E’ CANEO MANIA

In Caneo we trust. Io sto con Caneo. Si moltiplicano gli hashtag e gli slogan, ma soprattutto cresce a dismisura la stima nei confronti dell’allenatore del Padova, Bruno Caneo. “Un uomo di 65 anni con l’entusiasmo di un ragazzino”, come ama definirsi lui. Un tecnico che ha restituito in pochi mesi alla piazza di Padova la voglia di tornare allo stadio e di ammirare le gesta della sua squadra del cuore, aggiungiamo noi.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su un avvio di stagione così brillante e spettacolare, soprattutto dopo che, a sette giorni dall’avvio della stagione regolare, era arrivata quella bruttissima sconfitta in amichevole a Cesena. Non sono solo le 4 vittorie in 5 partite a regalare gioia pura. E’ l’atteggiamento, la voglia, l’approccio che questi ragazzi hanno nei confronti di qualunque avversario ad aver lasciato il segno, ad aver convinto i tifosi a crederci nuovamente. E il merito di tutto questo non può che andare al condottiero del gruppo, ad un allenatore che ha saputo creare un mix eccezionale tra senatori e giovani e, dagli stessi giovani, tirare fuori in parti uguali qualità (che ci sono e sono molto importanti) e voglia di emergere.
Sono soprattutto i ragazzi ad essersi messi in vetrina in queste prime gare di campionato, dopo un’estate in cui ci eravamo messi tutti le mani nei capelli e avevamo solo voglia di nasconderci, temendo l’ennesima annata difficile e sofferente della recente storia biancoscudata. Cretella non sbaglia una verticalizzazione che sia una, Liguori ha già segnato 3 gol, Vasic è esploso con due reti spettacolari, Ghirardello non ha ancora 17 anni eppure, quando viene chiamato in causa, esibisce la sicurezza di un veterano. A tenerli per mano però ci sono giocatori del calibro e della forza morale di Donnarumma, Valentini, Dezi, Radrezza, Jelenic e in un clima così è più che una speranza il pensiero che anche Ceravolo possa tornare molto presto a essere protagonista. Caneo ha saputo fin qui gestire anche lui, ributtandolo nella mischia al momento opportuno col Pordenone, quando c’era bisogno di tenere alta la squadra per evitare che la squadra di Di Carlo rimontasse. Un po’ di confusione nel finale c’è stata e su questo bisognerà lavorare ma nel complesso davvero questo Padova è il simbolo del connubio quasi perfetto tra equilibrio e fantasia, tra corsa e intelligenza tattica, tra tecnica e agonismo. Questo Padova somiglia proprio al suo allenatore, a quel Bruno Caneo che da giocatore era un centrocampista di interdizione dal grande temperamento e dalla spiccata aggressività. Qualità che ora sta trasmettendo a quelli che possiamo considerare a tutti gli effetti i suoi figli, figli di calcio.

SONO FORTISSIMI E CORRONO PURE!

