IL PADOVA NON SA PIU’ VINCERE

Il Padova ha disimparato a vincere. Non ci riesce più per quanto ci provi con tutte le sue energie, fisiche e mentali. Per quanto riesca magari anche qualche volta a portarsi in vantaggio, come è successo domenica contro l’AlbinoLeffe grazie al rigore di Liguori e come è stato contro l’Arzignano, grazie alla doppietta dello stesso Liguori, dopo che era andato inizialmente sotto. Guardando la partita contro i bergamaschi, passata alle statistiche con la duplice veste del quinto pareggio in campionato e del mancato ritorno alla vittoria che manca da un mese (all’Euganeo addirittura da due), tutto vien da dire fuorché che l’approccio alla gara sia stato sbagliato. I biancoscudati sono scesi in campo con l’atteggiamento di chi vuole vincere, ma si sono poi persi per strada, apparendo poco attenti, di più spaesati, soprattutto nella fase difensiva. Il problema in questo momento sta proprio lì dietro: se infatti in attacco, complice il rientro dell’esterno ex Campobasso, la squadra ha ripreso a macinare gioco e occasioni da gol, nella retroguardia sono cominciati purtroppo i problemi. Troppo facilmente l’AlbinoLeffe ha trovato i due gol con cui all’inizio della ripresa ha ribaltato il risultato a suo favore e troppo leggermente il Padova si è fatto infilare. Mister Caneo ha parlato di imperdonabili errori individuali su cui continuare a lavorare in settimana per evitare che succedano di nuovo ma è chiaro che, ancora una volta, ci troviamo di fronte ai limiti di un gruppo che o dà in ogni occasione il centodieci per cento oppure fatica a portare a casa il risultato pieno. Cosa deve fare dunque la squadra per evitare di precipitare ancora più in basso rispetto al decimo posto in cui già è scivolata? Semplice (mica tanto): come ha fatto fino ad ora: continuando ad essere fedele al credo del suo allenatore e limando il più possibile gli errori e le sbavature. Caneo, dal canto suo, però, ribadiamo, pur senza sconvolgere l’impostazione tattica che rappresenta il suo modo di intendere il calcio, dovrebbe provare a cambiare qualche pedina nei ruoli chiave. Se Germano, bravissimo in questi ultimi anni a trasformarsi da mezz’ala a pendolino inesauribile di fascia, non ha le caratteristiche per fare il braccetto di destra della difesa a tre, non va mortificato ulteriormente. Se Dezi in questo momento attraversa una fase di appannamento, meglio provare ad affidarsi ai colpi di classe di Radrezza. E se Radrezza nel centrocampo a due, secondo il tecnico, non ci può stare perché non ha abbastanza gamba, perché non spostarlo sulla trequarti mettendolo così nella condizione di illuminare, qualche metro più avanti, il gioco offensivo?
Il tutto senza snaturarsi, sia chiaro. Come già abbiamo avuto modo di sottolineare qualche settimana fa. Perché non si può rischiare di trasformare le disattenzioni di qualche momento della gara in difetti cronici che non porterebbero di certo al ritorno alla vittoria. Questi siamo. Con questi mezzi (per ora) ne dobbiamo venir fuori.

ORA E’ CRISI VERA MA DAL TUNNEL SI PUO’ USCIRE (SENZA DRAMMI)

I numeri, quelli che non mentono mai, dicono che il Padova, dopo la partenza strepitosa delle prime giornate, resa ancor più avvincente dalla bellezza delle prestazioni nelle 4 vittorie consecutive contro Vicenza Juventus Next Gen, Pro Patria e Pordenone, si è inceppato.

