Dormo poco e male. Colpa dei bagordi? Ma va. Qualche donna? No, siete fuori strada. La causa è Maurizio Setti. Sì proprio lui, il presidente del Verona. “Ho un sogno” ha chiosato il 13 settembre davanti alle telecamere del “Vighini show”. Quale? “Vincere la Coppa Disciplina intitolata a Scirea, quale tifoseria più corretta d’Italia”.
Sarà stata la frase intrisa di gloriosa retorica – vabbé un tantino inflazionata dopo Martin Luther King (il quale peraltro barbaramente assassinato non può nemmeno chiedere i diritti d’autore), ma sempre efficace. Sarà, forse, l’attuale ascendenza di Carlos Castaneda e del suo libro su sciamani e spiritualità “Gli insegnamenti di Don Juan” che mi ha empaticamente aiutato a entrare nel mondo interiore di Mr Setti. Sarà che mi son chiesto: come si fa a vincere la Coppa Scirea? Quale che sia il motivo, da qualche notte a questa parte faccio sempre lo stesso sogno.
Sono allo stadio, ma non bevo la solita birretta prepartita, non incrocio le solite facce di chi è già più o meno sbronzo, al Nilla o al chioschetto del parcheggio non sento le consuete bestemmie e le urla sguaiate. Tutti bevono Ben Cola (la Coca Cola è troppo capitalista e non sia mai che incida sulla classifica fairplay) e sussurrano. Qualcuno prega, ognuno il suo dio, perché è chiaro siamo tutti tolleranti. Rimango perplesso, ma non ho tempo di pensare. Guadagno lentamente l’entrata e la perplessità muta in stupore: in curva sono tutti seduti, nessuno fuma, canne niente, battono tutti le mani come i boy scout e cantano come al grest. Sono solo famiglie o coppiette, quasi fosse una domenica pomeriggio scazzata sul lago, col plaid e il cuscinetto riposto sul seggiolino perfettamente numerato. Famiglie piccolo borghesi, quindi proletarie visti i tempi, ma non si dice che poi da fascisti e razzisti passiamo a essere etichettati bolscevichi (e anche quello non è in linea col nuovo fairplay pallonaro). Famiglie che coi loro eleganti cestini di vimini improvvisano un innocuo picnic sugli spalti, forse invidiose, o emulanti i vips che poco più in là – al nuovo ristorante sito sul parterre – consumano un romantico pasto giaccaincravattato con vista mozzafiato sul terreno del Bentegodi (che in inverno ghiaccia e sarà ancor più uno spettacolo della natura)
Comincia la partita, ma noto che la curva è mezza vuota, quelli “cattivi” li hanno lasciati fuori. Non sento cori di scherno,offensivi o sarcastici che siano, contro gli avversari, anzi vengo a sapere che siamo gemellati più o meno con tutti e che dopo la partita ci sarà un “terzo tempo” cogli amici tifosi ospiti. Un avversario rimane a terra per un semplice sgambetto, ecco mi dico: “adesso canteranno ironicamente morte”. No, non si fa più, anzi, qualche tifoso mostra viva preoccupazione, qualcuno addirittura piange. I giocatori di colore si applaudono (a prescindere), quelli bianchi si fischiano (ma lievemente, sia chiaro) se baruffano con quelli di colore, così anche Blatter, Platini e Thuram saranno contenti con la loro pelosa campagna “no racism” (mentre si gioca con palloni fabbricati da chissà chi, magari bambini schiavizzati, ma quello non è razzismo, perché non si vede e non si sente).
Ecco il triplice fischio dell’arbitro, ma prima c’è ancora tempo per qualche coro a favore dei terremotati, ma solo a telecamere e microfoni accesi, ché quando si spengono non conta, chissenefrega, continuiamo a costruire case di sabbia e acqua per risparmiare e speculare… Scendo le scale ed è cambiata pure la colonna sonora post-partita. Non più gli ACDC o i Guns n’ Roses, ma Jovanotti, perché “siamo tutti una grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa”. Insomma ci vogliamo tutti bene, mettiamo dentro tutto in un bel minestrone, buoni propositi e intenzioni.
Fine, buio, luce, cuore a tremila battiti. Il fatto è che quando arrivo a Jovanotti mi sveglio sempre di soprassalto (c’è un limite a tutto). Il libro di Castaneda è lì sul comodino, maledetta empatia da sciamani, le parole del Setti-King ancora mi ronzano intorno, e la risposta che cerco ahimé è lucidamente nell’aria: come si fa a vincere la Coppa Scirea? Bisogna forse… no non voglio saperlo, fa male. Bisogna forse… essere il Chievo?
“Ho un sogno” dice Setti. Ok caro presidente, ma il tuo sogno è il mio incubo, dannazione. Avete capito, adesso, perché dormo poco e male?
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