STRAORDINARIO PADOVA, MA NON È ANCORA ABBASTANZA

Record di punti (51) così come fu per il Catanzaro al termine del girone d’andata della stagione 2022-2023. Miglior difesa d’Italia, con soli 9 gol finiti nella porta di Fortin che ha collezionato fin qui ben 10 clean sheet. Attacco a quota 38, con bomber Bortolussi già in doppia cifra (traguardo raggiunto a metà del percorso dopo due stagioni in cui l’attaccante è arrivato in fondo fermandosi a 9). 16 vittorie, 3 pareggi, nessuna sconfitta. I numeri sono numeri e, onestamente, c’è ben poco da dire di fronte a quelli che ha sfoderato, settimana dopo settimana, il Padova in questa prima parte di stagione. Parlano da soli ed esprimono appieno il senso di ciò che è stato finora il cammino biancoscudato imperniato, da un lato, sul duro impegno quotidiano e sulla grandissima disponibilità di ogni singolo giocatore e, dall’altra, sulla cultura del lavoro e sulla maniacale attenzione al dettaglio dell’allenatore Matteo Andreoletti, che, per la prima volta dall’inizio del campionato, è entrato in spogliatoio al termine del recupero vinto 2-1 a Chioggia per complimentarsi con i suoi ragazzi, ma con la premessa, ribadita fino allo sfinimento, che non si è fatto ancora nulla. E’ proprio così, non è banale frase di circostanza. Fin qui il Padova è andato oltre ogni più realistica aspettativa: ha proposto un bel calcio, divertente oltre che efficace, ha saputo soffrire quando l’avversario l’ha buttata sulla fisicità e sulla difesa a oltranza per poi uscire a testa alta con le proprie qualità, è stato in grado di riportare sfide complicate sui suoi binari, di cambiare pelle nell’arco dei novanta minuti a seconda della tipologia di partita. C’è anche da dire che tutto si è incastrato alla perfezione, con l’aiuto di quella minima dose di buona sorte che è sempre utile e che comunque aiuta gli audaci (e il Padova, fin qui, è stato molto più che audace, direi a tratti perfino spregiudicato, senza però macchiarsi mai di presunzione). Il traguardo finale però è ancora lontano, nonostante la distanza di sicurezza di 8 punti sulla diretta concorrente per eccellenza, il fortissimo Vicenza, l’unica squadra del girone A da cui ci si aspettava esattamente il rendimento che ha avuto. E’ davvero un attimo inciampare, incartarsi, perdere certezze (anche se davvero per dilapidare tutto il ben di Dio accumulato ci vorrebbe un suicidio in piena regola non una semplice giornata storta). Questo Padova, entrato di diritto nella storia come il migliore di tutti i tempi, conoscerà prima o poi l’”onta” della sconfitta ma non sarà un problema in sé perdere una partita, sarà il modo di gestirla a fare la differenza. L’umiltà che ha permesso alla squadra di rimanere coi piedi per terra quando fioccavano le vittorie e i complimenti di tifosi e ambiente dovrà trasformarsi nella forza per rialzarsi subito quando sarà ora. Non dovranno mai subentrare l’illusione di avercela fatta, la certezza del primato per quanto consolidato, il pensiero di essere forti e imbattibili solo perché, nel girone d’andata, nessuno è stato in grado di superarci.
E sul fronte del mercato di gennaio, infine, bisognerà andare ancora di più coi piedi di piombo. Perché a costruire un gruppo, a rendere saldo uno spogliatoio, a mettere insieme 26 teste diverse contenendo al massimo gli attriti (e gli inevitabili malumori di chi gioca poco ma contribuisce alla costruzione della settimana e dunque al risultato finale del campo) ci si mette tanto. Tantissimo. A distruggere tutto basta un singolo ingranaggio che si inceppa o si rompe. Un equilibrio che salta. E, di solito, per rovinare una cosa che funziona, basta una frazione di secondo.

