LA MODESTIA DI BARONI SEGNO DELLA POCHEZZA SOCIETARIA

Chi scrive ha sempre nutrito perplessità su Baroni, poco adatto caratterialmente alla piazza di Verona e ancor meno alla (non) programmazione del presidente Setti. Sarebbe servito un allenatore (anche delle categorie inferiori) di forte personalità, capace di ricostruire sulle macerie dello scorso anno e di dare una marcata impronta tattica alla squadra. Il Verona necessitava di ripartire da allenatore anche “creativo”, perché “creativo” è stato il mercato a costo zero del direttore sportivo Sogliano, che anziché puntare su giocatori di esperienza, ma dalle qualità modeste, ha preferito prendere vari giocatori di talento (Bonazzoli, Suslov, Tchatchoua, Serdar, più Duda e Ngonge arrivati a gennaio) , ma inesperti, o giù di condizione (vedi Serdar), o da recuperare caratterialmente (Bonazzoli), o da costruire tatticamente (Ngonge). Una “babele” che andava ordinata disegnando una squadra, puntando innanzitutto su un blocco di giocatori (i più dotati) da accompagnare nella buona come nella cattiva sorte.

Baroni invece ha fatto l’esatto opposto: si è subito adeguato all’ancien regime (vedi modulo e conservazione dei desiderata dei senatori) e ha palesato confusione, con continui rimescolamenti di carte,  cambi di giocatori e di posizione degli stessi. Morale? La squadra è smarrita, senza identità, debole tatticamente nelle due fasi e adesso i giocatori sembrano perfino demotivati.

Cinque sconfitte di fila e due punti nelle ultime partite non sono frutto del caso e sarebbero motivo di esonero dovunque, mentre Baroni avrà un altro bonus a Genova. Non so però quanto Marassi, al di là del risultato di una partita, che può anche essere casuale, potrà improvvisamente smentire i problemi strutturali dell’Hellas. L’impressione, al di là dell’allenatore, è che non si vede la capacità del club di sovvertire l’andazzo, quasi che Setti abbia la testa affaccendata altrove (cessione della società?) e che Sogliano lavori con le mani legate. La certezza invece è che il Verona, con Setti, può vivere solo di salvezze risicate e fortunose nel migliore dei casi. La modestia di Baroni, in fin dei conti, è la spia della pochezza societaria.  

UN VERONA ANCORA IN CERCA DI IDENTITÀ (LA SQUADRA HA QUALITÀ PER NON SOFFRIRE)

Sosta propizia. Al Verona serve ancora tempo per trovare amalgama e identità. Baroni, per il momento, non ha trovato né l’uno né l’altra. Troppi cambi di formazione, un turn-over da mal di testa in attacco, un equivoco di fondo sul modulo (equivoco che ci trasciniamo da più di un anno).

Ha senso, per le caratteristiche della rosa a disposizione, continuare a schierarsi con i 3 dietro e i cinque (4+1) in mezzo? Non abbiamo laterali adeguati (Doig è infortunato , Faraoni e Lazovic non hanno più la gamba per quel ruolo, Terracciano non è un esterno puro), al contrario, abbondiamo di centrocampisti centrali e mezz’ali; pertanto si potrebbe (dovrebbe?) pensare di giocare con il 4-3-1-2, quindi i tre in mediana più un trequartista, a supporto di due punte. Un modulo che permetterebbe di coprire le spalle a Suslov e recuperare anche Serdar (schierato tra Duda e Folorunsho), uno che a 26 anni ha già debuttato nella nazionale tedesca e disputato 180 partite in Bundesliga.

Riguardo all’attacco, chiariamoci subito: il Verona, è vero, non ha il bomber da 15 gol (ma chi ce l’ha nella media-bassa classifica?), tuttavia ha tanti giocatori che vedono la porta, anche a centrocampo. Bonazzoli, Ngonge, Folorunsho, Duda, Suslov possono realizzare 7-8 gol ciascuno, lo stesso Serdar 4-5 gol li ha spesso messi a referto. Pertanto aver segnato cinque gol in otto partite significa che problema tattico c’è. Usciamo anche da un misunderstanding: Bonazzoli e Ngonge sono due punte di movimento, di profondità, non due falsi nueve da far manovrare e schierare spalle alla porta. Così non servono a nulla e, anzi, li perdi mentalmente. Possono giocare assieme, perché Ngonge può incidere più centralmente e Bonazzoli più sull’esterno a convergere, ma è possibile anche alternarli con Djiuric come riferimento boa (lui sì attaccante di manovra). Lazovic, a 33 anni, con la tecnica che ha, lo puoi recuperare come vice Suslov (è nato trequartista nella Stella Rossa). Le soluzioni, insomma, ci sono.

