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IL SERVIZIO PUBBLICO DI SANTORO

 Alla fine si chiama “Servizio pubblico” la nuova trasmissione di Michele Santoro (che Telenuovo trasmetterà a partire da Giovedì 3 Novembre). Il primo titolo “Comizi d’amore” era solo provvisorio, quello definitivo è certamente molto più santoriano.

Il sottinteso dal Michele, conduttore televisivo principe, è infatti evidente: io faccio l’informazione televisiva più completa e stimolante quindi io, anche se non la faccio in Rai, sono il vero servizio pubblico.

Breve inciso: non c’è dubbio che non basta fare un’informazione completa (o, se volete, equilibrata). Perchè, se non è anche stimolante, ti addormenti e quindi è come se l’informazione non ci fosse.

Lasciamo stare – dipende dalla valutazione di ognuno – se le trasmissioni di Santoro siano o meno l’incarnazione dell’informazione televisiva completa, equilibrata e stimolante. Qui interessa sottolineare che lui pone una precisa questione di principio: pubblico significa, deve significare, qualità.

C’è un principio etico che è difficile non condividere. Proprio perchè pubblico, proprio perchè è pagato con i soldi dei cittadini non può non avere qualità. Anzi: deve avere una qualità superiore al privato. (comprese le trasmissioni di Santoro per le quali lui chiede ai cittadini un libero contributo di 10 euro).

E questo principio vale, deve valere, per un qualsiasi servizio, per un qualsiasi prodotto. Chi garantisce la migliore qualità, quello sta erogando un servizio, oppure realizzando un prodotto, che merita fregiarsi del titolo di “pubblico”.

Quindi se una scuola privata insegna una certa materia, o un’insieme di materie, meglio di una cosiddetta scuola pubblica, è lei la vera scuola pubblica ancorchè privata.

Lo stesso dicasi per la sanità dove il rapporto costo-qualità della prestazione, fin’ora sistematicamente ignorato, diventerà sempre più decisivo ed ineludibile.

Potremmo concludere sostenendo che Santoro è un nemico dichiarato della pubblica amministrazione, nel senso che la costringe a confrontarsi in un mercato purtroppo ipotetico (nel senso che, in assenza della sfida di altri Michele, opera quasi sempre in regime monopolistico) per vereficare nei fatti se effettivamente sappia amministrare e, soprattutto, se sia degna di chiamarsi “pubblica”.

Chiudo con uno dei mille esempi possibili. Se posso comprare vasi di terracotta tramite internet da una qualuque azienda toscana, questa è un’azienda pubblica (sempre nell’accezione santoriana). Mentre se devo andare di persona in Comune per la carta d’identità o mia figlia deve fare la coda alla segreteria della sua facoltà per registrare un esame, è la prova che comuni ed università sono fatte della stessa pasta…della Rai: aziende “private”, che più borboniche, inefficienti ed arretrate di così non si può.

 

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