C’era una volta Carlo X di Borbone, il re di Francia che tentò di restaurare l’Ancien Régime dopo la Rivoluzione Francese. Uomo reazionario, fu capostipite de “realismo”. Chi erano i “realisti”? Coloro che difendevano il re e i suoi interessi con un intransigenza ben superiore al re stesso, da lì la locuzione “essere più realisti del re”. Un po’ come i mandorlinisti, mi vien da dire, più mandorliniani di Mandorlini. Il quale, rinvigorito dalla vittoria (la “sua” vittoria ancor più di quella del Verona) e dai soliti insulti piovutigli fuori Verona, sta riacquisendo la sua consueta arroganza e idiosincrasia per chiunque osi, anche lievemente, criticarlo (chiedere a Vitacchio o Fontana). Per fortuna, aggiungo io. Gliel’avevo pure augurato, sia pubblicamente che di persona: si sa, un Mandorlini antipatico e greve è la migliore garanzia di un Verona vincente. Il Mandorlini moderato e un po’ molle di inizio stagione, invece, non era un buon segno.
Aggiungo: il Mandorlini arrogante non fa rima col Mandorlini ottuso. Lui, in cuor suo e anche se non lo ammetterà mai (fa parte del gioco), da uomo di calcio consumato è il primo a sapere che la critica è più utile della piaggeria, o del “realismo”. La critica fa pensare, se la cogli con intelligenza. Ancora l’8 agosto mi domandavo (come si domandavano in tanti, ma sottotraccia): “E’ davvero il Verona di Mandorlini?”. Spiegavo che non lo era e concludevo: “Mandorlini come tutti gli emotivi necessita di sentirsi sulla pelle la creatura che ha in mano. Come? L’allenatore DEVE trasformare in “suo” ciò che adesso “suo” ancora non è”.
Be’, gradualmente il nuovo Verona di Setti e Sogliano, rivoluzionato nel mercato estivo, sta diventando il Verona di Mandorlini. Per questo la vittoria di Varese è in primis la vittoria del suo allenatore. Un allenatore che sta gradualmente trovando il “suo” gruppo, i “suoi” giocatori. Scelte scomode ma vincenti: fuori Bacinovic e dentro Laner, con Jorginho (il miglior centrocampista della B, statistiche alla mano) in regia. Fuori Fatic e dentro Martinho. Fuori Crespo e dentro Cacciatore. Giocatori di quantità (ma anche qualità) a far legna per i “geni”. Sciabola e fioretto. Conseguenza? L’equilibrio che pian piano arriva. La buona stella ha pure aiutato il mister (Bacinovic in nazionale ha fatto emergere Laner, Crespo infortunato ha dato spazio a Cacciatore nel suo ruolo naturale), ma la fortuna bisogna anche saperla cogliere. Non è scontato, ci vuole coraggio, specie quando sai (tanto per fare un esempio) che Bojinov e Crespo sono uomini del presidente e Bacinovic del diesse. Coraggio (ma anche buon senso) da mantenere nonostante, appunto, le pressioni “interne”.
Lo stesso coraggio che occorre nel muovere delle critiche, a costo di far storcere la bocca ai “realisti” del mandorlinismo, appunto più mandorliniani di Mandorlini. Loro legittimamente difendono il loro Re, forse però dimentichi di una cosa: il tifoso fa il tifoso, il giornalista informa e, se necessario, critica.
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