Certamente Baroni ha bisogno di tempo, avendo avuto a dispozione la squadra a fine mercato (ma questo è un problema di tutti gli allenatori). Però deve avere la personalità di credere in una costruzione tattica che sia la migliore per la squadra, non per i soliti senatori. Squadra che sul piano qualitativo non è certamente da parte sinistra della classifica, ma che può ambire a non soffrire più del dovuto (13-15 posto).

SETTI LASCIA? QUALCHE INDIZIO LO FA PENSARE…

Più che le voci, che si continuano a rincorrere, c’è un fatto che alimenta le possibilità che Setti possa passare la mano: il mutamento di strategia e il rafforzamento di potere contrattuale che si è registrato nell’ultima settimana di calciomercato.

Il Verona era destinato a cedere i suoi due calciatori più quotati, Hien e Ngonge, o almeno uno dei due. Invece, nonostante il rilancio delle offerenti, sono rimasti entrambi. Un cambio di passo inusuale rispetto a come ci ha abituati negli anni Setti, tradizionalmente pronto a vendere un calciatore alla prima occasione (a parere di molti anche sotto-prezzo, vedi i casi di Jorginho o più recentemente di Simeone).

Delle due l’una: o Setti, senza più i debiti da ripianare di Manila Grace (ceduta al gruppo Casillo), è più sereno sul piano contabile-economico e non ha l’urgenza di fare plusvalenze a qualsiasi condizione; oppure c’è già un accordo di massima con il fondo d’investimento che – a detta delle indiscrezioni giornalistiche (questa volta non smentite) – gli dovrebbe subentrare nel Verona entro fine anno e che potrebbe avergli dato l’input di non vendere i pezzi pregiati (retroscena: l’allenatore Baroni dopo Ferragosto, in sede, ottenne rassicurazioni che nessun calciatore importante sarebbe stato venduto) .

Altri indizi suggeriscono la possibile vendita del club: detto di Manila Grace, non più sotto il controllo del suo fondatore, Setti ha ceduto anche le quote del Mantova. Se da un lato questo potrebbe indurre a pensare che l’imprenditore di Carpi si concentrerà sul Verona, dall’altro è assodato che si è spezzata la catena di interessi interdipendenti che aveva costruito. Aggiungo che Setti, al di là della facciata ranzanesca da ganassa che talvolta mi sono divertito ironicamente a canzonare, è uomo della Bassa modenese, un tipo pragmatico che sa far di conto. Tradotto: al di là degli alti e bassi e dei chiari di luna finanziari che hanno caratterizzato le sue gestioni (a mio avviso non sempre trasparenti), ho sempre considerato Setti uno di quelli che cade in piedi e che non si fa fagocitiare dall’ego (nonostante ne abbia in abbondanza). Ergo, appena si accorge che non è più aria (per mutate condizioni economiche, interessi, rapporti), il minuto dopo lascia e saluta. Che sia arrivato il momento?

LA VERA IMPRESA È RETROCEDERE. PER QUESTO SETTI, ADESSO PIÙ FORTE, CONTINUERÀ A SPENDERE POCO

Peggio del fantacalcio, c’è il calciomercato estivo, che è il passatempo degli onanisti. I quali trascorrono l’estate tra voci, ipotesi, nomi buttati a casaccio e illusioni. Inutilmente. Infatti, si sa, che tutto si decide nell’ultima settimana di agosto, quando si arriva al vedo e non si dissimula più. Al fotofinish si abbassano i prezzi e si concretizzano le operazioni vere. Pertanto non serve a nulla, ora, star qui a commentare le amichevoli estive, poco attendibili, o dare giudizi sul Verona. Aspettiamo settembre. Quello che si può già dire è che Saponara è una buona operazione; Lazovic, con il modulo di Baroni, che predilige squadre corte, offensive e con esterni-trequartisti tecnici, può essere ancora determinante; spero rimanga Ngonge e va indovinato il centravanti.