PIU’ FORTI DI QUALUNQUE BASTONE TRA LE RUOTE (E CAMPIONI D’INVERNO)

Ancora un rinvio. Ancora un ostacolo a pararsi davanti al Padova capolista. Sempre più capolista (e pure campione d’inverno), visto che la mano di Attilio Tesser, che già si era vista all’Euganeo una settimana fa, è riuscita a lasciare il segno anche contro il Vicenza al “Rocco”. 2-0, doppietta di Olivieri e seconda sconfitta stagionale per gli uomini di Vecchi. Che potevano pure finire a meno 8 dal primo posto se i biancoscudati avessero giocato, e ovviamente vinto, a Chioggia. Ma così appunto non è stato: la sfida del “Ballarin”, nel giorno che doveva essere dell’inaugurazione dello stadio dopo i lavori di ristrutturazione, è stata rinviata a causa della pioggia ma soprattutto del vento arrivato a soffiare a 70 chilometri orari. Troppo sferzanti le folate, impossibile dominare la palla. Ecco che così l’arbitro Vergaro di Bari, dopo un primo tentativo di spostare la partita di 45 minuti, ha mandato tutti a casa, optando per il rinvio a data da destinarsi, probabilmente mercoledì 18 dicembre.

Non è la prima volta che il Padova si ritrova un bastone tra le ruote: c’era già stato il rinvio della sfida con l’Atalanta Under 23 per gli impegni con le nazionali di 4 giocatori nerazzurri, con il Vicenza che, giocando due partite prima di Kirwan e compagni, si era portato momentaneamente da -7 a -1. Con la squadra di Andreoletti costretta a giocare 5 partite in due settimane, compresa la sfida di Coppa Italia. C’era già stato il ritorno di Tesser sulla panchina della Triestina fatalità a pochi giorni dalla sfida di viale Nereo Rocco, guarda caso finita 1-1, con gli Alabardati a dimostrare di avere un valore decisamente più importante rispetto a quello che dice la classifica. Finora i biancoscudati sono stati più forti degli improvvisi e imprevisti cambi di programma. Dimostrando che il primo posto in classifica non è un caso, bensì il frutto di un lavoro importante, sul campo, innanzitutto, ma anche nella testa e nell’approccio alle situazioni: a volte piangersi addosso o crearsi degli alibi è la strada più comoda. Non per questo Padova che, primo e ancora imbattuto, preferisce continuare ad alzare l’asticella delle proprie pretese e radere al suolo le difficoltà con la forza e le prestazioni, rendendo così vincente, seppur complicato, il proprio cammino.

E COSA VUOI DIRE A QUESTO PADOVA?

10 partite, 8 vittorie, 2 pareggi. Cosa si può dire a questo Padova se non un sincero “bravo bravissimo”? I numeri di questo primo quarto di campionato sono assolutamente dalla parte di Andreoletti e dei suoi ragazzi che continuano ad avere la miglior difesa (solo 4 i gol presi, sesto clean sheet per il portiere Fortin) e ad essere primi, a +5 dal Vicenza, e imbattuti. Qualche spunto di discussione e crescita però la sfida alla Feralpi l’ha lanciato (e sicuramente dalle parti della Guizza è stato accolto), due su tutti. Il primo è il (banale ma non così tanto) concetto che gli avversari ci studiano e, viste le tante qualità dimostrate in questo inizio di campionato, lo fanno con la massima cura ai dettagli. Normale che, capendo come si sviluppa il gioco del Padova, vadano a raddoppiare sugli esterni, aggrediscano alti per rendere il giropalla biancoscudato meno fluido e siano disposti a giocare per ampi tratti della partita in 10 sotto la linea della palla per chiudere ogni varco possibile, sperando in qualche buon contropiede per pungere a dovere e poi tornare a chiudersi. Un po’ di imprevedibilità in più bisognerà imparare a darsela, così come è successo, ad esempio, a Busto Arsizio contro la Pro Patria, quando, sotto di un gol al 45’, Andreoletti ha optato dall’inizio della ripresa per il 4-2-4 ha poi portato ad un cambio di marcia e al pareggio di Capelli grazie al bellissimo assist “no look” di Bortolussi dal limite dell’area.

Il secondo spunto è legato all’attacco: lungi dal lamentarsi della rosa che gli è stata messa a disposizione (ampia, di qualità e completa in tutti i reparti), l’allenatore del Padova ha però sottolineato, a fine gara, come gli sia mancata la seconda punta centrale da schierare a partita in corso al fianco di Bortolussi, vista l’assenza per infortunio di Spagnoli. In effetti quella contro la Feralpi era la classica partita sporca (basti guardare quante ne ha prese lì davanti Bortolussi dal primo al novantesimo), in cui avere a disposizione le caratteristiche di Alberto avrebbe fatto comodo. Il fatto che poi, avendo in lista sia Beccaro (autore di una bellissima doppietta il giorno prima con la Primavera) che Montrone, Andreoletti non se la sia sentita di rischiare né l’uno né l’altro dei “giovani” e che contemporaneamente abbia deciso di non adattare nessuno dei “senior” che aveva in panchina in quel ruolo per tentare di sopperire in qualche modo alla mancanza di Spagnoli, potrebbe essere un primo sintomo del fatto che, secondo il tecnico, in effetti invece qualcosa nel reparto avanzato manca se, per qualunque motivo, uno dei due centravanti non è a disposizione.

