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COM’E’ TRISTE DIRSI ADDIO

Mark Van Bommel piange: “Il Milan è come una famiglia, mi spiace lasciarlo, ma devo”. Pippo Inzaghi sospira: “Milan nel cuore, avrei voluto non finisse mai”. Marco Di Vaio singhiozza affranto: “Lascio Bologna, ma è un arrivederci”.

Com’è struggente dirsi addio. Per gli interessati e anche per noi, cui tocca sorbirci queste lacrimanti pantomime. Molto retoriche e sempre televisive. Lo confesso, ci mancava poco e  veniva da piangere anche a me. Era dai tempi di “Stranamore” e del “dottor Castagna” che non mi commuovevo così. Neppure il Barbareschi d’antan e il suo “C’eravamo tanto amati” avrebbero saputo far meglio.

Ero già con un kleneex in mano, disperato e inconsolabile, che poi è arrivato quel cinico barbaro  di Rino Gattuso, che ha ringhiato fino alla fine: “Milan non sono un gagliardetto, me ne vado”. Ci sono rimasto male e ho buttato via il fazzoletto, non serviva più. Non bastasse, l’ha seguito a ruota quel maleducato irriconoscente di Alessandro Del Piero, che non ha voluto nessuna festa d’addio ufficiale per  il suo epilogo con la Juventus. E la delusione è diventata shock.

Ho dovuto riprendere il kleneex, ché stavano diventando lacrime di rabbia per tale ingratitudine. Ma probabilmente non era destino che dovessi usarlo. Infatti dalla Spagna mi ha tranquillizzato Pep Guardiola: “Lascio il Barcellona perché sono stanco”. Poi da Roma ci ha pensato il suo amico asturiano, Luis Enrique a fargli eco: “Anch’io lascio perché stanco”. Ho sorriso sollevato, pensando: “Che bello, almeno loro possono riposare dalla tirannia del lavoro quotidiano, ribelli bolscevichi contro la schiavitù padronale”. Poi ho letto del loro contratto: certo milionario, ma saranno di sicuro “indennità per lavoro usurante” ho riflettuto, tuttavia a tempo determinato. Pure precari sono, poverini! ho esclamato allibito. Trattati peggio dei metalmeccanici sindacalizzati, o alla stregua di insignificanti insegnanti fancazzisti! Un pacchetto di kleneex mi ci sarebbe voluto, altroché.

Perlomeno, ora, percepisco l’essenza del ruolo di Damiano Tommasi e Renzo Ulivieri, sindacalisti rispettivamente dei calciatori e allenatori, nuove classe sottoproletaria degli anni Duemila.

Non ho ancora  capito, invece, se il mondo è assurdo, o solo relativo.

 

 

 

 

 

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