Rispetto a un anno fa però abbiamo un direttore sportivo vero e un allenatore che forse non entusiasma le folle ma è calcisticamente normo-dotato. Non è poco dopo i casini della stagione scorsa. Per la mia generazione, poi, Baroni è anche un sentimento: stopperone-goleador del Verona di Perotti 1995-96, squadra dei miei 15 anni che ci riportò in serie A dopo tre stagioni di anonima cadetteria con Reja e Mutti. Ma soprattutto c’è un fatto nuovo in casa Setti, il quale ridimensionandosi (ha ceduto il Mantova e non ha più in mano la sua azienda tessile), paradossalmente potrebbe trarre nuove energie da mettere nel suo vero core-business, il Verona. Non ho mai creduto alle voci di cessione della società, semmai quella sarebbe stata un’eventualità più probabile con la retrocessione. Setti, anzi, è più dentro che mai al Verona. La sua sarà ancora una gestione minimalista (il famoso piccolo cabotaggio di cui parlavo anni fa) in un campionato che effettivamente richiede il minimo sindacale per salvarsi, nel quale la vera impresa è retrocedere. Quindi, dal suo punto di vista, perché cambiare?

Ecco, non parlatemi più di quota salvezza a 40 punti. Forse a qualcuno basta un selfie in ritiro per cambiare idea, ma temo che le sofferenze dell’ultima stagione non abbiano insegnato nulla al presidente, anzi, semmai hanno avvalorato il suo metodo: spendendo quasi zero e incassando, si è comunque salvato, per giunta sbagliando il ds (Marroccu) e ingaggiando tre allenatori inadeguati e con zero esperienza di serie A (salvo solo Zaffaroni, che con il suo buon senso ha limitato gli errori di Bocchetti, non a caso la migliore partita è stato lo spareggio con lui solo in panchina). Tradotto: con Sogliano e Baroni, che sanno lavorare, si può continuare placidamente nell’eterna spending review.  

UNA SALVEZZA FIRMATA SOGLIANO. MA ORA BISOGNA DARLE UN SENSO (E UN FUTURO)

Si festeggia. Il calcio è sentimento di popolo, non importa per cosa si lotta. Può essere una finale di Champions, o un lugubre spareggio nel “non luogo” del Mapei Stadium (curve piene e il resto dello stadio vuoto, i tentennamenti della Lega Calcio hanno creato uno scenario non degno della serie A). Di partite da dentro e fuori, poi, la storia del Verona è ricca. Sappiamo cosa vuol dire soffrire, piangere o gioire. Da Reggio (Calabria) a Reggio (Emilia), solo per restare ai tempi moderni.

Ora è gioia. All’ultimo respiro, dopo mesi stonati, scelte disgraziate, partite orribili. Ma i sentimenti non sono razionali, per fortuna: puoi star lì a incazzarti per Setti, l’allenatore, il mercato, ma poi c’è il Verona, l’icona, la Grande Istituzione, che prescinde dagli uomini e dalle piccolezze del tempo corrente.

Dopo la festa, ci saranno i bilanci, i ragionamenti, il futuro. E la madre di tutte le domande: cosa significa aver mantenuto la serie A? Questa salvezza è il cavallo di troia per un rilancio, o l’anticamera di una nuova agonia? Setti resta, rafforzato dalla nuova barcata di soldi dei diritti tv; oppure i guai finanziari della sua azienda aprono le porte per una cessione anche del Verona?

Nel 2007 lo spareggio perso con lo Spezia fece sprofondare il Verona in C, ma soprattutto in una palude societaria da cui ci ha risollevato Martinelli (la promozione di Salerno segna la rinascita, consolidata dai play off in B l’anno seguente). 16 anni fa fu il punto più basso della nostra storia. Sarebbe bello che, ora, lo Spezia rappresentasse invece l’anno zero di un futuro più roseo per il Verona. Cioè di una stabilità economica e di un progetto sportivo e infrastrutturale degno della serie A. Tutte cose che Setti, simpatico o antipatico, non può garantire.

L’auspicio, insomma, è che le prodezze di Ngonge e di Montipò e la grinta di Sogliano (l’avete visto come si agitava in panchina nel finale di partita?) non siano effimere. Finita la festa, va trovato un senso a questa miracolosa salvezza.