In conclusione: il punto preso contro la Feralpi è da considerarsi assolutamente positivo, sulla scia di quel detto secondo cui “quando una partita non la riesci a vincere, devi fare di tutto per non perderla”. Il ruolino di marcia del Padova fin qui lo è altrettanto. Qualche considerazione in più si potrà fare tra un mese dopo aver affrontato l’AlbinoLeffe, il Renate e, dopo la Pergolettese e il Novara, anche la rivelazione del campionato Atalanta Under 23.

PADOVA: NON BRILLANO SOLO LE STELLE

Un allenatore propenso al duro lavoro che “tra 10 anni ci vanteremo di avere avuto qui” (parola di Mirabelli). Una rosa ampia e di qualità, con coppie, nei vari ruoli, in cui la scelta dell’uno o dell’altro interprete nell’undici titolare è spesso dettata da piccoli, ma evidentemente significativi, dettagli. Sono decisamente granitiche le certezze che sta regalando il Padova di queste prime otto giornate, culminate ieri con la vittoria nel derby contro la corazzata Vicenza. Al fianco di quelle che possiamo considerare “stelle” indiscusse della squadra, però, stanno contemporaneamente emergendo nuovi attori che, partendo da dietro le quinte, si sono ritagliati strada facendo uno spazio sempre più importante e imprescindibile. E non può che andare a loro la “coccola” più grande all’indomani dell’impresa compiuta con la squadra di Vecchi.

In difesa, di fianco alla certezza Delli Carri ad esempio, ecco Perrotta di cui, nella passata stagione, si è sentito parlare solo per l’assist di Trieste che ha propiziato la rovesciata di Liguori e per il gol nella finale di Coppa Italia poi vinta dal Catania. Perrotta è diventato titolare nel Padova di Andreoletti e, col Vicenza, ha sfoderato la sua prestazione più eroica mettendo la testa (fasciata, a causa dello scontro con Morra) su ogni cross e ogni palla alta messa in area di rigore dai berici.

A centrocampo sicuramente l’attore primario è Lorenzo Crisetig: per qualità, per esperienza, per palmares (per lui l’esperienza a Padova è la prima in serie C dopo 82 presenze in A e 178 in B). Ma al suo fianco brilla come non mai in questo momento la stella di Pietro Fusi, il mediano tutto magnesio che sta imparando anche a tirare fuori il fosforo, il centrocampista ruvido che, domenica dopo domenica, sta smussando i lati più duri e impulsivi (e la diminuzione dei cartellini gialli rimediati sta lì a dimostrarlo) pur non smettendo di recuperare preziosissimi palloni con cui poi fa ripartire la manovra offensiva dei compagni.

In attacco Spagnoli e Bortolussi sono entrambi prim’attori, ma mentre Mattia si è subito fregiato della bellezza (e importanza) dei due gol segnati contro Caldiero e Arzignano in appena 66 minuti entrando dalla panchina, Spagnoli è andato in difficoltà in zona gol realizzando finora un’unica rete, su rigore, dopo tante occasioni mancate. Questo non deve però essere un cruccio per lui: contro il Vicenza il suo apporto in termini di spazi creati per i compagni, di sportellate e di palloni conquistati a discapito di Leverbe lo hanno fatto entrare di diritto nella lista dei migliori in campo.