All’indomani del brutto 5-0 di Crema si era parlato di giornata decisamente storta, al termine dello 0-0 contro la Virtus Verona di partita sporca, poi la vittoria contro la Triestina pareva avesse tamponato definitivamente la piccola ferita. Successivamente sono invece arrivati la sconfitta al 91’ con il Novara e il pari col Piacenza subito sempre all’ultimo minuto, poi ancora il pari interno (2-2) con l’Arzignano al termine di una sfida in cui però i biancoscudati sono riusciti a rimontare l’iniziale svantaggio. Anche qui ci siamo guardati bene dal parlare di crisi vera e propria perché la squadra, nonostante i 10 gol subiti in un solo mese, non aveva sbagliato l’approccio e si era data da fare, pareva proprio che il risultato sperato non fosse arrivato per via di dettagli e disattenzioni evitabili. E per via del gioco di Caneo che, essendo molto offensivo, lascia spesso la coperta corta dietro e quindi bisogna mettere in preventivo che la strada maestra da seguire non è quella all’insegna del “primo, non prenderle” ma quella in cui sul cartello campeggia la scritta: “Per vincere devi segnare un gol più degli avversari”.

Dopo il quarto stop in campionato a Sesto San Giovanni invece non c’è altra parola che possa essere tirata in ballo se non quella che fino ad oggi non avevamo ancora pronunciato. I biancoscudati appaiono spaesati, peggio ancora tristi. Ed è proprio la tristezza il freno a mano tirato del gruppo che, ad inizio stagione, aveva fatto dell’entusiasmo il suo cavallo di battaglia. Tutti, nessuno escluso, fanno fatica a reagire e a rimettersi in piedi quando la squadra avversaria affonda il primo colpo e il risultato è che a quest’ultima basta anche solo un altro affondo in novanta minuti per portare a casa la partita senza troppe tribolazioni.
Gli episodi a sfavore ci sono stati e sono tanti, compreso il gol annullato per fuorigioco a Ceravolo sul campo della Pro Sesto, regolarissimo. Ma la squadra deve assolutamente recuperare l’autostima che ha perso e a trascinarla fuori dalle sabbie mobili deve essere il suo allenatore, Bruno Caneo. Che non va certo messo in discussione, anzi, va sostenuto, ma deve quantomeno provare a mettere in discussione le due granitiche convinzioni. Dichiarazioni come quelle esternate a Sesto, in cui spiega che senza gli infortunati del momento lui non può mettere in campo la formazione che desidera, non fanno bene né a chi è assente né a chi deve subentrare che non si sente all’altezza. E non fanno bene neanche a chi, vedi Radrezza, nonostante le tante assenze, non ha ancora avuto la sua possibilità dall’inizio e non aspetta altro che la sua occasione per mettersi a disposizione dei compagni. E’ poco opportuno insomma in questo momento parlare di figli e figliastri. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Mai come quest’anno in cui ancora la fuga verso l’alto di una capolista non c’è stata e l’equilibrio regna veramente sovrano.

