Difficile non essere d’accordo con il Riformista che oggi titola “Forza Europa” e spiega “finalmente una riforma imposta da Bruxelles”. Sì: senza il perentorio intervento dell’Ue, noi le statali avremmo cominciato a mandarle in pensione a 65 a partire dal 2018, salvo proroghe, esclusi i lavori usuranti, salvo “finestre” che si aprono e si chiudono, inerpicandoci su “scaloni” o “scalini”. Insomma avremmo fatto il solito pastrocchio di riforma all’italiana; avremmo cercato le convergenze parallele tra tagli di spesa e impatto sociale (ed elettorale) a costo zero…
C’è chi ringrazia l’Europa e chi invece – ho l’impressione – cerca un alibi nell’Europa e nell’euro. Nel senso che la manovra di Tremonti con i sacrifici che comporta (anche se i risultati restano dubbi) vengono ora imputati alla fragilità di una moneta unica che non ha alle spalle un’unione politica ma, appunto, solo monetaria. Oppure altri tirano in ballo le banche con i titoli spazzatura, la chiusura del credito non ostante gli utili in ascesa; oppure si punta il dito sulla speculazione finanziaria mondiale.
Non voglio negare l’incidenza di questi fattori, che però non possono diventare il grande alibi che nasconde le responsabilità nostre, di noi cittadini e della nostra classe politica.
Partendo dall’ultima questione: se siamo rimasti l’unico Paese europeo a pensare di poter mandare in pensione le donne cinque anni prima degli uomini è forse colpa dell’euro, di Passera o di Soros? Mi pare arduo sostenerlo, anche se pensiamo allo strame che è stato fatto a suo tempo con le pensioni baby e che si continua a fare con quelle di invalidità fasulle.
Se diplomi e lauree sono divenuti carta straccia, mediamente insignificante per ottenere un lavoro, dipende da qualche oscura congiura masson-pluto-nordeuropea oppure dal fatto che abbiamo trasformato la scuola in una agenzia per l’impiego di aspiranti insegnanti a tutto scapito della funzione didattica qualificata?
E’ stata l’Europa, sono stati gli speculatori finanziari ad imporci l’assunzione di un numero spropositato di pubblici dipendenti che al Sud arrivano a coprire l’80% dei posti di lavoro?! Quale entità straniera accusiamo per il crollo di produttività che non si registra in quei Paese che hanno legato seriamente, cioè con controlli puntuali, le retribuzioni alla produttività stessa?
Mi dicevano dei giovani operai moldavi: “Qui da voi vediamo lavorare, come muratori, come pittori, come idraulici, solo le persone di una certa età. Di giovani praticamente nemmeno uno”. Che sia stato l’ingresso nell’euro, che sia colpa dell’unione solo monetaria e non politica, il fatto che i nostri ragazzi oggi aspirino tutti a diventare colletti bianchi, che disdegnino il lavoro manuale? Lavoro manuale che invece a questi operai moldavi garantisce buone retribuzioni, superiori a quelle di tanti laureati.
Prima di buttarci sulle oscure congiure internazionali, prima di dare la colpa alle speculazioni finanziarie, forse conviene guardarci allo specchio e chiederci quanto noi siamo responsabili della nostra decadenza.
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