Tutti in coda per diventare comunali. In duemila a Verona sperando di agguantare uno dei dieci posti di impiegato a Palazzo Barbieri.
Tanti e anche piuttosto seccati, a sentire le dichiarazioni che hanno rilasciato ai cronisti: i 1.250 euro netti al mese non sono molti, diceva uno; è anni che aspetto di entrare nella pubblica amministrazione, lamentava un’altra degli aspiranti.
Scusate. Ma il lavoro c’è, anche subito; e così pure l’opportunità di guadagnare molto di più. Lo vediamo con tutti quei lavoratori veneti e stranieri che hanno scelto di fare i posatori, gli imbianchini, gli idraulici, gli elettricisti, i muratori. Lavorano in proprio, lavorano a misura, lavorano anche dieci ore al giorno e sei giorni alla settimana, e così arrivano tranquillamente a 3.000 euro al mese.
Naturalmente non è obbligatorio seguire il loro esempio. Siamo un Paese libero e non c’è un Mao che ci mandi tutti a zappare la terra. C’è chi sceglie il lavoro “intellettuale” e vuole diventare comunale. Libero di provarci ma si metta in coda, abbia pazienza, e non si lamenti per i tempi d’attesa e lo stipendio modesto.
Dopo di che il concorso per i dieci comunali in più è servito a ricordare che Verona, con i suoi 250 mila abitanti, di comunali ne ha già 2.600. Scusate se sono pochi! Tenendo conto che lavora circa metà della popolazione totale, significa che un veronese ogni cinquanta è assunto in Comune. Non parliamo di tutti gli altri statali: della scuola, della sanità, delle forze dell’ordine, degli enti pubblici vari. E siamo nel nostro Veneto, a Verona. Non a Palermo.
Credo che l’origine di tutti i problemi sia chi li paga. Da noi non si capisce bene, negli Stati Uniti è chiarissimo: là vige una sorta di federalismo fiscale totale. Nel senso che gli abitanti di una qualsiasi città americana pagano direttamente tutte le spese dei loro comuni, a partire da quella per il personale.
Le conseguenze più immediate e diverse rispetto a noi sono due: se un sindaco statunitense proponesse di aumentare i servizi verrebbe “lapidato” (elettoralmente parlando) dai suoi cittadini che non vogliono sborsare soldi in più, che sono consapevoli che qualunque cosa erogata dal pubblico costa il doppio e che, seconda conseguenza, esigono organici comunali ridotti all’osso.
Se i veronesi fossero cittadini americani ragionerebbero come già ragionano con la manutenzione della propria casa: se serve una colf la prendo per le ore che mi servono (non certo a tempo pieno perchè, poverina, è precaria ed ha diritto ad un lavoro stabile…) e controllo cosa fa in quelle ore, cioè se stira le camice o naviga su internet. In sintesi trasferirebbero gli stessi criteri, e gli identici controlli, con chi si occupa della manutenzione della città.
Ma questo avviene solo se è chiaro chi sborsa i soldi e perchè. Se invece sussiste l’idea confusa che paghi Pantalone, speriamo che anche i nostri figli riescano a diventare…intellettuali a Palazzo Barbieri.
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