Erano anni, di più decenni, che i tifosi del Padova non uscivano dallo stadio con lo sguardo così innamorato, compiaciuto, contento, divertito. Le emozioni nelle ultime stagioni non sono mancate, per carità, basti pensare all’ultima vittoria in ordine di tempo della passata stagione, quella in rimonta sul Catanzaro che ha consegnato ai biancoscudati le chiavi della finale playoff con gol di Chiricò al 97’, ma si è trattato di sprazzi, di momenti, di alti cui sono seguiti dei bassi, di acuti cui sono seguite cadute negli abissi. Impossibile trovare nel recente passato, per quanto ci si sforzi, una squadra in grado di coinvolgere così tanto e dal primo all’ultimo minuto il pubblico sugli spalti. Di farsi amare e apprezzare, al punto da meritarsi un applauso anche per un semplice retropassaggio al portiere. 
Ebbene il Padova di Bruno Caneo è proprio così: bello da vedere, operaio e umile ma allo stesso tempo forte e consapevole, vive sulle ali della voglia di emergere dei suoi tanti giovani talentuosi ma anche dell’esperienza dei senatori che garantiscono solidità e soprattutto serenità. Ecco sì, è la serenità che si percepisce come prima qualità di questo gruppo, unita alla sicurezza con cui ognuno fa il suo e anche di più: non si spiegherebbe altrimenti l’atteggiamento di Dezi che, dopo aver sbagliato non uno ma due rigori di fila, rientra in partita come niente fosse, convinto che al 90’ sarà vittoria. Non si spiegherebbe la personalità con cui Cretella, 20 anni appena compiuti, ogni volta che si ritrova un pallone tra i piedi, verticalizza senza pensarci due volte, non si spiegherebbe una squadra che, sul 3-0, continua a correre e ad attaccare portando 3, 4, 5 uomini nell’area avversaria. 
“Questo Padova vi piacerà, questo allenatore vi stupirà” aveva detto il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli nel giorno della sua presentazione, cercando di fare breccia nello scetticismo di una piazza profondamente ferita due volte in due anni. Aveva ragione lui: la terza vittoria di fila dopo la falsa partenza a Vercelli dà ampio respiro alla classifica ma non è il risultato che in questo momento fa la differenza o perlomeno non solo. E’ il gioco, l’organizzazione, l’idea di calcio che Bruno Caneo è riuscito a trasmettere alla squadra ricreando l’empatia che mancava da tempo coi tifosi. Lo zoccolo duro non ha mai fatto mancare il suo apporto allo stadio, è tempo anche per i più critici di lasciarsi andare e di tornare a vivere appieno il calcio Padova. Se non ora, quando?

BRAVO PADOVA, BRAVISSIMO CANEO

Il Padova ha battuto il Vicenza. La squadra più giovane (e in questo momento anche particolarmente incerottata) ha superato la corazzata. E lo ha fatto mettendo in campo cuore e coraggio. Il cuore perché il derby è la partita più sentita e non si poteva sbagliare, il coraggio perché, attraverso l’atteggiamento guerriero, i biancoscudati sono riusciti ad andare oltre i problemi e le assenze che in settimana si sono moltiplicate più dei pani e i pesci di Gesù. A Kirwan e Germano si sono aggiunti Gasbarro e Zanchi.  Pure Radrezza, alle prese con un virus intestinale, non era al meglio, così come Calabrese che ha recuperato solo in extremis. Ma il Padova visto in campo è stato davvero un fascio di luce che ha squarciato il velo di scetticismo che si sentiva intorno. Un cioccolatino che finalmente ha fatto gustare ai tifosi il suo ripieno. Un gruppo che ha messo davanti a tutto e a tutti la necessità di portare a casa il risultato, non solo per la classifica ma anche per l’ambiente ancora mortificato dopo le due finali playoff consecutive perse. 
A fare la differenza la qualità e la personalità di Dezi, che ha realizzato dal dischetto finalmente il suo primo gol in biancoscudato, la scaltrezza di Liguori nel procurarsi il rigore, la freddezza di Russini che appena entrato ha confezionato il capolavoro della serata segnando il 2-1 con un tiro a giro alla Insigne. Ma anche la padovanità di Vasic e Piovanello, instancabili dal primo minuto, e la prontezza di riflessi di Donnarumma sul missile sparato da Ferrari alla fine del primo tempo. C’è stata gloria per tutti, anche per chi questo gruppo sta cercando di forgiarlo e accompagnarlo per mano, quel Bruno Caneo che, arrivato a fari spenti e senza troppi cerimoniali a metà giugno, ora inizia a farsi conoscere e a farsi anche voler bene. A fine gara era il più emozionato di tutti, faticava quasi a trovare le parole per raccontare l’impresa, la sua impresa. Si è reso conto forse dopo, a casa, durante una notte in cui senz’altro non sarà riuscito a dormire, di quanto aveva fatto e di quanto importante sia stato questo passo per iniziare a dare un nuovo senso al corso biancoscudato. Si tratta del primo passo, non si è fatto ancora nulla. La camminata per arrivare alla fine è lunga e tortuosa. Ma era fondamentale mettere un punto e andare a capo e il Padova lo ha fatto. Ora quel che verrà è tutto da scrivere, da vivere, finalmente con un ritrovato entusiasmo.  