Chiude la lista, ma con il numero uno sulla schiena, Fortin: quest’estate la società si è assunta una responsabilità non da poco quando ha deciso di rinunciare a Donnarumma (che del Padova era anche il capitano): puntare sul giovane prodotto del settore giovanile biancoscudato e lasciarsi alle spalle l’esperienza (e, diciamolo pure, l’attaccamento alla maglia e alla città di Antonio) poteva sembrare azzardato. In realtà invece il giovane Mattia, sta dimostrando tra i pali una sicurezza incredibile. Non solo si è guadagnato la prima vetrina importante, impedendo al Trento all’Euganeo di portarsi in vantaggio all’esordio del campionato, ma ha messo i guantoni anche in altri successi, ultimo ma non ultimo proprio quello nel derby, sbarrando la strada al Vicenza sia sullo 0-0 che dopo l’1-0 di Liguori. Già, Liguori: il protagonista del derby è stato proprio lui, con l’ennesimo sigillo bello e prezioso della sua carriera. Ma anche su di lui non c’è mai stato il dubbio che non fosse una delle stelle di questo Padova.

SAPER CAMBIARE PELLE

La criticità era già emersa nelle ultime due partite: il Padova che va sotto nei primi minuti ed è costretto a inseguire fin da subito, complicandosi il cammino verso la vittoria. Era successo contro la Pro Vercelli, a segno con l’eurogol di Iotti, era accaduto con la Virtus Verona, in rete con Mehic. In entrambe le gare poi i biancoscudati avevano ribaltato il risultato a loro favore conquistando 6 punti, a Busto invece l’impresa è riuscita solo a metà e, per la prima volta, la squadra di Andreoletti è andata in reale difficoltà di fronte all’aggressività e alla capacità di chiudere gli spazi della Pro Patria.

Dinanzi al dilemma se allo Speroni siano stati più due punti persi che un punto guadagnato, però, la bilancia pende dalla parte dell’importanza del pareggio portato a casa. Senza ombra di dubbio. E non tanto (o non solo) per il risultato in sé che permette al Padova di rimanere imbattuto e di allungare a 7 risultati consecutivi la striscia positiva da inizio campionato, ma anche e soprattutto per come i biancoscudati sono riusciti a riemergere dalle sabbie mobili della partita rimettendola quantomeno in equilibrio, trasformando in risultato positivo una gara davvero trappola, che aveva tutte le caratteristiche per sfuggire di mano, anche dal punto di vista nervoso.

E se alla fine Kirwan e compagni hanno portato a casa la pelle è perché hanno saputo… cambiarla in corso d’opera capendo che stavolta, per arrivare al traguardo, era necessario andare di spada e non di fioretto. Bisognava evitare un giropalla diventato sterile e infruttuoso e modificare l’atteggiamento tattico. La trasformazione è avvenuta già a fine primo tempo, quando mister Andreoletti ha mandato a scaldarsi Bortolussi e Valente inserendoli ad inizio ripresa in un ridisegnato (ma non improvvisato) 4-2-4, modulo che ha permesso alla squadra di riempire l’area con più uomini e di sfruttare i cross dalle fasce. Anche stavolta peraltro il pari è stato segnato da un giocatore subentrato (Capelli) situazione che ha fatto capire una volta di più quanto Andreoletti, quando studia nei minimi dettagli e fino all’ultimo momento disponibile la formazione titolare, ragiona “su tutti e 16” i giocatori che potranno essere utili alla causa non solo sui primi 11.

Nessuna improvvisazione, dicevamo. Un modulo ultraoffensivo come il 4-2-4 non può certo diventare la nuova veste tattica del Padova dal fischio d’inizio, sostituendosi al 3-4-2-1 fin qui adoperato, e va senz’altro affinato (anche se il tecnico ha sottolineato che, appunto, ci aveva già lavorato) ma rappresenta un “piano B” che potrà essere prezioso in altre occasioni. In altre partite che rischiano di diventare partitacce. Contro altre avversarie che punteranno sull’agonismo e sull’aggressività per provare a venire a capo della partita contro il Padova.

VINCERE AIUTA A VINCERE (E A CORREGGERE I DIFETTI)

