Mi dava del "lei" Aurelio Scagnellato, anche se a me diceva sempre di dargli del "tu" perchè "potrebbe essere mia figlia". Credo di non essere mai riuscita a dargli del tu, ma il lei dato a Lello non era di quelli che allontanavano. Anzi: dargli del lei per me era un piacere, un segno di rispetto nei confronti di un uomo d’altri tempi, di grande spessore umano e morale quale lui era.
Aveva una stretta di mano energica Lello, uno sguardo vero, sincero, di quelli che vanno dritti al cuore e ti spogliano: non era possibile, di fronte a quegli occhi, improvvisarsi diversi da quelli che si era. Era nato il 26 di ottobre: lo ricordo bene perchè lo chiamavo sempre per fargli gli auguri e lui mi rispondeva: "ci sentiamo tra tre giorni" e puntualmente, poi, Il giorno 29, a sua volta mi telefonava per augurare a me buon compleanno. "Anche lei è Scorpione – mi diceva sempre – il nostro carattere non è facile, ma è tosto, tutto d’un pezzo e questo, mi creda, è anche un pregio". Ogni volta che mi faceva anche in una minuscola parte simile a lui, mi riempivo di orgoglio: sì, da giovane calciatore, Lello non dev’essere certo stato "farina da fare ostie", come si dice in gergo, me lo hanno sempre descritto come un difensore di quelli che dire roccioso è dire poco, di quelli che l’avversario non doveva passare, costasse quel che costasse. Ma era proprio questo livore (seppur abilmente mascherato dalla serenità di cui lo aveva dotato l’esperienza di vita) e la sua coerenza di ferro che apprezzavo tantissimo dietro quei suoi occhiali e che mi mancheranno più di ogni altra cosa.
Mi ha raccontato di tutto, Lello: di quando, ad esempio, a San Siro fece un fallaccio su Altafini e venne ammonito dall’arbitro che però poi non ammonì uno del Milan che aveva fatto a Lello lo stesso tipo di fallo e si giustificò dicendo: "Scagne, scusa, ma bisogna pure che andiamo fuori da questo stadio con le nostre gambe…", spiegando a Scagnellato che non aveva mostrato il giallo al milanista per paura che i tifosi lo aspettassero fuori. Mi ha spiegato con che spirito il paron Nereo Rocco li allenava. Mi ha puntualizzato che il tecnico triestino, a dispetto di quel che riporta la storia, non era affatto un catenacciaro. Mi ha poi reso partecipe in molte occasioni della gioia che provava nel fare il nonno con i suoi adorati nipoti.
Mi ha infine regalato, e questo è stato in assoluto il gesto che più mi ha reso felice, alcuni libri di calcio dagli anni Trenta agli anni Settanta che teneva tra i suoi cimeli più preziosi. “Voglio che li abbia lei – mi ha sussurrato vicino all’orecchio quando ha aperto il bagagliaio della sua Punto e mi ha invitato a prendere quel che aveva portato per me – perchè mi piace il modo in cui lavora e so che saprà farne buon uso”.
Grazie Lello, il vero professionista, della vita, era lei. Custodirò gelosamente il suo regalo e tutto il patrimonio umano che mi ha lasciato sarà il magico ingrediente in più che impregnerà quelle pagine di storia calcistica ogni volta che le sfoglierò.
Mancherà a me come a tutta la Padova biancoscudata. Che la adorava perchè era un grande campione, come non ne nasceranno purtroppo più.
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