LA SOFFERENZA, QUESTA CONOSCIUTA!

Sarà un campionato duro e complicato quello del Padova, appena cominciato con una sconfitta a Vercelli. Per certi aspetti immeritata ma pur sempre una sconfitta. Il tifoso sa già che la squadra cadrà e sarà chiamata a rialzarsi e che i giocatori dovranno saper soffrire più di quanto si soffre normalmente quando si fa questo mestiere. All’ombra delle cupole del Santo è così da sempre: la tribolazione è parte integrante del DNA biancoscudato e per quello, ogni volta che si riesce poi a conquistare un successo insperato o a rendersi protagonisti di una esaltante cavalcata verso la parte nobile della classifica l’entusiasmo che si respira è doppio e la gioia più intensa e autentica. Perché il pubblico padovano sa quanto da queste parti nessuno regali niente ed è consapevole che gli episodi, se possono essere a sfavore, lo saranno sempre, chissà perché poi, ma è così. Bisogna essere più forti degli avversari, più determinati della malasorte e mettere un’attenzione nei dettagli che va oltre i limiti dell’essere umano. Prendi il debutto a Vercelli: la squadra di casa non ha fatto molto più del Padova, anzi, a tratti, l’ha subìto, andando spesso in difficoltà. Ma il risultato finale dice che la Pro ha vinto e lo ha fatto approfittando con Comi dell’unico momento in cui Valentini e compagni non si sono sistemati a dovere nella fase difensiva, su palla inattiva. All’unico vero errore è scattata la punizione.
Prendendo atto che è così, però, il Padova non deve abbattersi, a maggior ragione in questa stagione in cui è partito senza i favori del pronostico. Deve navigare a vista, mettendo ogni maledetta domenica la mano fino in fondo al sacco della sua giornata per tirare fuori anche quello che non sa di avere. Sudore, prestazione, gol, possibilmente le vittorie. Solo alzando continuamente l’asticella e pretendendo da sé stessi più del massimo si potrà sopperire ad una rosa più giovane, meno esperta ma comunque dotata di qualità e giocatori che possono esplodere da un momento all’altro.

