Il Milan disinveste e pensa soprattutto “al pareggio di bilancio” (Galliani dixit). Intanto alla corte di Berlusconi, in tutt’altre faccende affaccendato, scoppia la guerra tra la figlia Barbara e lo stesso Galliani. “Battaglie da retroguardia” le ha definite Mario Sconcerti sul Corriere della Sera, chiedendosi addirittura se il Milan esista ancora. Esiste in Lega, dove l’amministratore delegato rossonero sa ancora far valere tutto il peso di Berlusconi e di Fininvest nella battaglia per i diritti televisivi. Sull’altra sponda dei Navigli, Moratti cede l’Inter e il nuovo proprietario indonesiano Thohir dichiara di puntare sul low cost dei giovani promettenti. La Juve invece è sempre la Juve, potente e ricca, ma Agnelli Junior non è zio Gianni e nemmeno papà Umberto, Marotta non è Moggi e la Famiglia (leggi John Elkann) sembra più interessata a scalare il Corriere della Sera che la serie A. Avanza il centro-sud: la Roma coi dollari americani, il Napoli con un De Laurentis che ha eletto il pallone ad attività primaria e la stessa Fiorentina di Della Valle, sempre più intimo nei salotti del capitalismo italiano (leggi ancora la battaglia per le quote di via Solferino).
Tuttavia la sensazione è che l’attuale stagione calcistica segni la transizione tra vecchio e nuovo potere calcistico, quindi una momentanea assenza di padroni, con conseguenti possibili benefici anche sulla classe arbitrale. Lo si evince anche dalla battaglia in Lega per la “torta” dei diritti tv, con la storica “Santa Alleanza” tra Milan e Juventus che è un retaggio del passato e con le big divise: da una parte Milan, Napoli e Lazio, dall’altra Juventus, Inter, Roma e Fiorentina (e anche Verona).
Chissà che questo (momentaneo) vuoto di potere non disegni un campionato nel quale valgano esclusivamente i meriti sul campo e non le annose, quanto malcelate, logiche politiche. Chissà, soprattutto, che di questa lieve anarchia non ne possa approfittare anche l’ambizioso Verona di Setti. L’alta quota è più salubre: che ci facciano restare?
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