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PULIERO, SETTI E L’IDENTITA’ SCALIGERA

Ci sono assenze che fanno rumore.  “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?”, si domandava Nanni Moretti in Ecce Bombo. Roberto Puliero è di quelli che si sentono quando non ci sono. Le sue mancate radiocronache in questo avvio di campionato hanno scatenato un caso. E’ nato un gruppo su facebook (“Roberto Puliero per le radiocronache e le formazioni dell’Hellas”) che in poco tempo ha raccolto 7 mila “likes”. Lo stesso attore veronese, due settimane fa, ha rilasciato un’intervista al vetriolo accusando, in sostanza, la società di Setti di averlo emarginato. A stretto giro di posta la replica del responsabile comunicazione del Verona Fabrizio Cometti, che ha invece ribadito che per Puliero le porte rimangono aperte anche a Radio Hellas – il nuovo network del club di via Belgio che trasmette in esclusiva le partite dei gialloblù – e che non c’è nessun caso, ma solo dei tempi da rispettare dal momento che Puliero è sotto contratto con un altro network e la radio del club, appena nata, non è ancora pienamente strutturata. Un controcanto un po’ politichese e (ad oggi) smentito.

Infatti le porte Puliero sono rimaste chiuse e, anzi, la situazione pare sia volta al peggio per i migliaia di fan dell’attore veronese, per decenni voce narrante dell’Hellas Verona, dall’epoca pioneristica delle radio libere (gli anni ’70) a quella ipermediatica e bulimica del calcio televisivo di oggi. Giusto? Sbagliato?

Non è questo il punto. La scelta della società, che ha deciso di cedere i diritti a una “sua” radio e di avvalersi di nuovi collaboratori, è legittima. Com’è legittima la voglia del club di sperimentare nuovi format e linguaggi. E ben venga Radio Hellas, coi suoi giovani giornalisti, alcuni davvero bravi.  Si può financo discutere fino a notte, senza cavarne nulla peraltro, se Puliero fosse superato o meno (di sicuro è due spanne sopra a chi l’ha sostituito, ma tant’è…). Tuttavia la faccenda avrebbe potuto essere gestita meglio. Con più signorilità e anche, perché no (per i cinici), malizia. L’impressione che emerge dall’esterno, infatti, è che la società fin dall’inizio non credesse più in Puliero, ma che non si sia curata troppo (prima che la cosa diventasse un caso) di giustificare la sua “rimozione” all’opinione pubblica. Quasi che Roberto fosse uno qualunque e non un’icona di Verona e provincia. Un po’ come non si è preoccupata, a suo tempo, di spiegare l’accordo Nike e il motivo delle nuove maglie “infedeli” nelle tonalità del gialloblù. Simile noncuranza nell’affidare a un’agenzia di marketing non veronese la campagna abbonamenti degli opliti greci, con buona pace dei simboli cittadini (e di tutta la polemica degli anni scorsi sui simboli e colori).

L’impressione è che la società, bravissima sul piano manageriale e sportivo, pecchi ancora nel rapporto con la “piazza”. Per scarsa conoscenza della stessa, in primis. Aggiungici che Setti, da tipico self made man, è uomo risoluto che per indole non ama troppo le mediazioni. Tuttavia una squadra di calcio non è una normale azienda. Nel calcio devi rendere conto anche a un popolo di tifosi che, a differenza del normale consumatore di qualsiasi altro mercato, porta con sé un carico di passioni. E Verona è particolare, più iconoclasta e conservatrice (e non  sempre è un difetto) che fighetta e modernista. Non è Milano, insomma, dove il “kit del tifoso” può confondersi facilmente col fu kit di Forza Italia di berlusconiana memoria. Provinciale? Sì, fieramente e nel senso nobile della parola (quindi localista e identitaria).

Setti affermò a suo tempo di volere “sprovincializzarci”. Tifo per lui se questo significa modernizzare la struttura del club, il rapporto coi media e le istituzioni locali (battaglia coraggiosa nella città dove qualsiasi potere, anche giornalistico, soffre delle sindrome da “Montecchi e Capuleti” tra invidie, prebende e primedonne). Lo appoggio se l’obiettivo è legittimarci a livello nazionale, dove tuttora siamo poco considerati se non, peggio, discriminati. Se questo vuol dire, al contrario, sottovalutare (anche in buonafede ed è il caso di Setti) l’importanza di certi “simboli” della nostra provincialità, be’ permettetemi garbatamente di dissentire.  Il Verona è l’unica provinciale a essersi fregiata di uno scudetto ed è quella che ha tuttora il maggior numero di abbonati. Ergo è la provinciale più importante d’Italia. Ed è su questo orgoglio da primato e sentimento di unicità che va costruita l’immagine del club. Anche nei simboli. Altrimenti il rischio è di annacquare asetticamente nel mare magnum dell’”uno tra i tanti”. Invece “meglio re in Gallia che schiavi a Roma” (cit). Se Setti lo capisce è seduto su una miniera d’oro.

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