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SE IL PROFE BLOCCA LO STRETTO

 

 

L’anno scolastico è cominciato all’insegna della protesta degli insegnanti precari. A conferma che la funzione cruciale della nostra scuola non è trasmettere un sapere agli studenti, ma stabilizzare il posto di lavoro dei docenti. (Fosse il contrario l’anno sarebbe iniziato con la protesta delle famiglie per le tante ore che – come certificato dall’Ocse – i nostri figli passano con poco profitto sui banchi)

Diamo comunque per scontato che i precari abbiano tutte le ragioni del mondo. Resta – e spero siate d’accordo – inaccettabile la forma della loro protesta, cioè il reato che hanno compiuto quei tremila che per alcune ore hanno impedito il transito attraverso lo Stretto, bloccando i collegamenti tra la Sicilia e il continente.

Forse ho troppa considerazione per i docenti, ma trovo che il blocco di strade, ferrovie (e traghetti) attuato da loro sia ancora più grave di quando lo fanno i lavoratori di un’azienda. Perché gli insegnati (come dice il nome) dovrebbero insegnare anche l’educazione civica, il rispetto delle leggi. E l’idea che lo insegnino violando le leggi è un po’ della serie Dracula presidente dei donatori di sangue…Più che in cattedra alle medie li vedrei bene a tenere seminari nei centri sociali.

Prendiamo atto che anche loro invece adottano queste forma di ribellismo da Paese sudamericano, inaccettabili in una democrazia matura. Ma rendiamoci conto che vengono adottate per la semplice ragione che funzionano: che blocchi, occupazioni, picchettaggi e simili violazioni delle leggi e dei diritti, da un lato non vengono (quasi) mai sanzionate dalla magistratura dall’altro spingono (quasi) sempre la controparte a calare le braghe.

Quindi, chi spera che la protesta di strada alla Masaniello divenga anacronistica anche nel nostro Paese, deve auspicare che i manifestanti di Messina e Reggio Calabria non ottengano alcun risultato. In caso contrario avremo un effetto moltiplicatore.

Venendo al merito, e fermo restando che per tutte le professioni vale la regola che possono svolgerla non tutti coloro che lo desiderano ma tanti quanti ne richiede il mercato, bisogna sempre trovare un ragionevole equilibrio tra diritti e doveri. Nel senso che gli insegnanti hanno diritto ad un posto fisso e ad una retribuzione decorosa, se accompagnato al dovere di essere preparati nella loro materia, di saperla insegnare (capacità didattica) e di accettare verifiche periodiche.

Un equilibrio che si raggiunge solo se lo esige la controparte. Cioè il potere politico, che dovrebbe rappresentare il più vasto interesse degli studenti e delle loro famiglie ad avere una scuola che trasmetta un sapere, e non si limiti a funzionare da agenzia per l’impiego dei precari della pubblica istruzione.

 

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