EPPUR MI EMOZIONA…

Un colpo al cuore. Non scherzo se dico che, quando ho saputo del sequestro del cantiere della nuova Curva Sud all’Euganeo da parte della Guardia di Finanza, ho provato un dispiacere immenso, da farmi quasi tremare le gambe. Certo chi vi parla in questo momento è il cuor di tifosa che urla sopra l’aplomb della cronista silenziandolo. Ma non credo di esprimermi solo col sentimento se dico che, da quando è nato nell’ormai lontano 1994, l’Euganeo non è mai piaciuto e non ha mai fatto vibrare la sensibilità né le emozioni di alcun tifoso.
Questo stadio non è mai stato attrattivo. E’ sempre stato considerato freddo, anaffettivo, soprattutto perché è andato a sostituire il tempio del calcio, il catino bollente, quell’Appiani che, per chi l’ha vissuto direttamente, rappresenta un ricordo stordente e impossibile da rimuovere, dal cuore prima che dalla mente. Le uniche due volte in cui questa glaciale cattedrale nel deserto si è riempita anche nell’anello superiore, dopo il tramonto dell’ultima brevissima era in serie A nel 1996, è stato nel 2011, in occasione di Padova-Novara finale playoff di serie B per tornare in A, e l’estate scorsa per Padova-Palermo, finale playoff di serie C per la promozione in B. Per il resto è già tanto, se qualche volta, abbiamo superato le 10.000 persone sugli spalti.
In 26 anni non è mai stato fatto nulla per migliorare la situazione, per cercare di avvicinare la gente: l’Euganeo è sempre rimasto lì, isolato, senza una viabilità decente a servirlo e senza un cavolo di bar o luogo di ritrovo per farne un punto di aggregazione anche in altri giorni della settimana diversi dalla domenica.
Quando l’attuale amministrazione comunale ha pensato ad una curva nuova, a bordo campo, sfruttando il bando “sport e periferie” e il credito sportivo, ho provato una gioia immensa. Ma, ribadisco, non (solo) perché sono tifosa e quindi la cosa mi tocca ovviamente da vicino, ma perché ho interpretato questo progetto come un modo per tornare dopo tanto tempo a valorizzare la squadra di calcio della città, il blasone e la storia che porta con sé. Il Padova non è solo un insieme di ragazzi in mutande che rincorrono una palla che rotola, è molto di più. E’ un simbolo. Il club biancoscudato non è solo “circenses” ovvero divertimento riservato a chi quella sfera rotante la ama più di qualunque altra cosa ma anche “panem” ovvero possibilità per il tessuto economico di investire, per darsi visibilità attraverso lo sport più bello e seguito al mondo.
Chi poteva prendersi a cuore la faccenda se non un sindaco che di quella squadra è stato presidente e un assessore che nel calcio è stato apprezzato professionista dal 1’ al 45’ minuto della sua vita e sa cosa vuol dire avere un tifo che ti trascina facendoti sentire il suo calore addosso alla pelle?
Sulle modalità con cui hanno agito, in qualità di amministratori comunali, non mi permetto di mettere lingua. C’è un’inchiesta in corso che arriverà a conclusione e ci dirà se ci sono state azioni al di fuori della legalità. Per l’idea che hanno avuto non posso però che sciogliermi in un applauso. Certo lo stadio così è asimmetrico, non è bellissimo da vedere ed è stata eliminata la pista d’atletica (che, detto per inciso, nel corso della sua esistenza non ha fatto altro che ospitare un meeting gratuito all’anno, che ora non è che non si faccia più, ma semplicemente è stato spostato al rinnovato e bellissimo stadio Colbachini dell’Arcella, un autentico gioiellino che più si confà alla manifestazione) ma tutto si può dire della curva nuova fuorché che non sprigioni emozioni in chi l’ha tanto attesa e desiderata, sognando di vedere una partita da quei gradoni attaccati al campo e non a 100 metri di distanza come quella che c’era prima. Mi dispiace ma a me non sembra né un forno a microonde né l’ingresso di un ospedale! E’ solo il primo passo verso la valorizzazione di un impianto che per troppo tempo è stato lasciato lì a ingrigirsi e intristirsi. Non può essere un caso che la storia del Padova, dal 1994 in poi, aldilà dei due anni in serie A, abbia vissuto più fasi di declino che di gloria. Son passati quasi tre decenni, abbiamo la prova e la controprova di questo. Da un primo passo si doveva partire. Meglio così che continuare a rimanere immobili e lamentarsi che del calcio, a Padova, non frega più nulla a nessuno.

