Il Verona si è salvato e ora, nel momento della festa, tutto il resto passa in secondo piano. Va reso onore alla squadra e al suo allenatore, qui spesso criticato: a Zanetti era stato chiesto di salvarsi e si è salvato. Tradotto: il tecnico ha centrato l’obiettivo e dunque ha fatto il suo dovere. Comprensibile quindi che ieri sera, nella sala stampa del Castellani, Zanetti abbia voluto rimarcare, con decisione e anche con un sentimento di legittimo orgoglio, anche i suoi meriti. È la sua seconda salvezza in serie A (la prima proprio a Empoli due stagioni fa), ma questa – come avevo scritto a suo tempo – può essere determinante anche per la sua carriera. Non solo perché sa di conferma a certi livelli, ma anche perché è stata raggiunta in una piazza più importante di Empoli, dove il carico ambientale e di pressioni è tangibile. Citando Allegri, “nel calcio esistono le categorie”: ebbene Zanetti si è legittimato come allenatore “da serie A”.
Il diretto interessato, non a caso, lo ha ribadito a modo suo: “Penso di essermi guadagnato un po’ di rispetto”. Lasciando intendere che quel “rispetto” lo farà valere anche con la nuova proprietà nel discutere la sua riconferma, che indipendentemente dal rinnovo automatico scattato ieri va discussa da ambo le parti (quindi anche dell’allenatore, che magari aspira a un ritocco economico)
Poi ognuno può avere le sue (legittime) opinioni sul lavoro svolto quest’anno da Zanetti. La mia, si sa, non è entusiasta, e mi sembra onesto ribadirlo in ore in cui lo sport nazionale di “salita sul carro” in genere diventa molto praticato. Il tecnico non mi ha convinto né sul piano tattico – non ha mai stato trovato un vero equilibrio (si è passati dal gioco iperoffensivo e spregiudicato, con tanto di imbarcate, a un calcio rinunciatario) – né su quello della gestione mentale e fisica. La squadra è sembrata arrivare svuotata al rush finale.
Questo non significa che Zanetti non meriti una seconda chances, anzi: un conto sono le riserve personali, un conto il quadro generale e i fattori oggettivi (budget, ambizioni, alternative). Ma è prematuro ora sbilanciarsi sul suo futuro finché non sarà sciolto il nodo più importante: la permanenza del direttore sportivo Sean Sogliano. È questo l’aspetto dirimente e imprescindibile: Sogliano è più di un ds, è l’anima del Verona. Con budget modesti porta qui buoni giocatori e crea plusvalenze. Sarebbe già sufficiente, ma il suo lavoro va oltre: Sogliano è ogni anno il leader maximo del gruppo, che gestisce, striglia, blandisce, sostiene. Sogliano, come successo con Baroni (ma anche con Bocchetti-Zaffaroni e prima ancora con Mandorlini), ha supportato Zanetti, in modo vivace e dialettico, ma leale. Questo ha dato fiducia e tranquillità all’allenatore, ma soprattutto lo ha accreditato con i giocatori.
Però Sogliano può esercitare questa forza solo se gli si dà carta bianca, senza troppi lacci e lacciuoli. Insomma, calciatori e allenatore devono sapere chi comanda, cioè chi ha voce in capitolo sui loro contratti (quindi la loro carriera). Non ci può essere ambiguità.