Sarebbe una farsa, se non fosse un “dramma” (sportivo). Perché di mezzo c’è il Verona e un grande equivoco di fondo, che sollevai già la scorsa estate: l’Hellas, per come è stato costruito, rispecchia il suo allenatore? La risposta, dopo 17 partite, è ancora nel limbo del sì, no, forse. E’ lo stesso Mandorlini, tra le righe, a darlo da intendere nel post partita di Brescia ad Alessandro Betteghella: “Questa è sempre una squadra che quando gioca mi piace, forse mi piace troppo, sarebbe meglio mi piacesse di meno, però abbiamo certe caratteristiche”. Ha ragione. Capire quali è fondamentale per cogliere i motivi del perché non siamo (ancora) esplosi.
Si sa, le squadre del tecnico ravennate hanno sempre avuto determinate qualità: ottima organizzazione difensiva, combattività e fisicità in mezzo al campo e ripartenze micidiali. Per non andare troppo lontano, l’anno scorso, a differenza di adesso, il Verona giocava molto in verticale e poco per vie orizzontali. Tachtsidis, oltre alle note doti di interditore, in serie B era il miglior centrocampista nel dare immediata profondità alla manovra. Jorginho probabilmente è il più forte giocatore del Verona, ma ha altre caratteristiche, sontuoso nel palleggio, meno nell’imbeccata. E stiamo parlando del regista, il ruolo nevralgico di una squadra. Non bastasse, come centravanti avevamo Ferrari, scarsetto sotto porta ma con pochi eguali nel difendere il pallone e far salire la squadra, in particolare Gomez ed Halfredsson, i quali risentono molto dell’assenza di Nicola. Cacia, il migliore attaccante della B, ha qualità diverse, è un po’ l’Ibrahimovic della cadetteria, accentra molto il gioco su di se, ripagando coi gol (non fosse per lui quanti punti avrebbe l’Hellas?) ma togliendo qualcosa ai compagni. L’ex Lecce “attacca” subito la porta e tiene lontano dalla stessa Juanito e Halfreddsson, che partono dal centrocampo e non fanno in tempo ad avanzare. L’argentino e l’islandese, così, preferiscono giocare anch’essi più sul palleggio, rinunciando alle loro caratteristiche di incursori.
Credo che molta della differenza tra quest’anno e lo scorso sia tutta qui. Evidentemente il Verona disegnato da Sogliano è un assembramento di palleggiatori che giocano per Cacia, da cui per forza di cose poi dipende. Ed è altrettanto evidente che Mandorlini ami giocare in modo diverso, meno sacchiano (possesso palla) e più trapattoniano (incursioni verso la porta); meno civettuolo e più garibaldino. Non è questione solo di modulo, ma innanzitutto di anima. Quella del Verona rispecchia quella del suo allenatore? Sì, no, forse. E’ l’eterno limbo. E’ il peccato originale che ci trasciniamo da luglio. E il meno colpevole di questo, come ho sempre scritto, è proprio Mandorlini.
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