Se non fosse per la tristezza del già tristissimo stadio Euganeo, rimasto praticamente vuoto anche contro l’Alcione Milano nella parte in cui il tifo è sempre stato caloroso e il colpo d’occhio ha sempre restituito una sorta di muro umano colorato e festante con sciarpe, bandiere e striscioni, non ci sarebbe un motivo uno per non essere felici dopo aver visto il Padova battere anche l’Alcione Milano, dopo aver superato Trento, Caldiero e Arzignano. Risultati a parte, i costanti progressi della squadra di Matteo Andreoletti sono sotto gli occhi di tutti: la squadra ha già una sua identità, un suo gioco, una direzione intrapresa. Ed è vero che, trovandoci ancora all’alba della stagione, le certezze non possono essere granitiche, ma c’è già anche un’idea delle gerarchie in campo tra conferme e cambi della guardia: a sinistra della difesa ad esempio si è preso una maglia da titolare, dopo una stagione più in ombra che in evidenza, Marco Perrotta e sta meritando di tenersela stretta. Sempre lungo la fascia mancina, Favale dà in questo momento più affidabilità rispetto a Villa, Capelli, dalla parte opposta, più dinamicità e incisività rispetto al capitano Niko Kirwan. Varas sta dimostrando una duttilità, tra centrocampo e trequarti, che rappresenta la vera arma in più per l’allenatore lombardo, Crisetig si è impadronito della cabina di regia e, forte della preparazione svolta coi compagni e di qualità che non scopriamo certo adesso, è diventato perno insostituibile a centrocampo, Spagnoli in questo momento batte Bortolussi nell’undici di partenza per, parole di Andreoletti, la sua capacità di fare la guerra aprendo spazi per i compagni lì davanti, anche se ancora deve sbloccarsi in zona gol. Bomber Mattia però si fa trovare pronto a gara in corso e ha già due preziosissime reti all’attivo.

L’unico neo della sfida alla neopromossa milanese è stato il non chiuderla prima, pur avendone la possibilità, ma a fronte di una mancanza sulla quale Andreoletti ha subito detto che occorre lavorare, c’è comunque soddisfazione per come i giocatori, ad un certo punto, pur non riuscendo ad affondare il colpo decisivo, sono stati bravi a ricompattarsi e a fare in modo che l’Alcione non si avvicinasse troppo alla zona presidiata dal fin qui ottimo Mattia Fortin. Per tutto il resto parlano i numeri: 12 punti, 10 gol fatti con 8 marcatori diversi, un solo gol preso. Difficile davvero trovare anche solo l’ombra di qualcosa che non va in tutto questo.

MAGIA PADOVA, MA SENZA TRUCCO E SENZA INGANNO

Non c’è trucco, non c’è inganno. Il Padova è proprio questa cosa qui, quella che si è vista in queste prime tre giornate, coincise con 3 vittorie, ben 9 gol fatti e solo una rete subita. E’ una squadra operaia, diligente, che lavora sodo e mette in costante difficoltà un allenatore che, da quando l’ha presa in mano, a metà luglio, preme sui suoi concetti di calcio con una precisione e una determinazione che rasentano il maniacale, per far sì che, di settimana in settimana, diventino sempre più automatici. Sembra facile, a vedere la naturalezza e la puntualità con cui i giocatori si fanno trovare nel posto giusto al momento giusto e la bellezza dei gol che ne nascono, ma così non è e non serve una preparazione tattica sopraffina per capire quanto, ad esempio, dietro la pulizia, di più, la bellezza dell’azione che ha portato al primo gol col Caldiero e la settimana successiva alla prima rete con l’Arzignano, ci sia un lavoro di costruzione della manovra pazzesco al campo di allenamento, con costante attenzione ai dettagli.

Tutto questo indipendentemente da chi scende in campo di volta in volta: Mister Andreoletti in queste prime tre giornate non ha mai riproposto la stessa formazione, a testimonianza di quanto poco basta per spostare la decisione da un giocatore all’altro. In molti casi il gioco delle coppie tiene conto solo di quanto ciascuno dei due elementi ha spinto in settimana, perché le caratteristiche sono simili, in altri invece sono proprio i dettagli del bagaglio tecnico del singolo giocatore a far spostare di qua o di là la scelta dell’undici di partenza. Il minimo comune denominatore dell’intera rosa è comunque una qualità sopra la media dei singoli interpreti, tra chi viene da una categoria superiore e si vede e chi invece sta cercando ora di emergere per guadagnarsela sul campo.

La classifica poco importa adesso. Non è il caso di darle troppo peso. Guardarla ora serve solo per rendersi conto che, tanto per cambiare, di scontato non c’è nulla: il Padova è primo col Renate a punteggio pieno, la Triestina è a meno 6, la Feralpi a meno 7. Il Caldiero che ha perso coi biancoscudati, e pareva che da neopromossa si fosse solo rivelata la vittima sacrificale ideale di fronte a un Padova con ambizioni di alta graduatoria, ha vinto a Trieste. Non in un campo qualsiasi. Sul campo della squadra che, insieme al Vicenza, ha speso di più quest’estate e che si ritrova già in crisi.

