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FINI LA VOLPE E L’ARTE DI GOVERNO

 

 

Ad ascoltare ieri Fini a Mirabello veniva da pensare che uscisse più dalle Acli che dal Fronte della Gioventù. Nel senso che ha fatto un discorso da vecchia volpe democristiana, ripassando il cerino, cioè la responsabilità della rottura definitiva, in mano a Berlusconi.

Piaccia o meno la strategia di Fini ha un senso e lui sta portandola avanti con astuzia e capacità politica: sa di non avere alcun interesse ad andare subito ad elezioni, perchè rischia di essere spazzato via con l’accusa di traditore; punta dunque a logorare il Cavaliere, a tenerlo sulle braci di un governo sotto scacco che non governa; convinto, a ragione, che il tempo giochi a suo favore e contro il Cavaliere.

Vedremo se e come il Cav. saprà uscire dalla morsa. Intanto restando ai tanti temi toccati dal presidente della Camera nel suo lungo discorso, dissento in particolare dalla sua affermazione che governare si può e si deve, ma che questo non significa comandare. Credo sia esattamente il contrario: si deve comandare perché, se non sai comandare cioè farti ubbidire senza sfibranti mediazioni, non riesci nemmeno a governare.

Possiamo capirlo se riusciamo ad uscire (Evor) dall’ossessione berlusconiana, cioè a prescindere da ciò che giova o che danneggia Berlusconi, concentrandoci invece su ciò che funziona o non funziona.

Pensiamo ai nostri sindaci, sia a Flavio Zanonato che a Flavio Tosi; sindaci di opposta appartenza politica, a dimostrazione che non è il colore quello che conta, ma accomunati da un simile attitudine al comando. Il primo direi più ancora del secondo. Zanonato che non ha esitato a “processare” in giunta l’assessore Colasio che tendeva a fare troppo “il finiano”, cioè a distinguersi criticando sui media l’operato dell’amministrazione.

Magari un po’ più felpato nei rapporti coi suoi assessori, ma anche Tosi decide, comanda, agisce. Ed ha un consenso crescente: manca poco che a Verona comincino a costruirgli i monumenti in piazza… Zanonato è ormai sindaco da vent’anni in una Padova che pure, ad ogni elezione politica, è più orientata sul centrodestra. Perché i cittadini apprezzano e vogliono sindaci decisionisti.

Loro, i sindaci, possono comandare e decidere perchè hanno uno strumento che non possedevano i loro predecessori prima della riforma elettorale degli enti locali: possono mandare tutti a casa. Oggi se il sindaco non ha più una maggioranza, si torna a votare. Una volta invece si andava a cercare una diversa maggioranza in consiglio.

La differenza è enorme: una volta si poteva cambiare sindaco ogni momento, anche due-tre-quattro nel quinquennio, ed il sindaco era sempre ostaggio del consiglio comunale. Oggi invece il pallino l’ha in mano lui, se lo mettono in minoranza sanno di andare tutti a casa, ed il risultato è che il sindaco comanda, decide e si assume le sue responsabilità elettorali, e quasi sempre resta in carica per tutto il mandato.

Riuscissimo a prescindere dall’ossessione berlusconiana, capiremmo subito che esiste l’identica esigenza a maggior ragione per i governi nazionali: per dar loro stabilità, per garantire la governabilità, bisogna che sia il capo del governo ad avere il potere (se volete il ricatto) di sciogliere le Camere.

La Costituzione affida invece questa facoltà al presidente della Repubblica perché è figlia del suo tempo: fresca cioè del Ventennio fascista mirava anzitutto ad imbrigliare il potere dell’esecutivo, ad evitare la concentrazione delle funzioni su una sola figura. Un pericolo che era stato reale, che si comprende pensando al 1946. Ma che oggi solo gli ossessionati da Berlusconi continuano a brandire, impedendo così di avere quei governi stabili e incisivi che hanno (quasi) tutti gli altri Paesi.

 


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