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MA NON LI HA UCCISI L’ATOMO

 

 

Non sono morti per colpa dell’atomo, li ha uccisi lo tsunami. Sembrerebbe una precisazione superflua, se i nostri giornali e tg non continuassero a parlare di “paura nucleare”, “emergenza nucleare”, centrali a rischio. Quasi che fosse stata – appunto – una serie di esplosioni nucleari ad ammazzare 5 mila giapponesi, a disperderne altrettanti. Quando invece è stata l’onda anomala dell’Oceano Pacifico a spazzarli via.

Un evento naturale catastrofico ha messo a rischio anche alcune centrali nucleari (nei prossimi giorni capiremo fino a che punto) così come ha messo senz’altro a rischio i trasporti navali, su strada e su ferrovia: ammazzando migliaia di persone che viaggiavano su nave, in treno, sui pulman e nelle auto. Dato che lo tsunami può ripetersi, vogliamo forse abolire per sempre questi trasporti, dimostratisi mortali, così come vogliamo rinunciare al nucleare?

Se ricavassimo una conclusione razionale, dovremmo prendere atto che le centrali nucleari giapponesi hanno resistito perfino ad un terremoto 30 mila volte più forte di quello dell’Aquila (come tutti gli altri edifici civili) e sono state messe in crisi solo dall’impatto devastante dell’onda anomala. Quindi – dal momento che nemmeno il principe degli eco-catastrofisti arriva a sostenere che questo laghetto interno e poco fondo, che è il Mare nostrum, può generare uno tsunami – dovremmo appunto concludere che centrali nucleari con tecnologia giapponese possono essere tranquillamente allocate non solo in zone a rischio sismico zero, come il Polesine o il Salento, ma perfino all’Aquila o a Gemona…

Se non fossimo travolti dallo tsunami emotivo, all’indomani della catastrofe Giapponese, avremmo dovuto domandarci se abbiamo edifici antisismici nelle zone a rischio. Invece abbiamo riaperto il dibattito sul nucleare. E non sui costi, sui tempi, sullo smaltimento delle scorie (casa di cui ha senso discutere) ma sulla sicurezza che, per noi Italia, è del tutto garantita.

Perchè lo abbiamo fatto? Si può pensare che la destabilizzazione del mondo arabo, dal quale dipendiamo per gas e petrolio, portasse acqua alla scelta nucleare. E che si sia quindi voluto controbilanciare enfatizzando il rischio nucleare che arriverebbe dal Giappone. Fatto sta che noi italiani, che abbiano conosciuto solo una modesta ricaduta di Carenobyl e non abbiamo nemmeno una centrale attiva, siamo qui a farcela sotto solo all’idea. Mentre i giapponesi – unico Paese ad avere conosciuto da devastazione delle bombe atomiche! – di centrali ne hanno oltre 50 e non si sognano di doverle chiudere per i danni subiti da tre di loro.

La paura del nucleare investe noi molto, ma molto, più di loro.

Qui entrano in ballo gli opposti caratteri nazionali. I giapponesi rimangono calmi e composti anche quando il mondo crolla: utilizzano cioè tutte le più moderne tecnologie, e tutte le precauzioni, per difendersi; ma poi sanno che è impossibile opporsi alla natura e per questo sono preparati a guardare in faccia anche alla morte. Come spiega mirabilmente Vittorio Zucconi su Repubblica, hanno “il terrore della vergogna, non della morte”.

Noi invece abbiamo rimosso la morte, ci spaventa troppo per ricordare che ci aspetta e prepararci ad affrontarla. Ci nutriamo di banalità salutiste e ambientaliste nella speranza che possano garantirci la vita eterna terrena. E, proprio perchè l’abbiamo rimossa, siamo terrorizzati dalla morte e ci pare di intravvederla anche dove non c’è: dietro un termovalizzatore, una centrale, una polvere sottile, un’antenna di telefonino.

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