Basta con queste ronde, diamoci in taglio. Da troppi mesi sono al centro delle discussioni come se fossero una questione vitale per la sicurezza. Lo stesso Napolitano firma con riserva il decreto perché è preoccupato che vengano istituzionalizzate le ronde. Facciamo così: diciamo che non servono a nulla (come, per altro, serve poco o nulla una gran fetta del volontariato); di certo non sono decisive né in positivo né in negativo.
Sono ben altri gli snodi cruciali per la sicurezza. Basta guardare agli esempi che arrivano quotidianamente dal nostro territorio. Come questa banda di predoni moldavi arrestata negli ultimi giorni. Avevano la loro base a Padova ma razziavano – abitazioni, garage, negozi, cantieri – anche a Verona, a Mantova, sul Lago di Garda. Razziavano e al telefono tra loro dicevano: “Siamo i padroni della città, siamo i re di Padova. Non ci prenderanno di certo questi scemi di poliziotti”. La convinzione totale dell’impunità, unita ad un altra certezza: “E, se anche ci prendono cosa volete che succeda? In due-tre giorni siamo di nuovo fuori…”
Altro che ronde. Ecco dove crolla la sicurezza: quando alla certezza della pena subentra la certezza dell’impunità, la certezza che in galera comunque non ci resti. Certezza suffragata da una catena ininterrotta di decisioni della magistratura. L’ultima ad Anzio dove i carabinieri hanno arrestato sette razziatori rumeni e i giudici ne hanno già rimessi sei in libertà. Non vi pare che Napolitano – da presidente del Consiglio superiore della magistratura – dovrebbe stigmatizzare l’operato di tanti giudici più che preoccuparsi del pannicello caldo (o freddo) delle ronde?
Si potrebbe obiettare che è carente la legge se, sempre a Padova, non avessimo sotto gli occhi la dimostrazione che il problema è invece la discrezionalità del magistrato nello stabilire che c’è il pericolo di reiterazione del reato, e quindi mantenere in carcere l’accusato, oppure escluderlo e rimetterlo in libertà. La dimostrazione è fornita dalla vicenda del “re” dei rifiuti, Levio Loris, accusato per un traffico internazionale di rifiuti tossici e nocivi. Appena arrestato Loris ha pensato anche lui di fare il duro come un predone moldavo, rifiutandosi di rispondere alle domande del magistrato. Il quale però ha buttato via la chiave, cioè lo ha lasciato a languire in carcere per tre settimane. Ed il predone è subito diventato un agnellino: ha chiesto lui di essere interrogato ed ha risposto a tutte le domande.
Con Levio Loris i magistrati hanno scelto di adottare la stessa tecnica usata con la prima ondata di arrestati per Tangentopoli: dentro finchè non confessavano. Con le ondate successive di arresti non servì nemmeno lasciarli in carcere perchè sapevano che avrebbero fatto quella fine e quindi parlarono immediatamente. Tutto questo si chiama deterrenza. La usassimo, la usassero i magistrati anche con i predoni moldavi piuttosto che con i razziatori rumeni – lasciandoli a languire per mesi nelle carceri – non sentiremmo più nessuno dire “tanto torno fuori in due-tre giorni”. Esattamente come nella fase calda di Tangentopoli nessun politico pensava di potersela cavare a buon mercato.
Purtroppo l’impressione è che sia l’ideologia, più che i codici, a determinare la scelta operativa di certi magistrati: con Levio Loris butto via la chiave perchè è uno sporco capitalista, mentre il predone moldavo lo rimetto in libertà perchè è un povero diseredato. Magari sarà anche così. Non dimentichiamo però che i reati attribuiti a Levio Loris, per quanto oggettivamente gravi, non destano allarme sociale; mentre lo destano eccome i furti e le rapine compiuti dai predoni stranieri, per quanto diseredati possano essere.
Aspettiamo dunque un fermo intervento del Colle. Non – sia chiaro – per rimettere subito in libertà i vari Levio Loris, ma per fare restare in galera almeno lo stesso tempo anche i tanti delinquenti stranieri.
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