P.s. La prima firma di questa salvezza è di Sean Sogliano. Perso e ritrovato, è una sorta di figliol prodigo del Verona dell’epoca moderna. Trovatosi blindato Bocchetti dalla precedente (fallimentare) gestione, ha scelto la miglior soluzione possibile in quel momento, ergo Zaffaroni, per aiutare il giovane allenatore. Ha preso Ngonge e ceduto qualche piantagrane a gennaio. Ma soprattutto ha rimotivato una squadra che era appassita e imbolsita. Ripartiamo da lui.  

SIAMO DEI MIRACOLATI. E SARÀ LA NOSTRA FORZA ALLO SPAREGGIO

Baciamoci le mani. Per come si era messa, lo spareggio è già un mezzo miracolo. Una proprietà che svende di tutto e di più, che in una sola estate depaupera un patrimonio tecnico costruito in tre anni, che sceglie allenatori inesperti (Cioffi) o addirittura esordienti (Bocchetti), non merita nulla. Per tacere delle vicende extra-calcio che riguardano Maurizio Setti. Ricordiamocelo sempre quando lamentiamo il punto perso di qua, o quell’altro perso di là. Facciamo un’operazione di memoria e rammentiamo di chi siamo figli: di una proprietà inadeguata che ha partorito una squadra scarsa, che a gennaio era spacciata (dopo dieci sconfitte consecutive!). Se raccogli 31 punti non puoi avere rimpianti, per nulla. Il gol dell’Empoli al 96′? Un grave errore tecnico individuale del nostro esterno (come è stato un errore quello del loro portiere sul nostro vantaggio). C’è una regola aurea: se non investi, giochi con calciatori modesti, che sbagliano più di quelli bravi, figuriamoci sottopressione.  

Insomma, non tiriamo in ballo la sfortuna o il “poteva essere…”. Siamo dei miracolati! Con una proprietà politicamente debole che nemmeno con gli arbitri sa tutelarci. Dove pensavamo di poter andare in simili condizioni? Anzi, semmai Setti può ringraziare ancora una volta la sua proverbiale fortuna: se Mourinho giovedì scorso si fosse portato a casa l’Europa League (con annessa qualificazione in Champions League) hai voglia di immaginare che partita sarebbe stata ieri con lo Spezia. E se non avessero (ri)penalizzato la Juventus poche settimane fa (sacrosanto, ma non era scontato), sempre la Roma avrebbe affrontato la nostra diretta concorrente già fuori dai giochi per la qualificazione alla nuova Europa League. Perciò, sapete che c’è? L’abbiamo scampata, altroché.

Ed è questo senso di averla fatta franca, paradossalmente, che potrebbe darci forza psicologica domenica contro lo Spezia. Società che, al contrario della nostra, non ha depauperato un bel nulla: sofferto hanno sempre sofferto, anche negli scorsi anni, semmai era questa la stagione in cui avevano le fiches per evitare patimenti. Invece hanno gettato tutto all’aria con un girone di ritorno infausto. Ecco, se proprio, sono loro ad arrivare affannati e piani di rimpianti allo spareggio. Loro sì che hanno molti “se” e “ma” da raccontarsi.

Mentre noi possiamo solo apprezzare il girone di ritorno di un Verona (inteso solo come squadra e direzione sportiva) che è riuscito a risollevarsi e poi, in qualche modo, a stare a galla nonostante enormi problemi strutturali, che si sono riverberati su uno spogliatoio già di per sé complicato, con senatori a fine corsa ma ancora ingombranti. Problemi a cui Sogliano ha messo una toppa con la sua generosità e personalità, ma che non ha risolto del tutto. Problemi che ci spianavano la strada verso la B. E invece siamo ancora qua, graziati dal destino. Questa è la condizione, decisiva, da sfruttare domenica.

COMUNQUE VADA SARÀ UN (IN)SUCCESSO (MA AL CUOR NON SI COMANDA)

Nemmeno il leggendario lato B di Maurizio Setti (in senso di fortuna), che pure si è palesato anche quest’anno (vedi mega-sosta per il mondiale e il ciapano-salvezza), sembra nulla potere dinanzi all’imbarazzante pochezza della squadra. Di più imbarazzante delle storiacce di campo c’è solamente la proprietà dell’Hellas, che gioca d’’azzardo ogni anno sulla ruota del campionato, con inopinate campagne svendite e zero programmazione sportiva.

