Sono finiti gli aggettivi e pure i sostantivi per descrivere le gesta di questo Verona. E siccome non sono Gianni Brera e nemmeno Gianni Clerici, non sarò certo io a inventarne di nuovi. Mi bastano quattro parole: organizzazione, qualità, esperienza, gruppo. E piccoli particolari che, forse, danno l’idea di come queste componenti – spesso retoricamente inflazionate – siano poco astratte e molto calzanti nel Verona di Mandorlini.
Agostini che a fine partita rimbrotta Jorginho per essersi scordato Conti nel 2-1 è la fotografia perfetta delle ambizioni di questa squadra. E di quanto incidono negli equilibri di spogliatoio i senatori. “Abbiamo vinto? Non importa, lì dovevi marcare” sembrava rimproverare il vecchio Ago al giovane campioncino brasiliano. L’episodio è confortante: scordatevi una volta per tutte che questo gruppo si culli sugli allori e molli. La rabbia perpetua dei vincenti c’è. Aggiungici l’esempio dei vari Toni, Maietta e Donati, leader riconosciuti. Merito della loro personalità e di Mandorlini che a Verona ha sempre individuato i “suoi” fedelissimi a prescindere dal valore tecnico assoluto e dalle chiacchiere di noi mass media (in questo il mister mi ricorda Lippi).
Sulla qualità poco da aggiungere rispetto a quanto detto le scorse volte. Ne abbiamo in abbondanza e oggi ce l’ha confermato Jankovic, che a Verona sinora ha fatto poco, ma bene (il gol di oggi e l’assist a Toni col Milan sono due perle). La rosa a disposizione di Mandorlini ha tra i suoi petali tre campioni puri (Toni, Jorginho e Iturbe), un Romulo che poco ci manca, un bravo portiere, tanti talenti forse discontinui ma efficaci (Jankovic, Martinho, Gomez) e giocatori che se stanno bene hanno il loro peso specifico (Donati e Hallfredsson). Altri petali fiorenti (Sala, Cirigliano e Longo), per ovvi motivi, hanno trovato poco spazio, ma credo giocherebbero titolari in almeno altre sei-sette squadre di A.
Sull’organizzazione, anche qui mi devo ripetere, merito di Mandorlini e del suo staff. Con una postilla: il Verona anziché calare, cresce, con buona pace degli autoreferenziali media nazionali che continuano a minimizzare parlando di entusiasmo (che palle!). Cresce perché, fermo restando la qualità, ha puntellato l’organizzazione. La fase difensiva migliora di partita in partita e credo non sia un caso avendo il mister finalmente potuto schierare per due partite consecutive la stessa coppia centrale. Il Verona oggi ha sofferto poco o niente anche quando è indietreggiato e ha fatto manovrare il Cagliari, che ha segnato al 90’ per uno svarione individuale dettato dalla poca concentrazione di Jorginho. Mandorlini ha spiegato la forza del suo Verona mercoledì sera nel post Sampdoria, con una frase che ai più è passata inosservata: “In ogni partita sappiamo che dobbiamo avere pazienza, non importa quando segniamo, noi dobbiamo continuare a seguire i nostri princìpi di gioco”. Il tutto asserito con una saggia pacatezza da monaco tibetano, che denota una serenità che mancava al mister lo scorso anno e ritrovata grazie alla piena fiducia estiva di Setti e Sogliano.
Fiducia ben riposta. Storico ein plein al Bentegodi (6 su 6), 7 vittorie, 1 pari e 3 sconfitte (ma con Roma, Juventus e Inter) in undici giornate, quinto posto a +7 dal settimo. Cifre da capogiro per una neopromossa. Sono realista e rimango della mia: se parlare di salvezza è ridicolo, aspetterei però a scomodare sogni europei. Siamo da parte sinistra della classifica, dunque da primi dieci posti, questo sì, ma la Fiorentina rimane superiore, forse anche la Lazio e lo stesso Milan può risalire. Non perdiamo di vista la nostra dimensione, anche se mi sovvengono le parole di Nico Penzo al Vighini Show di due settimane fa: “Ci sono delle analogie tra questo Verona e il primo di Bagnoli in A, quello del 1982-83 (che da neopromosso conquistò la zona Uefa, ndr)”. E se lo dice lui…
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