per la società in cui vivo, se credo che diffonda la cultura della morte, ho il dovere di battermi contro la sua introduzione, non posso limitarmi a dire che io non vi farò mai ricorso. Salvo poi prendere atto, se così succede, che la maggioranza del Parlamento e dei cittadini ha deciso in maniera diversa dalle mie convinzioni.
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