Libero canone in libero Stato. Feltri e Belpietro, dopo la puntata d’esordio di AnnoZero, hanno rilanciato la campagna per la disdetta del canone Rai. Campagna che la Lega sostiene da sempre e alla quale ora aderisce anche Antonio Di Pietro, sia pure con motivi opposti a quelli dei direttori di Libero e Giornale: per il leader dell’Italia del Valori sarebbero cioè insopportabilmente faziosi i programmi di Vespa e il Tg1 di Minzolini e non le trasmissioni di Santoro, Floris e Fazio.
Il parallelo fatto da Di Pietro non è del tutto convincente. Perchè un conto è essere ossequioso nei confronti dei potenti, un conto è glissare sugli argomenti loro sgraditi, altro conto è usare la clava contro gli avversari politici: e mai abbiamo visto Vespa usare la clava contro Prodi, Bertinotti o Di Pietro; mentre Santoro e Travaglio hanno l’obiettivo prioritario di spaccarla in testa a Berlusconi.
Tuttavia proprio l’intervento del leader Idv ci fa capire qual’è il nocciolo della faccenda: il canone Rai non è un libero abbonamento (come a Sky), è una tassa che tutti i cittadini pagano ( o dovrebbero pagare, nel senso che già un’evasione del 30%). Chi paga appartiene ad un qualunque schieramento politico e non accetta che con i suoi soldi venga finanziata un’informazione pubblica che ritiene faziosa, ostile, o semplicemente svantaggiosa per il proprio partito. Ecco quindi le protesta degli elettori di centrodestra contro Santoro che sono speculari a quelle degli elettori di centrosinistra contro Vespa.
La televisione di Stato, essendo tale, non è paragonabile né alle televisioni private, che ognuno sceglie a gradimento o meno senza pagare tassa alcuna (e quindi non ha senso definire Fede contraltare di Santoro), né alla carta stampata che ognuno è libero di comprare o meno in edicola sempre a seconda del gradimento. Nessun lettore di sinistra è obbligato a comprare Libero, nessun lettore di destra il Manifesto; mentre i telespettatori sono obbligati, se non a guardare, a finanziare trasmissioni di orientamento politico sgradito e questo li fa infuriare.
Come esistono i giornali di partito così ci sono anche le televisioni di partito: Telepadania, Red Tv di d’Alema, la Tv della libertà che aveva messo in piedi la Brambilla. Ma anche queste non hanno canone, chi vuole le guarda chi non vuole le toglie pure dal telecomando. Mentre non dovrebbero esserci in Rai, pagate dai soldi di tutti, trasmissioni che sembrano prese pari pari da televisioni di partito; ed invece le troviamo puntualmente perchè i giornalisti Rai sono stati assunto proprio dai partiti col metodo della lottizzazione.
Aggiungiamo che la Rai è una sorta di “mostro” ermafrodito, sia uomo che donna, sia col canone che con la raccolta pubblicitaria. Un carrozzone che drena una gran fetta della pubblicità televisiva disponibile sul mercato, facendo così il grande favore a Berlusconi di ingurgitare le risorse indispensabili alla nascita di un grande polo televisivo nazionale privato alternativo a Mediaset (La vera legge sul conflitto di interessi sarebbe la privatizzazione della Rai, come sostiene da tempo Massimo D’Alema). La mitica Bbc, come la televisione di Stato francese non hanno un solo spot, non sono ermafrodite.
Essendo pubbliche vivono di finanziamenti pubblici, tratti dalla fiscalità generale o dal canone che paga solo chi vuole vederle e non è obbligatorio, come da noi, per chiunque possieda un televisore. Sono uno strumento di comunicazione pubblica, ovviamente utilizzato in primo luogo da chi è al governo in quel momento ma con spazi adeguati anche per l’opposizione. Strumenti di cultura e di divulgazione, che non spendono cifre rilevanti né per vallette né per programmi tipo Isola dei famosi. E che lasciamo tutto lo spazio alla pluralità dei poli televisivi privati.
Insomma un modello lontanissimo dal nostro; che nemmeno tentiamo di avvicinare perchè, da quei levantini che siamo, ci teniamo stretto il carrozzone Rai, beandoci con le zuffe su Santoro e rilanciando periodicamente lo sciopero del canone (senza mai attuarlo sul serio).
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