Benedetto XVI° non ha dubbi e l’ha ripetuto anche in questi giorni: la crisi va affrontata riscoprendo la “sobrietà” e la “solidarietà”; per il Papa l’emergenza deve essere un’opportunità per “rivedere il modello di sviluppo dominante”. Nel suo messaggio di fine anno Napolitano ha espresso concetti analoghi. Sono sempre di più coloro che affidano alla crisi una funzione catartica, purificatrice: pensano che alla fine ci renderà migliori, ci farà riscoprire i “valori”, principi e stili di vita di un tempo. Un tempo anteriore al modello di sviluppo liberale e capitalista che – finalmente secondo loro – è entrato in crisi. Sono argomenti che fanno breccia, specie sul piano emotivo, perchè un po’ tutti noi abbiamo nostalgia di un passato in cui eravamo (o credevamo di essere) più buoni, più generosi, più pieni di sentimenti veri.
Dopo aver evocato le emozioni, dovremmo però anche ragionare; cioè ricordare che quando eravamo sobri e solidali, quando vivevamo in modo spartano e facevamo tanta carità, avevamo anche tanta…pellagra: la miseria, nel nostro Veneto, era la norma; avevamo una mortalità infantile quale oggi si registra in Africa. E dalla pellagra, dalla miseria e dalla mortalità infantile, non siamo usciti con i buoni sentimenti (che pure avevamo) né con le prediche dal pulpito (degli ottimi sacerdoti che pure c’erano, e che io per primo ricordo con affetto) né con la carità cui erano dedite schiere di dame e donne timorate. Dalla pellagra siamo usciti quando – finalmente – è diventato dominante proprio quel modello di sviluppo liberale e capitalista per il quale Papa Ratzinger intona ora il “De profundis”.
Lui posso anche capirlo. Perché i pontefici, da Pio IX con il Sillabo, hanno sempre intuito che il vero nemico del Cristianesimo (e delle religioni in genere) era proprio la modernità, il liberismo, lo sviluppo economico (nemico assai più insidioso dello stesso socialismo). Trovo invece inaccettabile che Napolitano e tanti altri falsi profeti laici vengano a predicarci la sobrietà e gli stili di vita più parchi. Per andare dove? Con quale prospettiva? In una certa fase può capitare di dover ridurre il proprio tenore di vita, ma per necessità momentanea (perchè i soldi non ci sono) non per scelta strategica, non per ricerca di un modello alternativo di depressione economica. Il problema non è spendere meno ma guadagnare di più: cioè avere una società dove si moltiplichino occasioni e opportunità.
Quanto alla solidarietà, nome nuovo dato alla carità, serve di certo a far sentire migliore chi la pratica; ma continua a non risolvere i problemi: non è mai servita a far diminuire il numero dei poveri, non serve oggi a far decollare i Paesi terzi bensì solo a mantenerli in ruoli subalterni. E’ tutta da leggere l’intervista di oggi su Il Giornale a James Shikwati, economista kenyota, il quale sostiene che sono “dannosi gli aiuti umanitari all’Africa” e spiega che “la ingenti somme destinate dall’Occidente al Continente nero generano solo dipendenza passiva e non servono a realizzare società effettivamente libere e sviluppate”. Tesi che noi italiani dovremmo conoscere alla perfezione dal momento che le “ingenti somme” destinate al nostro Mezzogiorno hanno prodotto esattamente gli stessi effetti: aumento della dipendenza passiva e ritardo nella crescita di un Sud libero e sviluppato.
In conclusione: può darsi che per un periodo ci tocchi tirare la cinghia, però puntando a tornare a crescere al più presto; e non come scelta di un modello sobrio e solidale capace di produrre solo il ritorno della pellagra (e del fervore religioso…).
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