SVOLTA NECESSARIA, ORA RIACCENDIAMO L’ENTUSIASMO

Difficile, impossibile. Sono ancora questi gli aggettivi che accompagnano il verbo “dimenticare” (o quanto meno “digerire”) riferito al terribile epilogo della passata stagione. A quella finalissima piena di grandi aspettative persa malamente, senza lottare, senza mettere in campo tutto quello che aveva caratterizzato la bellissima rimonta in campionato e il culmine dei playoff con la vittoria sul Catanzaro firmata Curcio e Chiricò al 97′. Inutile negarlo: a quel disgraziato 12 giugno penseremo ancora a lungo. E anche quando crederemo di aver accantonato le immagini della sconfitta, della testata di Ronaldo, dell’espulsione di Pelagatti e del tabellino con 0 calci d’angolo battuti, grazie magari ai primi successi del nuovo corso biancoscudato, le stesse torneranno a galla qualche volta, ricoprendo il cuore di chi ama il Padova con un velo di malinconia e rimpianto. L’attacco di tristezza sarà sempre dietro l’angolo ma ancora una volta il tifoso padovano sarà chiamato ad uno sforzo emotivo (cui purtroppo è abituato) per guardare avanti e sperare che le cose possano cambiare in meglio. Che la serie B possa arrivare quanto prima, magari con un decimo della sofferenza che ha caratterizzato gli ultimi tre anni.
La società, dal canto suo, la rabbia per la pessima figura del “Barbera” l’ha già dovuta smaltire e anche in fretta, per programmare la prossima stagione senza perdere ulteriore tempo sulle dirette concorrenti, avvantaggiate dal fatto di non aver disputato i playoff. Il patron Joseph Oughourlian ha recuperato a tempo di record la lucidità che la prestazione di Palermo ha rischiato di fargli perdere del tutto e ha deciso di tagliare decisamente i ponti col passato.
Credo questa sia stata la scelta più giusta che potesse fare, senza guardare i contratti già in essere e quelli in scadenza eventualmente da rinnovare. E la conferma della bontà della decisione mi si è palesata ancor di più domenica 10 luglio quando in stazione ho assistito in prima persona alla partenza della squadra per il ritiro di Rivisondoli. Il nuovo allenatore Bruno Caneo non è tipo di tante parole, anzi. Ma le poche che ha pronunciato sono state dirette e senza fronzoli, soprattutto quando ha detto che l’inizio di una nuova avventura porta sempre entusiasmo. Ecco, questo è il nodo. Il Padova (e Padova) deve saper ritrovare un po’ di entusiasmo. E a portarlo devono essere sia i nuovi, visto che non hanno addosso il peso psicologico dei due fallimenti consecutivi degli ultimi due anni, sia quel che rimane della “vecchia guardia”. Quei giocatori che, nonostante Alessandria e Palermo, sono ancora in grado di servire la causa biancoscudata con la voglia di cambiare il destino infame di questa squadra. Antonio Donnarumma (che per la verità ha vissuto solo Palermo e da migliore in campo viste le importanti parate) è il primo che cito a esempio di questo nuovo percorso: ha voluto restare, nonostante le insistenti sirene della serie B, e ce l’ha fatta a rinnovare il contratto giusto in tempo per partire per il ritiro che l’anno scorso aveva saltato e che voleva fare a tutti i costi perché “è lì che un gruppo diventa una squadra e una squadra diventa una famiglia”. Il suo sorriso e la sua forza di volontà mi hanno assolutamente convinto che, nonostante i grandi cambiamenti e l’alleggerimento del budget investito dalla proprietà, si può e anzi si deve continuare a credere che la B arriverà. La difficoltà più grande la piazza e la squadra la stanno vivendo adesso che sono chiamate a rialzarsi dopo la brutta caduta. Una volta in piedi, tornerà a tutti la voglia di saltare, correre e sognare.

