L’estate porta consiglio, le ferie sono l’occasione per riflettere. E dopo averci riflettuto, appunto, ho concluso di essere anch’io un finiano; un finiano di ferro, più che mai convinto. Di cosa? Che il presidente della Camera sia l’uomo giusto, forse quello decisivo, per spaccare in due il Paese. Per farla finita con quella unità nazionale che è stata più disastrosa ancora per il Sud che per il Nord (Qui concordo con Pino Aprile: leggetevi il suo “Terroni”, edizioni Piemme, è l’autentico best seller politico del 2010).
Smettiamola una buona volta con la retorica unitaria. Lasciamo perdere l’estrema, pasticciata e velleitaria, riforma federalista che vorrebbe – e francamente non si capisce come – riempire un po’ di più la botte padana (che ne ha tutti i diritti come produttrice della ricchezza nazionale) continuando però anche ad ubriacare la moglie meridionale. Prendiamo atto che quello realizzato nel 1860 è un matrimonio coatto, imposto dai cosiddetti Padri della Patria, Cavour-Garibaldi-Vittorio Emanuele II, contro la volontà degli sposi. Una di quelle unioni impossibili, che fanno unicamente soffrire entrambi i coniugi, e che giustificano la legge sul divorzio come strumento di civiltà e libertà.
Tornando a Fini spiego perchè lo ritengo il “giudice” che potrebbe decretare la separazione tra Nord e Sud. Tutto dipende dal suo diverso appeal elettorale. Da noi in Settentrione il suo seguito tra gli elettori del Pdl è modesto, per non dire inesistente. Riscuote molta simpatia ma tra gli elettori di centrosinistra, che apprezzano la sua capacità di mettere in crisi Berlusconi, che lo ritengono magari più efficace di Bersani…
Qui al Nord però Fini non modifica gli equilibri elettorali, non sposta voti: è solo un commensale in più che si siede al tavolo dell’opposizione, e che minaccia di mangiarsi un pezzo della già modesta torta elettorale senza contribuire a farla lievitare. (E da questo punto di vista Casini, Bersani e Di Pietro gli riservano più la diffidenza del concorrente che l’entusiasmo dell’alleato capace di portare nuove truppe…).
Mentre il discorso al Sud è radicalmente diverso. Fini infatti qua si presenta come il paladino dell’antileghismo, contrapposto ad un Berlusconi che è invece legato a doppio filo con Bossi. Per l’elettorato meridionale il presidente della Camera è il primo ostacolo alla riforma federalista, il politico che – in nome della solidarietà e dell’unità nazionale – potrebbe garantire che continui l’elargizione di denaro pubblico. E quindi al Sud potrebbe raccogliere parecchi consensi.
Si profila così uno scenario verosimile: Lega e Pdl che hanno una solida maggioranza al Nord; mentre al Sud il Pdl si ritroverebbe in minoranza, con una maggioranza magari solo teorica ma comunque ampia che va da Vendola al Pd a Casini a Di Pietro e ai finiani.
Credo che questo scenario sarebbe la premessa per festeggiare i 150 anni dell’unità…iniziando le pratiche per il divorzio.
In conclusione sottolineiamo un paio di contraddizioni tipiche della politica (che solo nelle attese degli ingenui non è contraddittoria): Fini, l’alfiere dell’unità nazionale, da vita ad un partito nei fatti territoriale-sudista che contribuisce a spaccare ancora di più il Paese. Bossi, l’alfiere della secessione, che ha fondato un partito dichiaratamente territoriale-nordista, è il protagonista dell’ultimo stoico tentativo di salvare l’unità nazionale con la riforma federalista (che oggi pare abortita sul nascere).
Personalmente comunque non ho dubbi: sto con Fini perchè sarà lui, più di Bossi, a dare la spallata definitiva…
Lascia un commento