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UNIVERSITA’: DATECI UN MAO

 

 

L’università ti fa maoista, non nel senso che frequentandola diventi maoista (già sarebbe qualcosa…) ma nel senso che ti fa capire che anche i regimi più abietti hanno qualcosa di buono, qualcosa da rimpiangere: nella fattispecie la dura “rieducazione” che il Grande Timoniere impose ai docenti universitari del suo Paese.

Ci arriviamo partendo dai titoli di alcuni dei cinquecento corsi di laurea cancellati negli ultimi due anni (ne restano comunque cinquemila!): “Scienza del fiore e del verde”, “Benessere del cane e del gatto”, “Beni enogastronomici”, “Tecniche erboristiche”.

Pare evidente che ai nostri figli non è servito assolutamente a nulla frequentarli né laurearsi in queste discipline: se devi fare il commesso in un negozio di animali, puoi farlo anche senza laurearti in gattologia…

Altrettanto inutile, per i nostri ragazzi, è stato lo sdoppiamento, il famigerato 3+2. Perchè la laurea breve è la serie B di atenei che già fanno parte del campionato dilettanti; e la laurea lunga ha solo allungato il brodo con l’acqua di qualche esametto in più. Esametti del tutto inutili per gli studenti, ma utilissimi a garantire cattedre e assunzioni.

Negli ultimi dieci-quindici anni il numero dei docenti universitari è aumentato a dismisura, è esploso ulteriormente. Ci hanno marciato rettori e presidi di facoltà che, sulla moltiplicazione delle assunzioni, hanno costruito la propria campagna elettorale per il rinnovo dei mandati.

Abbiamo ottenuto il nobile risultato sociale di “creare nuovi posti (fissi e inamovibili) di lavoro”, ma peggiorando ulteriormente la qualità degli studi. Poi quando è arrivato il ministro Gelmini con i primi tagli, c’è stata l’insurrezione con le parole d’ordine più nobili e sdegnate: “Non si può tagliare la cultura! Non si può tagliare la ricerca!”. Come se non sapessimo che l’unica ricerca in vigore nelle nostre università è quella…della cattedra.

Ed è qui, di fronte a questa ipocrisia pelosa, che ti viene in mente Mao quando disse basta! E li mandò tutti a rieducarsi in campagna, a coltivare riso e barbabietole. Dateci la Rivoluzione Culturale e le Camice Rosse che misero all’aratro i docenti universitari cinesi!

Un tempo, quando gli atenei erano seri, gli esami erano quasi tutti orali; anche con lo scritto, la prova orale non mancava mai. Adesso sono praticamente tutti scritti. Ennesima innovazione in nome e a beneficio del docente: perchè l’esame scritto consiste in una serie di test che poi vengono corretti a computer; e quindi il caro docente si risparmia anche questa fatica. Mentre i nostri ragazzi non hanno nemmeno la soddisfazione di vederlo in faccia, di essere valutati per quello che sono – svegli o addormentati, intelligenti o tonti – si può comunque capirlo solo nel vis-à-vis.

Insomma gli studenti sono ridotti ad un gregge che ha una sola funzione precisa: garantire lo stipendio alle folte schiere dei pastori.

Ed è così che mi vien da pensare, oltre a Mao, anche ai preti pedofili. Che sono certamente una vergogna e una sciagura. Però loro, ai ragazzini, magari davano qualcosa: Magari insegnavano a cantare a quelli del coro di Ratisbona, o a parlare ai sordomuti del Provolo.

Quindi c’è di peggio: è quando ti inchiappettano senza darti nulla in cambio. Come succede ai nostri ragazzi che vanno all’università. Viva il compagno Mao Tse Tung!



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