IL PADOVA CHE FA E DISFA. ORA RIFONDAZIONE

La testa bassa, l’incapacità di trovare consolazione. Soprattutto nei volti di quelli che c’erano anche l’anno scorso e hanno dunque vissuto a Palermo la seconda finale playoff consecutiva persa con rammarico e amarezza.
C’è però, ed è bene sottolinearlo subito, una profonda differenza tra la serie B sfumata ad Alessandria, a causa dell’ultimo rigore sbagliato, e quella non conquistata a Palermo, al termine di una prestazione non all’altezza da parte dei biancoscudati. L’anno scorso sono uscite lacrime di dispiacere e di impotenza, di fronte a un verdetto troppo severo, di fronte ad un avversario, l’Alessandria appunto, che non meritava la promozione più del Padova per quello che si era visto in campo, quest’anno invece c’è posto solo per la rabbia. Perché il Palermo ha avuto più fame e voglia di andarsela a prendere e la squadra di Oddo non è stata all’altezza della situazione.
Cosa sia successo e perché sia successo lo capiremo tra un po’, a bocce ferme, quando si potrà cominciare a ragionare senza farsi trascinare dall’onda emotiva del momento. Per ora non si può che rimanere basiti (e, come ho detto in diretta domenica sera, sentirsi traditi) di fronte all’ennesimo corso e ricorso storico del Padova, che ancora una volta ha prima fatto e poi disfatto, ha prima illuso e poi deluso, ha prima entusiasmato e poi demolito, riportando tantissimi tifosi allo stadio a suon di vittorie e rimonte e poi lasciando impietriti quegli stessi tifosi che per raggiungere Palermo si sono sobbarcati una trasferta impossibile e complicata. Roba da psicologo, davvero!
La verità è che il Padova non è affidabile. E il simbolo di questa non affidabilità è proprio il suo capitano, Ronaldo, bravissimo a fare la differenza con giocate, gol e assist in tantissime partite ma sempre a rischio cazzate per l’incapacità di gestire il suo nervosismo e le situazioni di difficoltà. Come quella che a inizio ripresa l’ha spinto a tirare una testata a gioco fermo a Perrotta e a lasciare così in dieci i suoi in un momento in cui ci si aspettava da uno con le sue qualità la giocata decisiva per far cambiare marcia alla partita. A fine partita ha chiesto scusa, ha detto che si prenderà le sue responsabilità ma la verità è che a questo punto è difficile tornare a fidarsi di lui. E arrivati a questo punto è dura anche continuare a riporre fiducia nel gruppo storico che l’anno scorso l’allora direttore sportivo Sean Sogliano ha voluto riconfermare in blocco per sfruttare l’onda del “vogliamo riprovarci tutti insieme perché ce lo meritiamo”. Ormai questi giocatori, indipendentemente dalle qualità tecnico-tattiche, sono psicologicamente a terra, schiacciati da un fardello che con la seconda sconfitta in finale si è fatto davvero opprimente. Meglio per loro e per il Padova se cambieranno aria.
Sono dell’idea che l’unica strada per ripartire sia quella della rifondazione. E che la stessa debba riguardare anche la panchina. Quando è arrivato Massimo Oddo ha fatto della personalità e dell’autorevolezza le armi in più per trascinare la squadra a tentare la rimonta sul Südtirol prima e ad affrontare i playoff con il giusto spirito e la giusta rabbia poi. Ma è evidente che, strada facendo, anche a lui la situazione è sfuggita di mano. Le due finali hanno messo in mostra un Padova nemmeno lontano parente di quello che in semifinale, con coraggio e convinzione, aveva rimontato l’iniziale vantaggio del Catanzaro coi gol di Curcio e di Chiricò al 97′.
La società dovrà essere brava non solo a dare continuità al progetto triennale dal punto di vista finanziario ma anche a capire come ricavare il messaggio migliore dalla sconfitta. In questo senso sono illuminanti le parole pronunciate dall’allenatore del Palermo, Silvio Baldini, che è riuscito a riportare i rosanero in B attendendo quest’occasione ben 18 anni. “Ormai è anni che passa il messaggio per cui se perdi sei un coglione, un fallito e uno che non capisce niente. E invece non è così: la sconfitta può permetterti di porre le basi per una rinascita, che passa dal lavoro e dall’applicazione. La sconfitta se la calpesti ti fa male, se la accarezzi ti sa dare suggerimenti importanti. Ti aiuta a cercare chi sei. E allora vengono fuori altri aspetti positivi che nella vittoria non trovi”.

IL BELLO DEL PADOVA, LA FORZA DEL PADOVA

Il bello del Padova è che, quando tutti lo danno per spacciato o quantomeno per non favorito, ti piazza la prestazione della vita e sovverte ogni pronostico.
La forza del Padova sta nel fatto che questa squadra non molla mai. Tante le rimonte che ha portato a termine in stagione regolare, ma quella che resterà nella memoria di tutti per i prossimi cinquant’anni sarà quella operata sul fortissimo Catanzaro nella semifinale di ritorno all’Euganeo. Firmata Curcio e Chiricò.
Il bello del Padova è che è forte. Individualmente. Ma anche collettivamente tutte le volte in cui decide che darsi una mano e sacrificarsi l’un per l’altro sono elementi fondamentali per portare a casa la vittoria.
La forza del Padova sta tutta in quel che hanno sofferto in questi due (ma in qualche caso anche tre) anni i giocatori della vecchia guardia. Ronaldo, Germano, Della Latta, Chiricò, Bifulco, Curcio, Gasbarro, Pelagatti, Jelenic. Dentro di loro cova una voglia di rivalsa che al momento giusto farà la differenza. Per loro la finale di Palermo è una sorta di ultima chiamata e so per certo che daranno l’anima per non piangere un’altra volta le lacrime di Alessandria. Non lo vogliono e non se lo meritano perché, aldilà delle sconfitte evitabili, delle prestazioni a volte non all’altezza, dei limiti caratteriali e di tutto il resto del bagaglio che fa parte di ogni essere umano, non solo del calciatore, hanno dato il massimo sempre per questa maglia.
Il bello del Padova è che ha fatto nuovamente innamorare di sé la città, la piazza, i tifosi, i bambini, le mamme, le nonne, i supporters storici che si erano un po’ distaccati. Questo è un patrimonio che resterà comunque vada a finire a Palermo, un patrimonio da cui ripartire con forza ed entusiasmo.
La forza del Padova sta nel risultato che porterà a casa dal Barbera. Qualunque esso sia, ci consegnerà un gruppo di cui potremo dire di essere orgogliosi.

