Tangenti e casellanti. Partiamo dalle tangenti, cioè dalla bufera di inchieste giudiziarie che si sono abbattute sul Pd. Il parallelo è inevitabile: vuoi vedere che i democratici faranno la stessa fine dei socialisti di Craxi? E che Veltroni andrà sì in Africa (sua antica ambizione) ma…ad Hammamet, come ironizza Filippo Facci sul Giornale? Tante sono le ragioni che spiegano la nuova tangentopoli abbattutasi sul Pd e spesso sono concause che si sommano: è mancato il rinnovo della classe dirigente, si è affievolito l’orgoglio della diversità, è stato fatale l’innesto dei margheritini ex democristiani…Ce n’è da sbizzarrirsi. Guardate anche il sondaggio sull’ Homepage di Telenuovo; tra le ipotesi lì formulate, trovo intrigante quella che ipotizza una mossa dei pm a tutto beneficio dell’ex pm Antonio Di Pietro: è un dato di fatto che la mazzata delle inchieste si abbatte sul Pd nel momento in cui è in atto l’esodo elettorale verso l’Italia dei Valori. E’ una semplice coincidenza o c’è un voluto rapporto di causa effetto? Propendo per la seconda spiegazione. Anche perché oggi più che mai (dopo l’uscita di scena di Violante) è Di Pietro il referente politico dei magistrati e dei loro interessi di casta.
Aggiungiamoci inoltre la pietra dello scandalo del nostro sistema giudiziario. Cioè un’azione penale che in teoria è obbligatoria mentre in pratica è del tutto discrezionale; perché i pm, sommersi dalla valanga di notizie di reato, nell’impossibilità di dare un seguito a tutte, devono fatalmente scegliere. Ma – ed è questo il punto – non scelgono bendati come il bambino che estrae i numeri del Lotto. Scelgono invece con i numeri, cioè con i fascicoli, aperti sulla scrivania; e decidono: questo sì, quest’altro anche , questo no perché sono oberato di lavoro. Insomma scelgono e, finché possono scegliere, rimarrà sempre il sospetto che lo facciano in funzione della risonanza mediatica che garantisce una certa inchiesta; e meglio ancora se si combina con un “favore” ad un ex collega e attuale referente politico.
Dopo di che veniamo ai casellanti, cioè ad una piccola notizia che riporta a fondo pagina Repubblica nel giorno in cui tutti i quotidiani aprono con titoloni sulla nuova tangentopoli abbattutasi sul Pd. Una notizia dal risalto secondario e che invece ci ricorda come esista nel nostro Paese una tangentopoli ben più vasta, sistematica e, per giunta, legalizzata: quella delle assunzioni clientelari nel pubblico impiego. Repubblica (Repubblica, non la Padania) racconta infatti che in Sicilia ci sono 250 chilometri di rete autostradale, con 24 caselli in tutto, e ben 500 casellanti! Due per ogni chilometro di autostrada! Ovviamente sono inutili, non lavorano, sono stati assunti per motivi clientelari o per la malintesa “SanVincenzo sociale”. Ed è solo l’ultimo, piccolo, esempio di un settore pubblico gonfiato a dismisura, che ha più bidelli che carabinieri (e, attenzione: sono troppi anche i carabinieri) che ha tanti finanzieri quanti sarebbero giustificati solo da un’evasione fiscale zero, che ha quasi più insegnati che studenti. Insomma un settore pubblico allargato dove i dipendenti inutili sono almeno un milione. Inutili, ma pagati ogni mese, anno dopo anno, per sempre a carico della fiscalità generale.
Altro che “tesoro” di Craxi, altro che tangenti sul petrolio in Basilicata o per la manutenzione della strade di Napoli. Le cifre della tangentopoli legalizzata, che siamo chiamati a pagare noi contribuenti, sono cifre da capogiro. Esiste, certo, anche l’altra vergogna. Però la prima questione morale italiana è rappresentata dai tanti, dai tantissimi, casellanti inutili.
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