“Re” Giorgio e “Re” Andrea. Accomunati e accompagnati da un destino. Tornare nel giro quando tutto (per loro) sembrava finito. Napolitano come Mandorlini, Mandorlini come Napolitano. Scusate l’azzardo, o il parallelismo volutamente esagerato, ma questo totoallenatore mi ha ricordato un po’ la recente corsa per il Quirinale. Romano Prodi? Impallinato. Franco Marini? Idem. Stefano Rodotà? Fuori dai giochi. Un po’ come Beppe Sannino e Devis Mangia, dati da tutti (me compreso) come i probabili nuovi allenatori del Verona e invece, alla resa dei conti, superati nei sondaggi di Via Torricelli e, in particolare, dalle intenzioni del ds Sean Sogliano (il vero fautore dell’operazione) da chi c’era già. Restaurazione? Nel caso di “Re” Giorgio sì, nel caso di Mandorlini le parole esatte sono continuità e meriti sportivi. Infatti le somiglianze finiscono qua, perché se a Roma sono stati i partiti ad andare col “cappello in mano” dal Capo dello Stato per la sua rielezione, consegnandogli di fatto le chiavi del Paese, in via Torricelli è stato Mandorlini a fare un gesto di umiltà. “La serie A è la mia occasione, sono pronto a rimettermi totalmente in discussione”, le apprezzabili parole del tecnico lunedì durante l’incontro. Parole che hanno fatto piacere a Sogliano, che la sera stessa, privatamente, affermava: “Mi dispiacerebbe non andare avanti con lui”.
Detto e fatto. Giusto così, diamo a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Fuor di metafora, se è vero che Setti e Sogliano hanno costruito una fuoriserie per la serie B, è altrettanto giusto, a bocce ferme, riconoscere all’allenatore di aver condotto in porto la nave. “In qualche modo” ha ribadito Setti al Vighini Show di una settimana fa. Certo, Mandorlini ha commesso più di un errore, Setti e Sogliano gli rimproverano, in particolare, la discontinuità nell’intensità degli allenamenti e gli infortuni muscolari (lo staff tecnico fa capo a lui), la testardaggine nel modulo, qualche favoritismo di troppo con alcuni calciatori e la gestione emotiva delle sconfitte (da qui le famose conferenze stampa di Sogliano). Tuttavia il tecnico si è ritrovato la scorsa estate una rosa forte, ma ampiamente rinnovata e soprattutto – per le caratteristiche dei suoi giocatori (alcuni fondamentali nelle idee societarie come Bacinovic, Rivas e Carrozza) – poco “mandorliniana”. Come se a un artigiano (perché questo è Mandorlini, allenatore vecchio stampo) avessero cambiato di punto in bianco gli strumenti in laboratorio.
Un equivoco, questo, durato una stagione intera e nato da una scelta – la conferma di Mandorlini – un anno fa più subìta che altro da Setti e Sogliano, appena insediatisi. Un equivoco che poteva generare disastri. Ciò non è successo perché, per la strada, Mandorlini e Sogliano si sono avvicinati. Il ds ha lasciato che l’allenatore disegnasse pian piano la “sua” squadra (fuori Bacinovic, Rivas, Carrozza, Grossi, Crespo e Bojinov), Mandorlini a sua volta ha accettato con umiltà il contributo deciso di Sogliano nella gestione del gruppo. Un equivoco, tuttavia, che non poteva ripresentarsi in serie A. Da qui le parole dure e nette di Setti al “Vighini Show” e i giorni di riflessione che la società si è concessa. Mandorlini ha recepito e ha fatto un passo indietro sia con Sogliano, che con Setti e il dg Gardini, i quali parallelamente gli hanno chiesto rassicurazioni sul suo comportamento fuori dal campo (lo impone la serie A ipermediatica di oggi) e nei suoi rapporti col club. Mandorlini – l’auspicio del patron – non deve essere un corpo a se stante rispetto alla società, con il suo marchio e la sua “corte” (composta anche da qualche giornalista amico), ma essere un tutt’uno. Rassicurazioni avute e fine delle ambiguità, si spera. Ora comincerà una nuova storia, più difficile (la serie A è davvero un altro sport), ma forse ancora più bella.
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