E’ LA SQUADRA DI ODDO

Tra pochi giorni, il 24 maggio per la precisione, saranno 3 mesi esatti che Massimo Oddo ha assunto la guida tecnica del calcio Padova. Un periodo relativamente breve, se lo si confronta con l’intero campionato, ma abbastanza lungo se si guardano soprattutto gli ultimi 23 giorni. Quelli che hanno separato la fine della stagione regolare dall’inizio dei playoff. E’ come se i biancoscudati, facendo il ritiro di 8 giorni a Lens e condividendo tutti i momenti della giornata lavorativa (e non) anche dopo il ritorno in Italia, avessero ricominciato da capo la stagione con il nuovo allenatore.
In questo frangente ci siamo chiesti più volte quali sarebbero stati gli effetti del ritiro in Francia e dunque della decisione di staccare la spina e cambiare decisamente ambiente così come si fa d’estate per la preparazione precampionato e, dopo aver visto all’opera i giocatori nel debutto ai playoff contro la Juventus Under 23, la risposta all’interrogativo non può che essere positiva.
Per carità: ci sarebbe da lavorare altri tre mesi su ciò che ancora non va (tiriamo poco in porta rispetto alle volte in cui arriviamo pericolosamente lì davanti, costruiamo tanto e sbagliamo spesso la scelta negli ultimi metri, la lucidità non sempre ci è compagna fedele davanti alle porte avversarie) ma finalmente possiamo dire che il Padova è diventato la squadra di Oddo. Fino a un mese fa quando gli si chiedeva quanto sentisse sua questa creatura, il tecnico rispondeva chiedendo e prendendo tempo, diceva che per certi aspetti lo era ma per altri ancora no. Ora si può invece cominciare a dire che la squadra gli somiglia e lo corrisponde perché, in mezzo ai difetti che ancora si ritrova a dover limare e combattere, ha acquisito una maturità e una consapevolezza che prima non aveva. Maturità e consapevolezza figlie del lavoro tecnico e psicologico di Oddo. Maturità e consapevolezza che ad Alessandria hanno spazzato via i brutti ricordi di un anno fa, hanno trasformato la voglia di vincere in benzina sulle gambe e hanno permesso ai biancoscudati di far fronte alla freschezza e spregiudicatezza della Juventus Under 23 mettendo in campo i propri pregi, le proprie “armi”, come le chiama lo stesso Oddo. Per poi colpire al momento giusto.
Il percorso negli spareggi promozione è appena cominciato e la strada è ancora lunga per arrivare in fondo. Ma erano queste le uniche premesse di cui c’era veramente bisogno per affrontarlo e società, direttore sportivo e nuovo allenatore sono stati bravissimi a mettere la squadra nella condizione di crearsele, trasformando 23 giorni di sosta forzata in un nuovo entusiasmante inizio.