Meglio dunque aver iniziato bene, viste le dure prove cui sono stati sottoposti i tifosi negli ultimi anni, tra delusioni e serie B mancata di un soffio. Meglio provare subito sensazioni positive. Meglio vedere il Padova così e pensare che forse, stavolta, sarà veramente magia, Ma, come si diceva, senza trucco e senza inganno.

E’ IL CALCIO (PADOVA), BELLEZZA! BASTEREBBE CAPIRLO

Ah, il calcio. Ah, il Padova. Quante emozioni riesce a provocare, quante cose fa sovrapporre tra mente e cuore, tra i ricordi e un presente tutto da vivere, tra la nostalgia di un passato glorioso e la speranza sempre presente e forte, nonostante tutto, di un futuro migliore o meglio in un ritorno ai fasti di un periodo collocato ormai troppo indietro nel tempo. Può capitare che vinci senza meritare, che perdi dopo aver fatto 50 tiri in porta e aver tenuto il possesso palla per 70 minuti su 90. Può capitare che ti ritrovi a ridere, a piangere, a gridare e a rimanere impietrito in un silenzio irreale a distanza di pochi minuti tra uno stato d’animo e l’altro. E’ il calcio, bellezza. Così straordinariamente appassionante proprio perché imperfetto e restio a rispettare le basilari regole della razionalità.
Ragione e intelletto zero, certo, ma qualche legge da rispettare c’è, se no si ridurrebbe tutto a 22 giovani uomini in mutande che banalmente inseguono una cosa rotonda di plastica che rotola su un prato e così non è. Per viverlo in modo così totalizzante il calcio, in particolar modo a Padova, il tifoso ha bisogno di sentirselo addosso. Di respirarlo quotidianamente come se scendesse in campo anche lui di fianco ai suoi beniamini, a dar loro pacche sulla schiena e fiato in aggiunta quando le cose non vanno benissimo e c’è bisogno dello sforzo in più per andarla a vincere. Deve sentirsi partecipe e per farlo deve identificarsi in questo e quel giocatore come fosse il suo eroe. Arriviamo al punto: soprattutto in una categoria infame come la serie C in cui la qualità dello spettacolo è quella che è, i campi in cui si va a giocare sono quello che sono (Euganeo compreso, con l’obbrobrio di una curva iniziata e finora non finita a causa di scandali, contro scandali e lungaggini burocratiche) e il sentimento popolare è quello di un Padova che in questa categoria infame non ci dovrebbe essere perché merita di più, molto di più, la società non può continuare a comportarsi senza un minimo di quell’intelligenza emotiva che ci vuole quando decidi di fare calcio in una piazza ferita, delusa e appesantita dai risultati che di recente spesso non sono arrivati per un inciampo nell’ultimo metro.
L’esempio più calzante non può che riguardare Igor Radrezza, in quanto Igor Radrezza e in quanto simbolo di quel legame (e di quel collante) che solo un giocatore bandiera può creare con il suo pubblico, con il suo tifo. Proprio perché alla fine la tanto agognata serie B non è arrivata, le uniche emozioni vere, gli unici momenti di orgoglio puro sono stati provati in situazioni in cui il protagonista è stato proprio il numero 10 con quella sua capacità di assumersi responsabilità grandi al momento giusto, con quella sua lucida follia di voler tirare un rigore col cucchiaio davanti al muro dei tifosi del Vicenza, con quella sfrontatezza nel sottolineare sorridente, a fine partita al “Menti”: “Lo so che non si dice, ma ho goduto molto”.
E il Padova che ha fatto? Ha preso questa bandiera e l’ha ammainata. Non capendo che solo partendo da emozioni come queste può sperare di mantenere alti l’umore e l’entusiasmo dell’intera truppa alla vigilia dell’ennesimo campionato in terza serie.
Probabilmente è tardi per pensare a un possibile rientro alla base di Igor (o forse no), ma non è troppo tardi per la società per provare a capire di più i tifosi, per provare a scendere in mezzo a loro, a fare un bagno di umiltà. Forse rientrerebbe anche la questione dello sciopero degli abbonamenti (o forse no). Ma sarebbe un primo passo fondamentale per allentare la tensione a mille di quest’estate 2024 che non prelude, come tutte le sensazioni tendenti alla negatività, a nulla di buono.
E’ il calcio, bellezza. E’ il Padova, bellezza! Patrimonio della società certo, ma soprattutto della città e dei tifosi che gli danno vita, forma, sostanza, emozioni.