PIU’ MALIZIA E MATURITA’, SENZA SNATURARSI…

All’indomani del pareggio contro l’Arzignano, arrivato dopo che il Padova era riuscito a ribaltare con fatica l’iniziale svantaggio, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: possibile che questa squadra non riesca a gestire il risultato quando ce l’ha a portata di mano e se lo è costruito con le sue forze, il suo gioco votato all’attacco e le qualità dei suoi bravissimi giovani? Possibile che, dopo aver preso gol al 91′ contro il Novara e al 90′ contro il Piacenza, dilapidando 5 dei 6 punti a disposizione, il Biancoscudo sia riuscito a farsi raggiungere un’altra volta senza imparare minimamente la lezione dei due match precedenti?
Purtroppo la risposta è sempre la stessa. Sì. Quel che è successo domenica all’Euganeo è ancora una volta la naturale conseguenza del tipo di gioco e di atteggiamento che l’allenatore Bruno Caneo ha impresso ai suoi ragazzi fin dal primo giorno di ritiro. Ai giocatori del Padova non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di difendere un gol di vantaggio buttando la palla in tribuna, nè arretrando la linea difensiva. Emblematico in tal senso il 2-2 dell’Arzignano, arrivato dalla corsia di sinistra: Valentini sbaglia l’uscita, Belli e Calabrese, con l’aiuto di Jelenic, cercano di tamponare in qualche modo la situazione ma la sfera arriva a Fyda che (forse in fuorigioco per carità) è libero di superare Donnarumma con un pallonetto. Jelenic, in quel momento esterno di destra nel centrocampo rinfoltito da Caneo, riesce a dar manforte alla fase difensiva, dall’altra parte invece Zanchi non entra nemmeno nell’inquadratura perché in quel momento è lontano dall’azione. E’ forse fuori posizione? No, perché in quel momento era alto, pronto a far ripartire la squadra, come gli dice evidentemente di fare l’allenatore ad ogni santo allenamento.
Come se ne esce dunque? Chiedendo a Caneo di passare alla difesa a 4 o di ordinare agli esterni di rimanere bassi in caso di vantaggio acquisito? No. Si deve cercare di porre rimedio a queste situazioni continuando a lavorare come si è fatto fino ad oggi, nel percorso tracciato dal tecnico sardo che ha sempre impresso questa mentalità alle sue squadre in passato e di certo non la cambierà ora, in corsa, solo perché a Padova “c’è fretta di vincere e di raggiungere subito l’obiettivo” (tanto per parafrasare le parole pronunciate dallo stesso Caneo qualche giorno fa). E però c’è un però: pur senza commettere l’errore di snaturarsi, il Padova deve acquisire un pizzico di malizia in più. Deve maturare. E’ giovane e gli alti e bassi sono all’ordine del giorno, ma strada facendo la squadra, che ha già un’identità ben precisa, deve trovare anche equilibrio, rimanere compatta dal 1′ al 90′ e mettere quel pizzico di furbizia che le manca.
La classifica è corta (come purtroppo la rosa, ma a gennaio qualcosa si dovrà fare sul mercato per allungare la coperta), ancora nessuno ha fatto l’allungo alla SudTirol. In un fazzoletto di punti ci sono tante squadre, tra cui lo stesso Padova. Basta rimanere lì agganciati al gruppone e provarci fino alla fine. Nulla di più, nulla di meno.

NEL MEZZO DEL CAMMIN DEL GIRONE D’ANDATA…

Nel mezzo del cammin del girone d’andata, mi ritrovai davanti un Padova capace di imprese e disfatte, di capolavori e di errori grossolani, di successi perentori e di sconfitte decisamente evitabili.
Difficile farsi un’idea precisa di come potrà andare da qui alla fine, sebbene la navigazione stia avvenendo con un una granitica certezza, ovvero che la squadra biancoscudata ha una sua precisa identità: gli uomini di Caneo giocano sempre all’attacco, cercando un gol in più dell’avversario anche a costo di prenderlo. La gestione del risultato o, tanto per parlare dell’ultima sfida dell’Euganeo, l’accontentarsi del pareggio, non sono pensieri che attraversano le loro corde.
Ecco perché, in queste prime dieci giornate, si è passati con agghiacciante disinvoltura dalla vittoria risolleva morale col Vicenza e dallo spettacolare 3-0 alla Pro Patria alla debacle di Crema, attraversando anche un pari bello solo a metà contro la FeralpiSalò e un pari decisamente brutto con la Virtus Verona fino ad arrivare alla battuta d’arresto con il Novara di domenica scorsa. Sconfitta maturata al 91′ dopo che, poco prima, era stato il Padova ad avere la possibilità di affondare il colpo decisivo con Liguori.
Questi siamo. Si può puntare al primo posto? Sì, ma a patto di esserci sempre tutti, come ha sottolineato l’allenatore sardo a fine gara in sala stampa, e di dare sempre tutto, in ogni prestazione. Non è una questione solo di numeri (mancano Kirwan, Germano, Curcio e l’ultima volta anche Dezi) ma anche di caratteristiche.
Indipendentemente dal possibile traguardo finale, comunque, è bello constatare che ai tifosi, tutto sommato, questo Padova così com’è piace. In tanti preferiscono divertirsi ed entusiasmarsi sugli spalti anche se poi si rischia qualcosa nel risultato finale piuttosto che andare allo stadio e vedere 11 giocatori che giocano al ribasso, suscitando pochissime emozioni in cui li segue.