Neppure con un Empoli che per 80 minuti ha pigramente giochicchiato e il cui portiere, con un errore da principiante (respinta centrale, fin dai pulcini insegnano che si respinge ai lati), ci ha regalato il vantaggio, siamo riusciti a vincere. Ogni volta che il Verona ha in canna il colpo del ko (sullo Spezia), fallisce miseramente. Non è un caso, of course.

Si decide tutto domenica. L’Hellas a San Siro col Milan, lo Spezia all’Olimpico con la Roma. Si aggira lo spettro dello spareggio e, va sottolineato, per il Verona sarebbe un mezzo miracolo visto com’era messo a gennaio e visto il teatro degli orrori gestionali a cui abbiamo assistito (mercato, scelta allenatori, ingaggio di Marroccu).

Comunque vada però sarà un insuccesso: retrocedere, si sa, è un dramma sportivo e anche finanziario. Anche perché risalire sarà più complicato rispetto al passato (quando peraltro ci aveva assisto una buona dose di coincidenze fortunose). L’ipotesi serie B potrebbe indebolire anche la leadership di Setti e forse facilitare un suo addio nel giro di un anno (se non si tornasse subito in A). Se dovessimo salvarci, invece, non so come il patron possa tornare improvvisamente a investire il necessario per dare dignità a un nuovo campionato – non si parla di chissà quali cifre in una serie A nella quale ormai ti salvi a meno di 35 punti. Il rischio, insomma, è di rivivere la sciagura di questi mesi, sebbene già confermare Sogliano alla direzione sportiva potrebbe facilitare le cose.   

Ma questi sono ragionamenti, che approfondiremo a giochi fatti. Ora c’è solo il cuore, a cui non si comanda e che spera ardentemente in un miracolo a San Siro. Una speranza senza logica e senza ratio, il nostro è solo folle romanticismo.

LA DIALETTICA ZAFFA-BOCCHETTI. E IL PARADOSSO DI SETTI CHE, NEL TORTO, HA RAGIONE

“Basta un poco di zucchero”…ma anche un minimo di senno e i risultati cambiano. Mettici Djiuric, Duda e il redivivo Ngonge, che con Verdi è l’uomo di maggiore qualità della rosa, e il Verona è già un’altra cosa. Aggiungici la rabbia e l’orgoglio di un Hellas che con l’Inter mercoledì aveva toccato il fondo ed ecco spiegato l’exploit di Lecce, che rimette il Verona con un piede e mezzo in serie A.

Ci sarebbe da discutere all’infinito del ping pong dialettico tra Bocchetti e Zaffaroni, due opposti in panchina. Un ping pong che in questi mesi si è tradotto in continui cambi di formazione, in repentine esclusioni di alcuni giocatori e improvvisi ripescaggi di altri. Un rapporto che – pur nella confusione – è stato comunque tenuto insieme dal rispetto reciproco, dal pacato minimalismo del tutor Zaffa che controbilancia l’esuberanza di Sasà e soprattutto dal carisma e la schiettezza di Sogliano, che Zaffa lo conosce bene e se lo è scelto come equilibratore, per tutelare lo stesso Bocchetti, che da solo aveva infilato sei sconfitte consecutive ma era blindato da un contratto quinquennale sottoscritto durante la gestione Marroccu.

Ci sarebbe da discutere, ancora più dopo una vittoria che ci consegna nuove certezze in chiave salvezza (chi scrive un mese fa non ci credeva più), sul grande paradosso che contraddistingue la gestione Setti. Fondata su plusvalenze e risparmio totale (molte entrate, poche uscite), zero progettualità, scelte tecniche modeste (vedi quest’anno il mercato, l’ingaggio di Marroccu e degli allenatori) e su continue scommesse con la sorte, eppure vicina a segnare il suo quinto campionato di serie A consecutivo e il nono in 12 stagioni. Il paradosso è che Setti, pur avendo torto (perché è biasimevole non investire il giusto rispetto agli introiti per creare una struttura sia sportiva che societaria di medie dimensioni), ha ragione. Della serie: spendo niente e guadagno molto. Se dovessimo ragionare con la logica del particulare di Guicciardini, diremmo che Setti ha vinto tutto.