ANCORA LACRIME E… SERIE C

E’ finita così, tra le lacrime di chi voleva più di ogni altra cosa raggiungere la serie B con la maglia biancoscudata perché la ama visceralmente, tra la comprensibile rabbia dei tifosi che ancora una volta ci hanno creduto fino alla fine, cantando, incitando, sventolando bandiere ed esibendo sciarpate. Per il quinto anno consecutivo il Padova non è riuscito a conquistare la serie B, fermandosi ai quarti di finale contro il Vicenza. Fa male, fa tanto male, perché l’avversario era il Vicenza e ha vinto in entrambe le sfide, perché dopo un intero girone d’andata senza conoscere sconfitta e dopo una rincorsa al Mantova tenuta viva fino a metà del girone di ritorno le aspettative erano ben diverse. I sogni avevano giustamente iniziato a decollare. Cosa sia successo poi è sotto gli occhi di tutti: lo 0-5 contro il Mantova, il mercato di gennaio che ha in qualche modo intaccato un equilibrio che era stato raggiunto dall’allenatore con duro lavoro e particolare attenzione ai dettagli, il cammino in Coppa Italia che si è sovrapposto al campionato, con la doppia finale col Catania finita male, sia per l’invasione di campo di alcuni supporters etnei con lancio di fumogeni contro i tifosi del Padova all’andata all’Euganeo che ha freddato la tifoseria, sia per la sconfitta al “Massimino” del ritorno con i due gol decisivi degli etnei segnati a un soffio dal novantesimo e a ridosso della fine dei supplementari. Infine, ultimo ma non ultimo, il cambio del tecnico a tre giornate dalla fine, con l’esonero di Vincenzo Torrente e l’arrivo, per la seconda volta dopo la parentesi di due anni fa, di Massimo Oddo.

Ancora una volta la piazza è chiamata a raccogliere i cocci di una disfatta e a cercare in fondo al sacco della propria anima l’ultimo rimasuglio di passione e di attaccamento. Tenendo staccato l’amore per il Padova che mai si spegnerà (nonostante la troppa serie C degli ultimi 30 anni e nonostante uno stadio incapace di risvegliare qualunque tipo di sussulto emotivo positivo) dal risentimento che è maturato in questi mesi nei confronti della società. Società che, di fronte all’ennesimo fallimento, ha precise responsabilità: son capaci tutti di fare 13 al Totocalcio con la Gazzetta del lunedì in mano e del senno di poi sono piene le fosse, è vero, ma i dirigenti e il direttore sportivo non possono non mettersi a questo punto una mano sulla coscienza. Perché non può più reggere, da sola, la storia che nel 2021 col Perugia in campionato e ad Alessandria in finale abbiamo avuto solo sfortuna, che due anni fa abbiamo beccato il SudTirol dei miracoli e dei soli 9 gol presi in campionato, che l’anno scorso non ci hanno dato un rigore, seppur sacrosanto, contro la Virtus Verona nel secondo turno preliminare e che quest’anno il Mantova non doveva nemmeno essere in C perché retrocesso e riammesso solo all’ultimo e ha fatto un campionato strepitoso contro ogni previsione.

La fortuna uno se la deve anche andare a cercare e una società deve imparare a programmare, evitando di dover intervenire sempre strada facendo. L’esonero di Torrente a tre giornate dalla fine non ha avuto alcun senso. Comprare 5 giocatori a gennaio, con caratteristiche diverse da quelle che servivano per dare continuità al lavoro fatto fino a quel momento, è servito ancora meno perché hanno costretto l’allenatore a cambiare il modulo e a privarsi di chi, fino a quel momento, ce lo aveva portato il Padova al secondo posto in classifica.

Gli equilibri all’interno di uno spogliatoio sono delicati: ci vogliono mesi per crearli, basta una singola azione sbagliata per far crollare tutto. Il filo è sottile, sottilissimo. Dopo di che, appena visto l’avversario dei quarti, la sensazione è stata subito quella che sarebbe stata durissima più che con l’Avellino e il Catania. Il Vicenza era in fiducia e con le due vittorie dei quarti ha raggiunto i 20 risultati utili consecutivi, uno in più del Padova di Torrente nel girone d’andata. Ci voleva la perfezione assoluta per battere un avversario del genere, non il Padova visto al Menti, reduce peraltro da 24 giorni passati in isolamento assoluto e non a respirare la città per caricarsi in vista del rush finale.