CAMBIARE PER TORNARE QUELLI DI PRIMA

Promosso con le grandi, decisamente bocciato con la Pergolettese, rimandato con la Virtus Verona.
Dopo l’inizio scoppiettante e i risultati convincenti contro Vicenza, Pro Patria, Pordenone e FeralpiSalò, il Padova sta ora mostrando l’altra faccia della medaglia. Il lato oscuro della luna. Le prime difficoltà del campionato.
C’era da aspettarselo? Certo che sì e non solo perché, all’alba dell’ottava giornata, è normale che le avversarie imparino a conoscerti e siano in grado di prenderti le adeguate contromisure. Capita spesso infatti che le squadre votate all’attacco come lo è la truppa di Bruno Caneo, vadano in crisi quando trovano le barricate alzate, gli spazi chiusi e il raddoppio delle marcature. Così è stato contro la Virtus di Gigi Fresco che ha capito perfettamente come doveva fare per arginare la manovra biancoscudata e far girare a vuoto i giocatori.
Diversi sono i fattori che hanno contribuito ad arrivare a questa situazione e tutti ruotano attorno ad un unico concetto, ovvero che il gioco di Caneo è molto dispendioso, dunque chi è in campo deve essere al cento per cento. In questo momento non tutti lo sono: a causa di pesanti assenze, in primis De Marchi e Liguori, ma anche i lungodegenti Kirwan, Germano e Curcio, c’è poca possibilità di ruotare e chi è in campo sta tirando la carretta non poco. La rosa non è lunghissima e i tanti indisponibili non agevolano di certo l’allenatore che ha bisogno della massima resa e anche di determinate caratteristiche per portare avanti il suo gioco. Non a caso, nell’intervista rilasciata dopo lo 0-0 dell’Euganeo di domenica, il tecnico si è già proiettato alla sfida di mercoledì con la Triestina, preannunciando qualche cambiamento per mettere i giocatori che vuole inserire per dare la svolta nella condizione di rendere al meglio e secondo le loro qualità più importanti.
Qualche cambiamento ci sarà, dunque, nel modulo e negli interpreti, per far tornare questi ragazzi a esprimersi al meglio, “a dare sostanza” per usare proprio le parole precise di Caneo. Crema a parte, l’intensità e l’impegno non sono mai mancati. Bisogna recuperare lucidità e freddezza sotto porta al più presto, per tornare a portare a buon fine tutto il lavoro svolto dalla metà campo in su. Per concretizzare e monetizzare. Sperando che qualche infortunato possa presto lasciare l’infermeria e tornare a dare una mano a disegnare questo nuovo corso biancoscudato.

