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MAFIE E STATO DI POLIZIA

 

 

Berlusconi sostiene che il nostro Paese è divenuto uno Stato di polizia: tutti intercettati, tutti controllati, tutti sotto inchiesta. Repubblica invece denuncia la corruzione dilagante e, dopo le accuse mosse al senatore del Pdl Di Girolamo, titola “La ‘ndrangheta in Parlamento”. E se fossero, più semplicemente, le due facce della stessa medaglia? Per trovare Paesi dove le mafie prosperino come da noi bisogna infatti andare proprio nel regimi totalitari; in quelli Stati di polizia dove anche la corruzione è capillare e quotidiana.

Se davvero vogliamo trovare una via d’uscita, dobbiamo partire dagli esempi e dalla storia. I regimi dittatoriali, pensiamo all’Unione sovietica, hanno sempre avuto gli apparati repressivi più poderosi – poliziotti, servizi segreti, magistrati – e le leggi più puntuali e rigorose; era superfluo perfino mettere i telefoni sotto controllo, perchè tutti erano intenti a spiare tutti, e a denunciarsi a vicenda. Risultato: l’Urss è crollata, sbriciolata dalla corruzione più diffusa e sistematica che si ricordi. Sulla carta c’erano pene severissime – anni ed anni di carcere – per chi “sabotava” la produzione, per chi rubava anche un lapis dall’ufficio. Risultato: nessuno più lavorava; tutti si portavano via anche i mobili dagli uffici, anche i rotoli di carta igienica

Quando abbiamo proposto di sbattere in carcere chi scia fuori pista e provoca slavine, ho pensato che siamo proprio ridotti alla draconiana impotenza che fu dell’Unione sovietica…Ogni volta invochiamo “inasprimento delle pene” contro gli stupratori, contro i corrotti, contro i clandestini, contro i mafiosi. Invocazione tipica degli impotenti, ciechi per giunta: dato che i deludenti risultati sono davanti agli occhi.

Ogni volta ci stracciamo le vesti perché “gli organici sono insufficienti” e bisognerebbe “aumentare gli stanziamenti”. Ci verrà mai il sospetto che il rimedio è esattamente l’opposto? Ci fossero meno poliziotti, forse, non avrebbero il tempo per diventare contigui alla malavita; ci fossero meno magistrati, forse, non potrebbero dedicarsi ai lucrosissimi incarichi extragiudiziali. Se riducessimo drasticamente il numero delle leggi avremmo la certezza matematica di ridurre il numero dei reati.

Questo non vuol dire cancellare i reati veri, ma evitare di confonderli con ciò che merita una sanzione amministrativa; evitare che sia un reato anche respirare. In Unione sovietica tutto era reato col risultato che – essendo impossibile perseguire tutto – tutto diventava di fatto lecito. E da noi oggi le cose non vanno più o meno così?

Per chi ha (come me) anche solo un’infarinatura di cultura liberale, certi esiti sono evidenti: se davvero vogliamo ridurre la corruzione – prima di pensare a nuove pene più severe, nuovi tribunali, intercettazioni estese anche agli asili nido – cominciamo a ridurre drasticamente gli apparati burocratici che sono la causa prima di corruzione. Riduciamo altrettanto drasticamente la presenza dello Stato in economia, la quota del Pil che passa attraverso la mano pubblica, e avremo ridotto la materia prima della corruzione.

Finchè metà della ricchezza prodotto ogni anno nel nostro Paese viene sequestrata e ridistribuita dall’interposizione pubblica, finchè abbiamo più burocrati che partite iva, non c’è Di Pietro né Travaglio né pm che ci salvi; né dalla corruzione né dalle mafie.


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