Direttore se ci sei batti un colpo. Nel frattempo ai tifosi non resta che continuare ad amare la maglia in modo da farla sembrare l’immagine del bambino che c’è il loro. E’ l’unico modo umano per sopravvivere in una categoria che da troppi anni ci sta stretta ma rappresenta purtroppo la triste realtà del presente.

ODD(I)O

Ho pensato spesso a mister Torrente in questi giorni. L’immagine che mi è sempre venuta in mente per prima è quella immediatamente successiva alla vittoria per 3-2 sulla Pro Vercelli all’Euganeo con gol decisivo di Palombi al 92′ nel girone d’andata: al triplice fischio, una volta portato a casa il massimo risultato al termine di una partita che era iniziata benissimo col doppio vantaggio biancoscudato ma che poi si era complicata per la rimonta dei piemontesi, l’allenatore del Padova si mise a camminare in campo guardando gli spalti e cominciò a battere le mani al pubblico padovano, lasciando poi cadere le braccia come fa il guerriero quando ha appena portato a termine la sua battaglia, la sua impresa, e si gode il meritato trionfo. Ho sempre interpretato quella gestualità come una sorta di ringraziamento e contemporaneamente di “scuse”. Era come se Torrente volesse dire: “E’ vero, ogni tanto ci complichiamo la vita da soli, ma continuate a credere in noi perché non abbiamo mai mollato e non molleremo”. E’ questa l’immagine di Vincenzo Torrente che mi voglio portare dentro, nella testa e nel cuore. Nella testa perché i numeri (70 punti e il secondo posto alle spalle del davvero irraggiungibile Mantova) sono assolutamente dalla parte dell’allenatore e sempre lo saranno, indipendentemente dal finale che il Padova riuscirà a disegnare dopo il suo esonero, e nel cuore perché Torrente è proprio così: semplice, diretto, genuino, un uomo di calcio “vecchia maniera” e proprio per questo non meritevole della sorte che questo calcio moderno, frenetico e sempre più incapace di programmare e di attendere gli esiti della sua programmazione gli ha inflitto, nonostante il bellissimo cammino fatto a Padova in un anno e mezzo di permanenza sulla panchina biancoscudata (vi ricordate vero le due sole sconfitte subìte da dicembre 2022 a dicembre 2023?).

Su Torrente si è abbattuta la scure della legge più banale e allo stesso tempo più feroce del mondo del calcio, quella secondo cui se qualcosa comincia a non funzionare più benissimo si butta senza prima provare ad aggiustarla. Se qualcosa va storta si cambia senza tentare di trovare un modo per raddrizzarla. E’ indubbio che il Padova, nelle ultime partite, non sia stato lo stesso Padova del girone d’andata. La miglior difesa ha iniziato a imbarcare gol, il prolifico attacco ha fatto sempre più fatica a segnare, i cambi, fin qui sempre azzeccati e in grado di dare la svolta alla partita, non si sono più dimostrati efficaci. Ma la decisione della società di esonerare Torrente ha preso davvero in contropiede tutti: dall’ambiente agli stessi giocatori che non se l’aspettavano.

Se esonero doveva essere, comunque, per dare la famosa “scossa”, credo che la scelta di far tornare Massimo Oddo anziché puntare su un profilo sconosciuto, sia stata un’operazione “simpatia” non da poco. Conosce la piazza, la piazza conosce lui, di sicuro non avrà bisogno di tempo per capire come muoversi perché lo ha già fatto a queste latitudini. In più, anche se lui ha assicurato che non è così, un minimo di voglia di portare a termine quanto fatto due anni fa regalandosi un finale diverso deve pur averla provata quando ha letto il numero del direttore sportivo Mirabelli sul telefonino che squillava.

Non ci resta che augurargli di lavorare bene (“Ho già le idee molto chiare”) di riuscire a tirar fuori il meglio da ciascun giocatore (“Io di solito cerco di metterli in campo nel ruolo a loro più congeniale per farli esprimere al meglio”, ha detto) e di riuscire a conquistare la matematica certezza del secondo posto già sabato per poi lasciarsi alle spalle il campionato e proiettarsi sui playoff (basta un punto, che ce vo’?).