EQUILIBRIO

Non è bastato. Sottolineare tutti i giorni della scorsa settimana che la partita contro la Pergolettese non andava presa sottogamba, che non si doveva commettere l’errore di abbassare la guardia anche se di fronte non avevi né il Vicenza nè il Pordenone, non è stato sufficiente non solo ad evitare una sconfitta ma anche a renderla tra le più tristi della storia biancoscudata.
Di fronte allo 0-5 di Crema siamo tutti impietriti. Agghiacciati. Da tifosi non possiamo che giudicare irriconoscibile il Padova che si è fatto infilare 5 gol dicendo: “Prego, si accomodi” a Iori e Abiuso, fatichiamo a credere che sia successo veramente, che (più o meno) gli stessi ragazzi che contro le grandi del girone ci avevano fatto divertire così tanto correndo, verticalizzando, segnando, chiudendo con ordine e lucidità anche il più piccolo varco in difesa siano stati capaci di una prestazione così al di sotto, così leggera, così poco intensa, così tanto nervosa, così tremendamente priva di contenuti.
Da addetti ai lavori però siamo chiamati ad andare oltre la delusione e la rabbia per cercare di capire cosa sia successo, così come dovrà farlo Bruno Caneo, il condottiero del gruppo che nell’infausta trasferta lombarda ha mostrato un lato oscuro e un rovescio della medaglia su cui è necessario fare assolutamente luce, visto che fortunatamente siamo alla settima di campionato e c’è tutto il tempo per rialzarsi in piedi e reagire a questo doloroso ceffone.
Tutta la squadra è mancata. In blocco. Nella mentalità prima che nel gioco. Si è spenta la testa e di conseguenza si sono fermate le gambe. Inutile dunque appellarsi ai cambi di formazione. A Curcio al posto di Jelenic o a Ceravolo al posto di De Marchi. Anche perché le scelte diverse operate dall’allenatore nei due ruoli dovevano semmai sortire l’effetto opposto, quello di far capire a chi fino a questo momento ha giocato poco o non ha giocato mai che non ci sono decisioni definitive e irremovibili e che durante la settimana basta dimostrare allenatore di volere una maglia da titolare per avere buone possibilità di ottenerla.
Credo quindi che il problema sia stato assolutamente psicologico e che in primis si sia trattato di un “peccato di gioventù”: fino a questo momento a fare la differenza erano stati l’entusiasmo e la voglia di emergere dei giocatori, purtroppo però la giovane età porta con sè anche la poca esperienza e magari l’incapacità di reagire come si deve di fronte ad un avversario che ti mette sotto. Dopo il 2-0 della Pergolettese il Padova si è innervosito e da lì in poi ha sbagliato tutto, non riuscendo più a tirare fuori il suo lato più propositivo, più “sbarazzino”, più spregiudicato.
E’ su questo che Caneo dovrà lavorare. Sulla maturità, sulla capacità di soffrire, sull’abilità di sollevare e lanciare lontano un peso che ti cade addosso all’improvviso e che non ti aspettavi di sbucasse da dietro l’angolo.
Così come ha fatto dal giorno dopo la sconfitta col Cesena nell’amichevole che ha preceduto l’inizio della stagione. Anche all’epoca, a sette giorni dal debutto, è arrivata una batosta, con 4 gol al passivo, e ci siamo messi le mani nei capelli temendo che la squadra non fosse pronta, invece poi l’inizio del campionato, al netto della sconfitta di Vercelli che però non è minimamente paragonabile con quella di Crema, le cose sono andate molto bene. Il Padova dovrà riguardare più volte questa partita convincendosi di non essere quello visto a Crema e riguardare anche le gare in cui ha dettato legge contro gli squadroni del girone A. Con tanto equilibrio e tanta saggezza, Caneo dovrà prendere per mano i suoi ragazzi e ricondurli sul binario della consapevolezza portandoli un po’ alla volta a superare quelli che a Crema si sono manifestati come grandi limiti, ovviamente da capire e superare al più presto.