STAVOLTA SAREMO PREMIATI

Alla fine l’impresa è stata solo sfiorata. Accarezzata. Sognata.
A ragionare solo con la testa c’era da aspettarsi che questo SudTirol, capace di chiudere il campionato a 90 punti, non avrebbe mollato e a Trieste si sarebbe imposto per andare a prendersi quella promozione diretta costruita nell’arco di un campionato dai toni stratosferici. Ma nell’ultima settimana della stagione regolare è stato comunque giusto per i biancoscudati credere fino in fondo nella possibilità di sovvertire un verdetto che era già scritto. E’ stato giusto perché alimentando la volontà di portare a termine la rimonta, la squadra ha dato continuità alla sua crescita, tecnica, tattica e mentale, e ha alzato il livello della sua autostima, approdando ai playoff nella migliore condizione psicofisica.
La sconfitta contro la Virtus Verona verrà velocemente archiviata. Non è il Padova visto all’opera all’Euganeo nell’ultima giornata di campionato, con un orecchio teso al risultato del Rocco tra Triestina e SudTirol, la squadra che Massimo Oddo ha plasmato nelle 10 giornate in cui l’ha presa per mano. Il vero Padova è tutt’altra cosa e l’ha dimostrato tenendo vivo il campionato fino all’ultimo.
Ora si tratta solo di ricaricare le batterie in vista degli spareggi per farsi trovare con lo stato d’animo e la preparazione adatti al mini torneo in cui si deciderà chi sarà la quarta promossa dopo le tre capoliste dei gironi. Per prepararsi al meglio i biancoscudati andranno in ritiro a Lens, nel quartier generale della squadra di Ligue1 di cui è presidente proprio il patron del Padova Joseph Oughourlian. I giocatori avranno così la possibilità, dopo i tre giorni di riposo concessi dalla società, di staccare per qualche giorno la spina e di cambiare aria e ambiente per tornare in campo con rinnovato spirito combattivo.
La partenza è fissata per giovedì 28 aprile. Il ritiro terminerà poi venerdì 6 maggio e il 17 maggio inizierà il secondo tempo del campionato. Quegli spareggi che l’anno scorso non hanno sorriso al Padova per un unico rigore sbagliato e che proprio per questo stavolta la squadra affronta con la ferma convinzione che l’epilogo sarà decisamente diverso.

CI CREDO PERCHE’…

Ci credo.
Ci credo perché ho visto al “Druso” di Bolzano un Muro Biancoscudato come non ne vedevo da anni, che ci ha regalato la piacevole sensazione di giocare in casa.
Ci credo perché davanti a quel Muro di tifosi che ci credevano e continuano a crederci ho sentito il mio cuore di vecchia tifosa del Padova battere all’unisono con il loro ed è stato bellissimo.
Ci credo perché domenica all’Euganeo contro la Virtus Verona vedrò un Euganeo talmente bello e traboccante di tifo ed entusiasmo da sembrare uno stadio vero (e sappiamo bene quanto di rado succede!).
Ci credo perché qui a Padova più le cose si fanno difficili, complicate e impossibili più noi le rendiamo possibili, praticabili e realizzabili.
Ci credo perché a fine gara la fotografa del Padova, tifosa vera, è venuta a cercarmi e mi ha abbracciato dicendo: “Marty, guarda che ce la facciamo!”.
Ci credo perché qualche tifoso del SudTirol a fine gara ha urlato al nostro allenatore: “Oddo, è finita”. E questo mi ha fatto pensare con ancora più forza che invece no, non è finita per niente!
Ci credo perché ho visto il sorriso di Nahuel Valentini e mi ha convinto.
Ci credo perché ho visto la rabbia di Dezi e uno che è arrivato a gennaio dalla serie A non può finire la stagione qui senza aver raggiunto almeno la serie B.
Ci credo perché Ceravolo si riprenderà con gli interessi il rigore sbagliato e quella palla deviata sulla traversa da Poluzzi a Bolzano.
Ci credo perché vedrò ancora Chiricò e Ronaldo discutere davanti alla palla quando è ora di tirare una punizione e so che chi andrà a calciarla stavolta farà gol (e l’altro sarà il primo ad andare ad abbracciarlo).
Ci credo perché nel giorno di Pasquetta, immersa nella natura insieme alla mia famiglia, ho incontrato un tifoso del Vicenza (di Rovolon), che mi ha detto che suo papà non si perde una trasmissione sportiva di Telenuovo. “Ce la farete e ve lo meritate”, mi ha detto e io, anche se indossava un berretto del Lane, ho sentito che era sincero.
Ci credo perché contro la Giana all’Euganeo sono venuti a conoscermi Delfino e Gianni, due fratelli di 90 e 82 anni. Non venivano allo stadio da anni. Se si sono decisi ora vuol dire che è il momento giusto!
Ci credo perché è impossibile non crederci. E mai come oggi l’adagio “va’ dove ti porta il cuore” fa parte della Padova che ama la sua squadra di calcio.