L’analisi più interessante (e più sconsolante) sui nuovi scenari politici che si delineano con la nascita del Pdl mi sembra l’abbia fatta Luca Ricolfi su La Stampa. Parto dalla conclusione del suo editoriale: “Chi vuole un vero cambiamento non sa chi votare, e chi vuole votare non può aspettarsi un vero cambiamento”.
Un cambiamento serio non arriverà mai perché – spiega Ricolfi – i due maggiori partiti, Pdl e Pd, sono entrambi due partiti conservatori di massa: “La sinistra non ha la minima intenzione di disturbare la sua base sociale fatta di pensionati e lavoratori garantiti, la destra non ha la minima intenzione di disturbare la propria fatta di partite Iva, ceti professionali, imprenditori. La sinistra non avrà mai il coraggio di riformare il mercato del lavoro, sfidare i sindacati, abbandonare le corporazioni dei magistrati, degli insegnanti, dei professori universitari. La destra non avrà mai il coraggio di combattere l’evasione fiscale, estirpare il lavoro nero, liberalizzare il commercio e le professioni, difendere i consumatori dagli abusi delle imprese piccole o grandi che siano”.
Il Partito democratico ha già dimostrato ampiamente di “non essere il partito riformista, coraggioso e liberale, che le sue migliori intelligenze hanno sognato per anni”. E adesso, spiega sempre Luca Ricolfi, anche Forza Italia ha abbandonato quella rivoluzione liberale che l’aveva caratterizzata alla nascita e per i primi dieci anni, da quando “ha capito che spingersi troppo in là nella strada delle riforme avrebbe compromesso le basi del proprio consenso elettorale”. Aggiungiamoci An che “non è mai stato un partito modernizzatore” e si capisce come il nuovo Pdl non possa che essere un partito conservatore di massa. Quindi al governo e all’opposizione troviamo oggi due partiti conservatori di massa che però – attenzione – non sono che lo specchio di un’opinione pubblica largamente conservatrice. Torniamo all’analisi di Ricolfi: ” Purtroppo le forze che puntano alla modernizzazione dell’Italia sono in minoranza sia nel Paese sia in Parlamento…La nostra cultura politica resta fondamentalmente figlia delle tre grandi ideologie del secolo scorso, il comunismo, il fascismo, il cattolicesimo. Oggi la patina ideologica si è ritirata, ma la scorza più dura – fatta di statalismo, dirigismo, paternalismo – è ben in vista e si sta anzi irrobustendo: la crisi economica aumenta la domanda di protezione e di tutela, mentre la libertà individuale sta diventando una sorta di bene di lusso, che viene dopo la sicurezza economica e personale”.
Abbandonata e “tradita” la rivoluzione liberale – perché sgradita alla larga maggioranza degli italiani – Berlusconi, che con la maggioranza degli italiani è in sintonia, ha coerentemente rifondato la Dc chiamandola Pdl. E la stessa Lega, al di là degli scontri per il potere che vedremo alle amministrative di giugno e alle regionali dell’anno prossimo, non è che una variante territoriale della Dc; una sorta di Cdu trapiantata dalla Baviera al Lombardo-Veneto. Giacché – sottolinea sempre Ricolfi – “Tutti i partiti, Lega compresa, sono impegnati anzitutto a tutelare il potere degli amministratori locali, e si oppongono tenacemente a qualsiasi norma che rischi di ridurre le risorse a loro disposizione, o di diminuire il loro potere di nomina: non per nulla né il centro-sinistra né il centro-destra hanno avuto il coraggio di varare una riforma incisiva dei servizi pubblici locali; non per nulla il federalismo fiscale è stato progressivamente annacquato per venire incontro al ceto politico dei territori più spreconi”.
Il quadro delineato da Luca Ricolfi è l’antitesi della visione liberale. Restiamo appunto l’Italia delle corporazioni, del paternalismo, del dirigismo tipici delle culture politiche fascista, democristiana, comunista (culture politiche concorrenziali tra loro, ma mai antitetiche…). Quindi la piccola minoranza che vorrebbe invece una modernizzazione del nostro Paese si trova nella condizione indicata dall’editorialista de La Stampa: non sa chi votare.
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