“La mia generazione ha perso” (Giorgio Gaber)
Noi che lo scudetto lo abbiamo solo… sfiorato. Qualche immagine, pochi flash, ricordi sbiaditi. Noi che lo scudetto lo abbiamo soprattutto sentito raccontare, dai padri, dai nonni, attraverso gli scritti e gli aneddoti postumi. Noi che siamo arrivati verso fine impero e abbiamo vissuto più che altro il crepuscolo di quel Verona: l’epitaffio europeo di Brema, la pietra tombale della retrocessione di Cesena.
Noi, classe 1980 (ma vale anche per gli ‘81 o ‘79), che non ne abbiamo ancora 50, ma siamo già abbondantemente sopra i 40, a proposito di quell’epopea ci troviamo in quel limbo fastidioso delle occasioni mancate: c’eravamo già, ma è come non ci fossimo stati, troppo piccoli per vivercela davvero. Siamo la generazione che è arrivata poco dopo i fasti, quando la festa era appena finita e tutto e chiunque intorno a noi ce lo faceva capire, gli sguardi dei “vecchi”, le loro discussioni sugli spalti nei tempi morti di una partita, il loro disincanto di chi sa già che gli anni ruggenti sono passati. Siamo stati battezzati dalla malinconia delle cose che si concludono; la nostra iniziazione è stata bagnata immediatamente dal rimpianto per qualcosa che era appena passato e non avevamo potuto afferrare.
Noi Elkjaer lo abbiamo visto al canto del cigno, mica segnare senza scarpa. Cavallo Pazzo ce lo ricordiamo al passo d’addio, con la schiena a pezzi e l’usura fisica che prima o poi ti chiede il conto (il giorno in cui L’Arena scrisse della sua cessione ero in auto che stavo andando al mare, pensate il malinconico calciomercato delle nostri estati…). Noi il miglior Bagnoli lo abbiamo visto al Genoa, mentre il Verona agonizzava verso il fallimento tenuto vivo solo da Fascetti & C.. Noi i sogni ce li frantumò quella traversa di Iachini a Brema, era il segno di un destino ormai balordo, l’incornata di Volpecina due minuti dopo fu solo beffarda illusione. Sapevamo già che il vento era girato. Noi malediciamo ancora il Condor Agostini per quel triste e troppo caldo pomeriggio del Manuzzi.
Per questo ho sempre pensato che la mia è la generazione di tifosi più sfigata, più di quelli nati negli anni 90 che pure si sono sorbiti l’infausta retrocessione di Piacenza e hanno attraversato l’adolescenza nell’inferno della serie C. Quei ragazzi quantomeno sono cresciuti più strutturati: l’humus attorno a loro infatti era diverso, eravamo già tutti più abituati agli psicodrammi, l’epopea degli Ottanta era un ricordo lontano per chiunque, la modestia sportiva ormai radicata.
Mica come noi, arrivati con un soffio di ritardo all’appuntamento sportivo della vita. E ogni anniversario è sempre lì un po’ a ricordarcelo.