“Non andatevene”, “possiamo crescere”, “dobbiamo avere fiducia nelle potenzialità del nostro Paese”. Con queste parole il presidente Napolitano ha lanciato oggi ai giovani un appello contrario a quello dell’ex direttore generale Rai, Pier Luigi Celli, che nei giorni scorsi aveva invitato suo figlio ad andarsene via dall’Italia, a costruirsi altrove il suo futuro.
L’esortazione del presidente della Repubblica, mi ricordano quelle ricorrenti a “comprare italiano” per aiutare le nostre industrie. Della serie: compratevi una Fiat perchè è un’auto italiana. Col cavolo. Compro la Fiat solo se nel rapporto qualità prezzo è più vantaggiosa della Volkswagen; altrimenti mi prendo la Golf, e non mi sento certo un traditore della Patria perchè ho scelto un auto tedesca.
Mi sembra inevitabile, oltre che giusto, che oggi i giovani nell’era della globalizzazione scelgano in quale Paese del mondo andare a vivere e lavorare. Che scelgano in base a tutta una serie di variabili: l’opportunità di reddito, la qualità del welfare, il clima, l’ordine o la trasgressione che regnano in un certo Paese. E mi sembra logico che lo facciano non solo i giovani laureandi, come il figlio di Celli, ma anche i giovani artigiani, operai, ragionieri; chiunque abbia una vita davanti.
Si potrà obiettare che noi anziani siamo più maturi, e magari compiremmo una scelta più oculata; purtroppo però abbiamo un’età in cui ci resta da scegliere solo il cimitero…(oppure i Caraibi, dove vivere decentemente anche con la pensione sociale…). Ma un giovane perchè mai dovrebbe chiudersi in partenza l’orizzonte delle opportunità invece che aprirlo? Dovrebbe farlo in omaggio alla sua Patria? A questa Patria italiana che per prima li ha traditi: nel senso che non ha trasmesso loro nemmeno un’idea comune, un sistema di valori condivisi. Ed invece – proprio come ha sottolineato Celli – continua quotidianamente a proporre una lezione di scontri e divisioni. Noi italiani perennemente in guerra civile: cinquant’anni fa divisi tra fascisti e antifascisti, cinquant’anni dopo tra berlusconiani e antiberlusconiani…Come si fa a dire ad un giovane che ha il dovere di restare qui, di impegnarsi a migliorare quel Paese che già Mussolini aveva compreso e proclamato essere ingovernabile? (“Non è difficile, è inutile provare a governare gli italiani”). Con che coscienza il presidente Napolitano li imbroglia fingendo di credere a ciò che lui per primo non crede, cioè che si possa riformare l’Italia?
L’Italia vera è quella che ha dipinto Celli nella pubblica lettera scritta a suo figlio (sulle pagine di Repubblica): un Paese dove non esiste il merito, soffocato dalle corporazioni; dove fa agio il nepotismo, l’affiliazione politica e di clan; dove non sai nemmeno se potrai prendere un aereo perchè sei in balia delle bizze dei dipendenti Alitalia. E non si venga a dire che Pier Luigi Celli non ha titolo a parlare perchè, lui per primo, è arrivato dove e arrivato solo grazie all’appartenenza politica. Che obiezione è mai questa? Significa che solo un santo può parlare di santità? Manzoni e Dostoevskij ci hanno insegnato l’esatto contrario: cioè che proprio il grande peccatore, appunto perché ha sperimentato sulla propria pelle il male del mondo, ha molte più probabilità di redimersi e redimere il prossimo. Appunto come ha tentato di fare Celli con suo figlio. Mentre Napolitano tenta di perpetrare l’inganno.
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