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MARCHIONNE MOLTO PIU’ CHE SILVIO

 Se arriverà (ammesso che mai arrivi) un reale cambiamento nel nostro Paese è più probabile che lo induca Sergio Marchionne, cioè l’economia, che non Berlusconi (o chi per lui a Palazzo Chigi) cioè la politica.

Nelle ore in cui l’attenzione generale è concentrata sul “B day”, la fiducia o non la fiducia, la maggioranza che tiene si sfalda o si allarga, il governo Berlusconi o quello tecnico o le elezioni, Giuliano Ferrara ci spiega che tutta questa spasmodica attenzione è superflua. Il direttore de Il Foglio, parafrasando Mussolini, sostiene che nel nostro Paese “governare è difficile, quasi impossibile, forse inutile”.

Un’analisi che è frutto della semplice osservazione: quale governo, dal 1948 ad oggi, è riuscito a varare una riforma davvero incisiva? La politica in Italia è resa impotente dalle corporazioni, dalle concertazioni, dal consociativismo che conobbe la sua più alta incarnazione in Gianni Agnelli, presidente di Confindustria che era “buseta e botòn” con Luciano Lama segretario della Cgil…

La modifica dei comportamenti – scrive Ferrara – non può che essere indotta da fuori. Si pensava che i vincoli e una maggiore disciplina in termini di produttività e mercato del lavoro fossero resi obbligatori dall’euro. Non è stato così. Ma oggi potrebbero costringerci a cambiare l’Asia e il modello americano che dettano legge nell’industria automobilistica mondiale.

Sergio Marchionne è solo l’interprete in Italia di queste nuove dinamiche mondiali collocando “la sfida tra capitale e lavoro nelle aziende, sul tema della produttività e del salario, in stretto collegamento tra loro e per incrementare decisivamente gli uni e l’altra”.

Per inciso ricordo che anche Federico Rampini, su Repubblica, ha scritto che Marchionne è costretto a muoversi in questa direzione perchè incalzato dallo stesso sindacato americano Uaw, azionista della Chrysler, che “considera impresentabile per i suoi iscritti un progetto strategico che conceda ai metalmeccanici italiani garanzie e rigidità abbandonate qui negli Usa”.

Tornando a Giuliano Ferrara, in quella che potremmo definire un’analisi marxiana, è convinto che i cambiamenti economici siano la struttura da cui derivano tutte le altre sovrastrutture. Cioè che dalla rivoluzione del rapporto produzione-salari in economia possano poi derivare riforme vere nella pubblica amministrazione, nella scuola, nel welfare, nella giustizia, nell’intero assetto del nostro Paese.

Di sicuro, se pensiamo al nostro Veneto, i cambiamenti profondi dal dopoguerra ad oggi non li hanno provocati le forze politiche, di governo e di opposizione, nemmeno la Chiesa (che anzi li ha subiti), ma la trasformazione economica di una regione che dall’agricoltura è passata alla produzione e ai servizi.

In conclusione il vento impetuoso di una crisi economica mondiale, che impone trasformazioni profonde, forse farà uscire il nostro Paese dalla palude. Non i refoli che in queste ore spirano su Camera e Senato, anche se tanti media li scambiano per tifoni.


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