Dopo il mezzogiorno di fuoco tra Fini e Berlusconi, e lo strappo del presidente della Camera che minaccia di costituire gruppi parlamentari autonomi, tutti hanno cominciato a dare i numeri, cioè a calcolare quanti sarebbero i deputati – 50, 40 o 25? – e i senatori – 8, 10 o 13? – disposti a seguire il cofondatore.
Tutti conteggi inutili. Perché non sono decisivi i parlamentari, bensì gli elettori. E nessuno lo sa meglio di Gianfranco Fini che, pur avendo ripudiato i propri trascorsi politici, non può aver dimenticato la storia del suo vecchio partito, il Msi. Ed in particolare quel che accade nel febbraio del 1977 con la nascita di Democrazia nazionale.
L’ostetrica dell’operazione politica fu la Dc, che allora temeva il sorpasso da parte del Pci. E quindi, alla ricerca di consensi aggiuntivi, penso di togliere dal “frigorifero” i voti della destra. Per questo favorì appunto la nascita, con scissione dal Msi, Democrazia nazionale che trovò in De Marzio il segretario e nell’ammiraglio Birindelli la figura più prestigiosa. Riuscì anche a portar via ad Almirante la maggioranza dei parlamentari del Msi: 21 deputati su 35, 9 senatori su 15.
C’erano dunque i numeri parlamentari e c’era un progetto politico che sembrava sensato. Ma fu tutto inutile per un semplice motivo: gli elettori del Msi non erano d’accordo. E così alle politiche del 1979 Almirante si riprese tutti i suoi voti e i suoi parlamentari; mentre quelli di Democrazia nazionale si ritrovarono generali (e ammiragli) senza truppa ridotti a chiedere asilo alla Balena Bianca.
Oggi anche il progetto politico di Gianfranco Fini può sembrare sensato e fondato: difesa dell’unità nazionale, stop alla Lega, laicità sui temi bioetici, apertura sui diritti degli immigrati. Non sto neanche a discutere se siano oppure no posizioni da destra europea. Prendo però atto che non sono condivise dagli elettori della destra italiana. In tutti questi mesi, con le dispute tra lui e Berlusconi che continuavano ad affiorare, non ho sentito un solo telespettatore di centrodestra che fosse d’accordo con le posizioni di Fini; non che il presidente della Camera non ricevesse apprezzamenti, ma…tutti da elettori del centrosinistra.
Da qui la sensazione che, se dovesse seguire l’esempio di De Marzio, otterrebbe anche un risultato simile. Tuttavia, come dicevo, credo che nessuno lo sappia meglio di Fini, il quale continua a tirare la corda però senza mai romperla. Può essere che ora Berlusconi decida di metterlo fuori dal Pdl, mentre dubito che il cofondatore sia così autolesionista da andarsene con le proprie gambe.
Lascia un commento