PADOVA STUPENDO, PADOVANI STUPITI

Il Padova, questo Padova, il Padova griffato Bruno Caneo, è stupendo. Davvero. Non mi viene altro termine per definire il gruppo creato per affrontare la stagione più difficile degli ultimi anni. Difficile non tanto e non solo per la caratura delle avversarie (che c’è ma è elemento costante in ogni stagione) ma per la necessità di lasciarsi alle spalle due delusioni cocenti, devastanti, come le due finali playoff consecutive perse (l’ultima, quella di Palermo, davvero in modo ignobile).
I giocatori chiamati a cancellare tutto questo per far ripartire il progetto biancoscudato sono andati ben oltre le aspettative e le speranze del più ottimista dei tifosi, restituendo ai padovani il sorriso, l’entusiasmo, la passione e l’attaccamento infrantisi nella notte del “Barbera”. Sono andati oltre perché, quando ad agosto è stato pubblicato il calendario della serie C e ci siamo resi conto che, nelle prime sei giornate, avremmo affrontato praticamente tutte le principali pretendenti alla promozione ci siamo messi tutti le mani nei capelli. Pensando subito che dovevamo prepararci psicologicamente alla possibilità di giungere alla fine di questo terribile filotto iniziale con pochi punti all’attivo. Ci siamo messi subito il cuore in pace, convincendoci che avremmo dovuto avere pazienza, che la squadra era quasi tutta nuova e ringiovanita e che bisognava dare il tempo all’allenatore, anche lui nuovo, di trasmettere ai ragazzi il suo credo calcistico e le sue particolari movenze tattiche.
Niente di tutto questo. La realtà ha superato la fantasia. La bellezza e la volontà del Padova sono state più forti dei dubbi, delle perplessità e della prudenza dei tifosi, così abituati a soffrire da stare sempre pronti a prepararsi al peggio per poi gioire dell’eventuale meglio.
Le prove Vicenza, Pordenone e FeralpiSalò sono state superate brillantemente, con due vittorie e un pari. Ora però il Padova deve fare un passo in più, un ulteriore upgrade: deve dimostrare di saper gestire anche le cosiddette “piccole” del girone, quelle che aspirano alla salvezza e che, per ottenerla, sono disposte a sacrificare il bel calcio sull’altare del risultato utile. Storicamente questo tipo di squadre sono state capaci di mettere i bastoni tra le ruote al Padova ben più delle corazzate. Ricordate la sconfitta alla prima di campionato contro l’Imolese nel 2020? E il pari col Fano alla seconda? E il pari contro Imolese e Fano nel girone di ritorno dello stesso campionato? E il pari contro il Legnago ultimo in classifica nell’interregno tra Pavanel e Oddo l’anno scorso? La sfida alla Pergolettese di domenica prossima sarà un banco di prova fondamentale in questo senso. Vietato concedersi anche solo un pizzico di (inconscia) leggerezza. Servirà come sempre il miglior Padova. Quello che corre, crea, verticalizza e diverte.

E’ CANEO MANIA

In Caneo we trust. Io sto con Caneo. Si moltiplicano gli hashtag e gli slogan, ma soprattutto cresce a dismisura la stima nei confronti dell’allenatore del Padova, Bruno Caneo. “Un uomo di 65 anni con l’entusiasmo di un ragazzino”, come ama definirsi lui. Un tecnico che ha restituito in pochi mesi alla piazza di Padova la voglia di tornare allo stadio e di ammirare le gesta della sua squadra del cuore, aggiungiamo noi.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su un avvio di stagione così brillante e spettacolare, soprattutto dopo che, a sette giorni dall’avvio della stagione regolare, era arrivata quella bruttissima sconfitta in amichevole a Cesena. Non sono solo le 4 vittorie in 5 partite a regalare gioia pura. E’ l’atteggiamento, la voglia, l’approccio che questi ragazzi hanno nei confronti di qualunque avversario ad aver lasciato il segno, ad aver convinto i tifosi a crederci nuovamente. E il merito di tutto questo non può che andare al condottiero del gruppo, ad un allenatore che ha saputo creare un mix eccezionale tra senatori e giovani e, dagli stessi giovani, tirare fuori in parti uguali qualità (che ci sono e sono molto importanti) e voglia di emergere.
Sono soprattutto i ragazzi ad essersi messi in vetrina in queste prime gare di campionato, dopo un’estate in cui ci eravamo messi tutti le mani nei capelli e avevamo solo voglia di nasconderci, temendo l’ennesima annata difficile e sofferente della recente storia biancoscudata. Cretella non sbaglia una verticalizzazione che sia una, Liguori ha già segnato 3 gol, Vasic è esploso con due reti spettacolari, Ghirardello non ha ancora 17 anni eppure, quando viene chiamato in causa, esibisce la sicurezza di un veterano. A tenerli per mano però ci sono giocatori del calibro e della forza morale di Donnarumma, Valentini, Dezi, Radrezza, Jelenic e in un clima così è più che una speranza il pensiero che anche Ceravolo possa tornare molto presto a essere protagonista. Caneo ha saputo fin qui gestire anche lui, ributtandolo nella mischia al momento opportuno col Pordenone, quando c’era bisogno di tenere alta la squadra per evitare che la squadra di Di Carlo rimontasse. Un po’ di confusione nel finale c’è stata e su questo bisognerà lavorare ma nel complesso davvero questo Padova è il simbolo del connubio quasi perfetto tra equilibrio e fantasia, tra corsa e intelligenza tattica, tra tecnica e agonismo. Questo Padova somiglia proprio al suo allenatore, a quel Bruno Caneo che da giocatore era un centrocampista di interdizione dal grande temperamento e dalla spiccata aggressività. Qualità che ora sta trasmettendo a quelli che possiamo considerare a tutti gli effetti i suoi figli, figli di calcio.

