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LO SCIOPERO DEGLI IMMIGRATI, E IL NOSTRO

 

Alla vigilia dello sciopero degli immigrati, Gilberto Oneto scriveva domenica su Il Giornale che il loro vero sciopero sarebbe “lasciare l’Italia”. Intendeva che solo così, solo se tornassero tutti nei luoghi di provenienza , potremmo verificare davvero quanto contano e quanto pesano oggi nel nostro Paese. Dal momento che le cifre – numero dei regolari e degli irregolari, incidenza sul Pil, adesione stessa allo sciopero – sono cifre del tutto aleatorie.

Provocazione tanto interessante, quanto irrealistico è attendersi una verifica concreta attraverso il rimpatrio di massa. Nemmeno lo xenofobo più scatenato può oggi illudersi di rimandarli tutti a casa loro (sarebbe già tanto riuscire a controllare il numero di nuovi ingressi e non venir semplicemente sommersi da ondate successive…). Ma anche solo pensare a come sarebbe un’Italia senza immigrati, può essere utile a capire quanto la presenza di questi “schiavi moderni” ci abbia corrotto. Corrotto – ovviamente – per colpa nostra, non certo per colpa loro; che di colpe gli immigrati magari ne hanno, ma di tutt’altro genere.

Cominciamo con le badanti, questa presenza così diffusa specie nel ricco Nordest. Immaginiamo che scompaiano domani, cosa succederebbe: ci mettiamo a costruire case di riposo a raffica, finanziate da nuove tasse rette comprese? Ci prendiamo i nostri anziani in casa rinunciando ad andare anche in vacanza per accudirli? Gettiamo la maschera e li lasciamo morire soli e abbandonati (come di fatto già avviene molto spesso)? Di certo il ricorso capillare alle badanti non ci ha aiutato a sviluppare adeguate politiche per l’assistenza alla terza età, e meno che mai a ridimensionare il nostro egoismo a beneficio dei vecchi non più autosufficienti. (E quando, tra poco, lo saremo noi?…)

Passiamo poi ai lavori che “gli italiani si rifiutano di fare”. Che si rifiutino non c’è dubbio, che altrimenti non si spiega come mai interi comparti – dell’agricoltura, della produzione, dei servizi – siano monopolio dei lavoratori stranieri. Non c’è dubbio anche che il rifiuto nasca da retribuzioni inadeguate e orari di lavoro che solo gli stranieri sono costretti ad accettare. Ma qui entrano in ballo le scelte di datori di lavoro che puntano a restare sul mercato non con l’innovazione ma con il contenimento dei costi. Questo alla fine produce un sistema economico arretrato, che non è certo imputabile agli immigrati; ma che resta una realtà, una scelta sciagurata che imprenditori imprevidenti operano grazie alla presenza massiccia degli “schiavi moderni” sul nostro mercato del lavoro. Una scelta che è l’esatto contrario di quella fatta negli anni del boom economico, quando investimenti e stipendi aumentavano di pari passo.

Facciamo un esempio concreto, partendo da quanto successo a Padova con delle donne africane impiegate a separare a mano i rifiuti d’estate dentro un capannone torrido, ad una paga regolare (per le cooperative) di tre euro circa l’ora. Immaginiamo che non ci siano più loro: o troviamo una tecnologia che li separi meccanicamente; o li gettiamo tal quali nell’inceneritore, senza sottilizzare troppo sulla qualità dei fumi; oppure paghiamo venti euro l’ora chi è disposto a fare a mano un lavoro tanto infame (e magari cominciamo anche a domandarci se c’è più bisogno di docenti universitari con tre studenti a corso o di operai che separino i rifiuti…).

Invece, finché abbiamo a disposizione le novelle schiave africane, né cerchiamo alternative né ci poniamo domande.

Concludo ripetendo che nessuna colpa va fatta a questi disperati che, comprensibilmente, cercano qui una vita migliore. Nemmeno la colpa di arrivare in massa e da clandestini, dal momento che noi dovremmo saper affrontare questa emergenza e non ne siamo capaci. Ma che non vengano a decantarci le magnifiche sorti e progressive della società multietnica, né a spiegarci che gli immigrati “sono una ricchezza”: per colpa nostra, con la loro presenza, siamo diventati più poveri e più gretti.

Oggi, lunedì, hanno scioperato gli immigrati. Il nostro “sciopero” è cominciato col loro arrivo.




 

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