“M’incateno e faccio lo sciopero della fame, devo far valere le mie ragioni”. Fin dal principio Emanuele Pesoli, difensore di Anagni, città dei Papi, l’aveva deciso: “Se mi condannano questa sarà la mia protesta” aveva confidato alla moglie, agli amici e al suo avvocato. Accusato nell’inchiesta “Last Bet” da Carlo Gervasoni di tentata combine (non riuscita) di Siena-Varese del 21 maggio 2011 ( finita 5-0), Pesoli è stato condannato in primo grado a 3 anni di squalifica. E per cinque giorni ha tenuto fede alla sua promessa: si è incatenato davanti alla Figc facendo lo sciopero della fame.
Ecco uno stralcio della deposizione di Gervasoni: ” Quanto a Siena-Varese del 21 maggio 2011 conclusasi 5-0 preciso quanto segue… Il Pesoli mi chiese se conoscevo qualcuno del Siena per verificare se loro fossero disposti a pareggiare con il Varese. Pertanto contattai Carobbio per verificare questa possibilità ma lui mi disse subito che non potevano fare nulla in quanto si trattava dell’ultima partita casalinga del Siena con Conte allenatore…”. La stessa partita è incriminata per la parallela tentata combine del presidente del Siena Mezzaroma che, secondo l’altro pentito Carobbio, chiese ai suoi di perdere ricevendo il rifiuto degli stessi giocatori e dello staff tecnico, in particolare Conte e il suo vice Stellini.
Aitante, belloccio, un po’ tamarro, Pesoli non è il tipo che penseresti incatenato e affamato per far valere delle ragioni. Lo immagineresti più “tronista” che pasionario, più vacuo che incazzato. Eppure le sue catene ci devono far riflettere su come funziona la giustizia sportiva in Italia. Il mio è un ragionamento prettamente formale, in punta di diritto, perché poi, se andiamo alla sostanza delle cose, metterei la mano sul fuoco su pochi giocatori al mondo (e Pesoli non fa parte di questi) e quel Siena-Varese è possibile sia stato tentativo di combine. Parliamo infatti della classica partita di fine stagione, col Siena già promosso in A e il Varese certo dei play off da quinto classificato e, piaccia o non piaccia, sappiamo (sebbene non si possa dimostrare) come funzionano le cose in Italia nel mondo del calcio.
Il mio ragionamento tuttavia è appunto prettamente formale rispetto alla presunta o reale colpevolezza di Pesoli & C. Ciò non significa che sia meno importante – in giurisprudenza spesso la forma è anche sostanza – perché va a incidere sul funzionamento della giustizia sportiva, opposto a quella ordinaria. Nel processo sportivo l’onere della prova è invertito: non è l’accusatore che deve dimostrare la colpevolezza dell’accusato, ma l’accusato che deve dimostrare di essere innocente. Non è un dettaglio, è tutto. Ergo: il diritto sportivo è permeato da un principio fondante (l’onere della prova, appunto) “giustizialista” e non “garantista”. E’ giusto questo se di mezzo ci sono persone, con una carriera, una famiglia e delle legittime ambizioni?
Altresì nel processo sportivo, come in quello civile (ma non penale), la pena è immediatamente esecutiva. Ma nel civile in ballo ci sono “solo” soldi, non la libertà di una persona (come nel penale, dove infatti per questo motivo la condanna è giustamente esecutiva solo dopo il terzo grado). E nello sportivo? Anche qua, per certi versi, a mio parere c’è di mezzo un principio di libertà (di lavorare, di carriera ecc). Pertanto dovrebbe funzionare come nel penale: condanna esecutiva dopo il Tnas del Coni.
La tara giustizialista del ordinamento sportivo, infine, non prevede l’obbligo, se richiesto dalla difesa, di contradditorio tra le parti in aula, che è a discrezione dell’accusa. Mi sembra un “vuoto giuridico”, una mancanza volutamente arbitraria, da giustizia sommaria. In un processo dove l’accusato parte già in svantaggio (appunto per l’onere della prova invertita rispetto alla giustizia ordinaria), non puoi mettergli al cappio pure l’impossibilità di difendersi da un pentito, il cui parere così facendo ha più valore.
Ecco, le catene di Pesoli non devono commuoverci. Le catene di Pesoli non devono nemmeno condizionare il nostro giudizio, troppo spesso “tifoso” e non da cittadini maturi e informati (voglio dire Conte non è un criminale perché juventino e Pesoli e Ferrari innocenti perché del Verona, e viceversa). Le catene di Pesoli dovrebbero semplicemente farci riflettere su queste oggettive storture giuridiche. E insinuare un dubbio: la giustizia è davvero giusta?
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