Scartabellavo da Feltrinelli domenica mattina. Tra uno scaffale e l’altro trovo “Il club degli incorreggibili ottimisti”. Un buon libro per i molti menagrami che vedono ancora le nubi sul Verona. Lasciamoci andare a un po’ di sano ottimismo, fa bene e poi siamo a buon punto, alla faccia della scaramanzia. Il romanzo del francese Guenassia parla di politica, bistrot parigini, filosofia, rock and roll, bevute e amori. E soprattutto di sconfitti che ci credono ancora. Se ci credono loro, non vedo perché non possiamo noi, che siamo in pieno gioco. Poi sembra pure che Mandorlini al telefono renda più che in panchina e che i giocatori in campo non sentano particolarmente la mancanza dei suoi urlacci, anzi. E’ una battuta, ok c’è della malizia, ma passatemela senza fare le isteriche zitelle.
Nello scaffale a fianco trovo “Deja-vù”, onirico romanzo del britannico McCarthy, un Truman Show di attori consapevoli pagati per replicare gli stessi gesti ogni giorno per un’intera vita. Un po’ come il calcio italiano di fine stagione, con partite “strane” (come detto testualmente da Prisciantelli al “Vighini show”) e risultati già scritti. Dicevano che gli scandali, “scommessopoli” e “calciopoli” in primis, potessero mettere in riga presidenti, club e giocatori. Chissà forse è successo e non c’è più dolo, tuttavia la frittata, gira che ti rigira, è sempre quella ed è ciò che più conta. Partite da sonno, ritmi bassi, difese a maglie larghe e gol e risultati scontati. Dalla serie A ai dilettanti. Un deja-vù appunto, che si ripete ogni anno, frutto di un malcostume tipicamente italico.
Così fan tutti, si dice. Vero, infatti è il sistema – ergo i tanti soldi che girano nel calcio e le eventuali perdite che comporta una retrocessione – che rende macchiavellico e sparagnino il comportamento degli addetti ai lavori. Io oggi faccio un favore a te, domani tu lo rendi a me. Con buona pace dei tifosi e dell’etica sportiva (roba da simpatici idealisti, penseranno i padroni del vapore). Realpolitik da inciucio! Lo fanno al governo, non vedo perché dobbiamo reagire da verginelle violate se succede in campo. Ma non è solo una questione di soldi, capita anche in terza categoria e non è che in Inghilterra o Germania giochino gratis. Incidono anche le ambizioni sfrenate e la “mancanza della cultura della sconfitta”, per dirla con un’espressione cara ad Arrigo Sacchi.
Il problema di fondo, tuttavia, è circoscritto nella nostra italianità, permeati come siamo della cultura consociativa del “Francia o Spagna purché se magna”. Cultura che in politica unisce oggi PD e PDL e univa ieri il CAF (Craxi, Andreotti e Forlani) e il Pentapartito, e nel calcio sfocia in stucchevoli gentlemen’s agreement tra “regali” in campo e magari stretti giri di mercato fuori. Non è un reato, fino a prova contraria, solo uno sgradevole malcostume, per certi versi (visti gli interessi in ballo) comprensibile.
Non scandalizzatevi, o meglio, non ammorbatevi di sterile morale. Non serve a nulla. Scrivo “malcostume comprensibile” perché la FIGC per risolvere il problema dovrebbe innanzitutto comprenderlo. Parliamoci chiaro: “l’occasione fa l’uomo ladro” e mai proverbio fu più azzeccato. Per fermare “l’uomo ladro” bisogna togliergli la terra da sotto i piedi, dunque “l’occasione”. Come? Riformando tutti i campionati, sullo stile del basket e della pallavolo. Poche squadre per ogni girone (16 in A, 18 in B e 16 per ogni girone della C unica), con play off e play out estesi, in modo da ridurre il più possibile le squadre precocemente senza obiettivi.
Una riforma possibile tecnicamente, più ardua politicamente. Perché così fan tutti, dicevamo, ma soprattutto questo sistema sta bene a tutti. Tifosi esclusi, ovviamente, ma loro si sa contano meno di una nota a piè di pagina in una tesina universitaria.
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