SONO FORTISSIMI E CORRONO PURE!

Erano anni, di più decenni, che i tifosi del Padova non uscivano dallo stadio con lo sguardo così innamorato, compiaciuto, contento, divertito. Le emozioni nelle ultime stagioni non sono mancate, per carità, basti pensare all’ultima vittoria in ordine di tempo della passata stagione, quella in rimonta sul Catanzaro che ha consegnato ai biancoscudati le chiavi della finale playoff con gol di Chiricò al 97’, ma si è trattato di sprazzi, di momenti, di alti cui sono seguiti dei bassi, di acuti cui sono seguite cadute negli abissi. Impossibile trovare nel recente passato, per quanto ci si sforzi, una squadra in grado di coinvolgere così tanto e dal primo all’ultimo minuto il pubblico sugli spalti. Di farsi amare e apprezzare, al punto da meritarsi un applauso anche per un semplice retropassaggio al portiere. 
Ebbene il Padova di Bruno Caneo è proprio così: bello da vedere, operaio e umile ma allo stesso tempo forte e consapevole, vive sulle ali della voglia di emergere dei suoi tanti giovani talentuosi ma anche dell’esperienza dei senatori che garantiscono solidità e soprattutto serenità. Ecco sì, è la serenità che si percepisce come prima qualità di questo gruppo, unita alla sicurezza con cui ognuno fa il suo e anche di più: non si spiegherebbe altrimenti l’atteggiamento di Dezi che, dopo aver sbagliato non uno ma due rigori di fila, rientra in partita come niente fosse, convinto che al 90’ sarà vittoria. Non si spiegherebbe la personalità con cui Cretella, 20 anni appena compiuti, ogni volta che si ritrova un pallone tra i piedi, verticalizza senza pensarci due volte, non si spiegherebbe una squadra che, sul 3-0, continua a correre e ad attaccare portando 3, 4, 5 uomini nell’area avversaria. 
“Questo Padova vi piacerà, questo allenatore vi stupirà” aveva detto il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli nel giorno della sua presentazione, cercando di fare breccia nello scetticismo di una piazza profondamente ferita due volte in due anni. Aveva ragione lui: la terza vittoria di fila dopo la falsa partenza a Vercelli dà ampio respiro alla classifica ma non è il risultato che in questo momento fa la differenza o perlomeno non solo. E’ il gioco, l’organizzazione, l’idea di calcio che Bruno Caneo è riuscito a trasmettere alla squadra ricreando l’empatia che mancava da tempo coi tifosi. Lo zoccolo duro non ha mai fatto mancare il suo apporto allo stadio, è tempo anche per i più critici di lasciarsi andare e di tornare a vivere appieno il calcio Padova. Se non ora, quando?