LA LEGGENDARIA FORTUNA DI SETTI

Era leggendario il culo di Sacchi (Arrigo) ai tempi della Nazionale, narrato in chiave comica e con un gioco di parole linguistico (cul de sac, vicolo cieco) in un libro da Gene Gnocchi. Ma anche Setti (Maurizio) non scherza.

Appena sembra spacciato, riemerge. Ogni volta che sembra precipitare, per errori suoi di presunzione, pesca il jolly. Oggi è Verdi, l’attaccante della rinascita, che era già stato venduto a gennaio e rimasto solo per un cavillo e pure con malcelato fastidio del club; ieri era Aglietti, l’allenatore della promozione nel 2019, ingaggiato quasi per disperazione dopo i disastri di Grosso con il Verona fuori dai play off di B (senza dimenticare nella stessa stagione i guai del Palermo che ci liberarono proprio quel posto ai play off); ieri l’altro era stato l’improvviso, irripetibile e quasi casuale eurogol di Romulo nel derby con il Vicenza che (ri)spinse in A il Verona di Pecchia e Fusco che si stava sgonfiando. Per tacere del padre di tutti i jolly, quello che ti salva quando precipiti: il paracadute, inserito dalla Lega di serie A nel 2016 mentre il Verona stava scendendo in picchiata in B con Mandorlini e Delneri.

Sliding doors fortunate che hanno cambiato la vita a Setti, che altrimenti sarebbe probabilmente già da un pezzo un ex. Botte di culo, insomma, grazie alle quali il nostro presidente, che ama svendere, fare cassa e rompere sul nascere qualsiasi programmazione sportiva (mandando via o creando le condizioni per l’addio dei suoi migliori collaboratori: da Sogliano a Juric e D’Amico, fino a Tudor), riesce a resistere.  Un Setti talmente (e volutamente) debole da ammettere candidamente che lui non è in grado di tenere i giocatori che se ne vogliono andare (chiedete ai Pozzo cosa fanno nelle stesse condizioni…). Eppure Setti ha culo. Ma del resto lo diceva pure Napoleone: “Meglio avere generali fortunati che generali bravi”.

VINCA IL MIGLIORE? SPERIAMO DI NO

“Il calcio è un mistero senza fine bello” amava dire Gianni Brera, trasponendo al pallone una frase di Guido Gozzano sul fascino femminile. E in effetti, tornando alle nostre piccole cose, non c’è logica o ragione che possa spiegare la vittoria dello scalcagnato, e per lunghi tratti abulico, Verona contro il Sassuolo. Ma del resto il calcio è lo sport che per vocazione risponde meno alla logica e alla ragione. E così sono bastati cinque minuti con la bava alla bocca e una gentile concessione di Consigli (bravo però Gaich a calciare istintivamente verso la porta), per sovvertire l’andazzo di una partita a senso unico. Del resto il Paron Rocco sublimava l’irregolarità del football con una frase rimasta ai posteri: “Vinca il migliore? Ciò, speremo de no”.  

Teniamo viva la fiammella, ma come ha scritto Vighini per salvarsi servono le prestazioni, che ancora non si vedono. E quattro punti da recuperare restano tanti: con 9 partite da disputare, tra cui Napoli, Milan e Atalanta fuori casa e Inter al Bentegodi, significa che il margine di errore è quasi inesistente. Però la classifica si è accorciata e non c’è solo lo Spezia: ora anche il Lecce e perfino la Salernitana non possono dirsi fuori dalla bagarre. Questo potrebbe abbassare la quota salvezza, che però – ribadisco – oggi è complicato pensare sotto ai 35-36 punti. Significa che l’Hellas deve vincere 4 partite e rosicchiare un punto in altre due.

Oggi il Verona, per una serie di motivi (rosa, allenatori ecc), sembra la meno dotata tra quelle ancora in corsa. Del resto la Salernitana, per investimenti e parco giocatori, è squadra di fascia media, il Lecce fino a poco tempo fa era una delle sorprese e lo Spezia ha un allenatore solido e navigato.

E noi? Restiamo ancorati al fascino misterioso e irregolare del calcio e ci votiamo con cieca fede al pensiero del Paron Rocco…