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DALL’ELETTRICISTA AL BANCHIERE

 

 

 

 

 

Dall’elettricista al banchiere. Sentite un po’ cosa mi hanno raccontato due conoscenti, due professionisti che operano in ambiti molto diversi; ma che alla fine fanno un’analisi complementare che ci fa capire quanto male è ridotto il nostro Paese.

L’elettricista mi ha spiegato che lui, come ogni altro artigiano, come chiunque abbia un’attività produttiva, ha dovuto seguire un corso di primo soccorso. Siamo un Paese molto avanzato, da noi c’è la prevenzione e, se uno si sente male finché è nella tua bottega, nella tua officina, nel tuo ufficio o nel negozio, zac: tu conosci il primo soccorso e gli salvi la vita. E così il bravo elettricista ha frequentato le 32 ore del corso, sottraendole al suo lavoro, ha pagato 2.400 euro, in aggiunta alle tasse e ai balzelli che già gravano su chiunque abbia un attività. Peccato solo che terminato l’addestramento il responsabile del corso gli abbia spiegato: se qualcuno si sente male davvero, non sognarti di toccarlo! Rischi di avere rogne a non finire! Tu limitati a chiamare il 118…Ovvia la conclusione dell’elettricista: il 118 lo chiamavo anche senza perdere 32 ore e senza spendere 2.400 euro.

Discorso identico per la sicurezza. In ogni ambito di lavoro (non parliamo della Thissen e degli altri posti dove servirebbe davvero), in qualunque ufficietto, dove il massimo del rischio è di inciampare come sulla pubblica via, deve esserci il responsabile della sicurezza (avete presente il capo fabbricato di memoria fascista o sovietica?); e anche qui ci sono corsi da frequentare, tempo da perdere, somme da pagare. Del tutto inutilmente per chi lavora e produce; ma a beneficio di chi vende i corsi, di chi li istruisce, dello Stato che incassa tasse aggiuntive.

Insomma un fiume di leggi, di adempimenti, di forche caudine burocratiche hanno uno scopo preciso e studiato: taglieggiare il popolo dei produttori; quelli che, appunto, producono sul serio la ricchezza; che oggi in particolare andrebbero aiutati perchè perdono le commesse e i posti di lavoro. E, prima ancora di perdere il lavoro, per la paura, sono già entrati in recessione cioè hanno cominciato a tagliare i propri consumi. Invece di aiutare loro aiutiamo il comune di Palermo: altri 280 milioni di euro perchè continui a sperperarli come ha fatto fino ad adesso.

Veniamo al banchiere, al vertice di uno degli istituti di credito importanti che hanno il polso della situazione. Mi faceva un quadro fosco di un Veneto dove la crisi si sente eccome, dove interi comparti stanno lasciando a casa i dipendenti a raffica; un tessuto produttivo diffuso che non ha nemmeno gli ammortizzatori sociali delle grandi aziende del Nordovest. Mi spiegava anche lui che i dipendenti del settore privato hanno già cominciato a tagliare i propri consumi per paura di restare senza lavoro. E poi aggiungeva: sa qual’è l’unico posto dove non senti la crisi? E’ Roma, perchè là sono praticamente tutti pubblici dipendenti, statali o ministeriali, non esiste che possano perdere il lavoro o andare in cassa integrazione, e quindi continuano a spendere come prima e come sempre. E, pensavo io, non hanno bisogno di frequentare corsi né di farsi taglieggiare. Se li frequentano e “per aggiornarsi”, cioè una vacanza pagata dallo Stato.

Le due Italie, che in parte ci sono sempre state. Adesso però la crisi economica si fa sentire sempre di più. E allora, come dicono a Milano, “dura minga”: non può durare. Sono contraddizioni troppo esplosive quelle che mi hanno raccontato l’elettricista e il banchiere. O non accadrà nulla nemmeno ‘sta volta?

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