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SETTI, MANDORLINI (E SOGLIANO) E IL FUTURO DEL VERONA

Chiamatelo gioco delle parti. Setti che di tanto in tanto lancia stoccatine nemmeno troppo vellutate a Mandorlini, che pur col sorriso risponde con del pepe nell’insalata della diplomazia. In mezzo al guado Sogliano, il meno personaggio dei tre, figlio d’arte, ex calciatore, uomo di calcio a tutto tondo e mediatore tra le ragioni aziendali del presidente e quelle “di campo” dell’allenatore. Mediatore nato Sean, perché ds atipico, leale, per cui conta di più il risultato finale dell’azienda che la vanagloria personale – dunque dovesse andarsene sarà fondamentale sostituirlo bene (per intenderci non con personaggi alla Lo Monaco). Eppure nel vivace rapporto dialettico tra l’imprenditore emiliano e il tecnico romagnolo si delinea quello che sarà il futuro del Verona. Ma andiamo con ordine.

L’ultimo scambio di battute tra presidente e allenatore si è avuto nel dopo Verona-Lazio. In diretta tv e streaming per giunta, roba da far impallidire Bersani e gli sherpa di Grillo nel famoso (e bizzarro) video di inizio legislatura. Potenza della rete si dirà, o ambizioni da Pulitzer, fatto sta che Setti  si è travestito da giornalista e ha incalzato pubblicamente l’allenatore: “Non crede mister che potremmo avere qualche punto in più visto anche il tipo di campionato di quest’anno?”. Mandorlini  ha fatto buon visto a cattivo gioco, ma ha risposto per le rime: “Sì, ma potremmo averne anche di meno”. Poi sorridendo alla platea dei giornalisti presenti: “Lui (Setti, nda) non è mai contento”. Qualche giorno prima l’industriale di Carpi in un’ intervista a L’Arena aveva sottolineato pure la mancata valorizzazione di alcuni giovani patrimonio del club (Cirigliano, Bianchetti e Sala). Anche qui, seppur indirettamente, Mandorlini ha risposto ammettendo che su alcuni veterani, vedi Gomez ed Hallfredsson, “mi riparo nelle situazioni di incertezza”.  

La storia del calcio è piena di dirompenti dialettiche tra presidenti e allenatori e Setti e Mandorlini hanno i profili adatti per rinverdire la tradizione. Per niente cardinalizi, esuberanti e con un ego dominante, i due sono condannati alla solitudine dei numeri primi. Entrambi li definirei “anarchici adattati”. “Anarchici” di indole (Setti: “Non mi piace la Lega Calcio, lì si chiacchiera e non si fa”; Mandorlini: “Ho preso tante multe perché mi chiamo Mandorlini e alleno il Verona”), “adattati” per forza di cose – e malgrado loro – al sistema.  Eppure i  due non potrebbero essere più diversi nel modo di pensare.

La loro mentalità, infatti, viaggia in parallelo. Setti ha un’intelligenza imprenditoriale, vede il calcio come un mercato e il club che presiede come un’azienda con una precisa mission, che ai risultati agonistici deve coniugare la valorizzazione del proprio patrimonio. Ci piaccia o non ci piaccia (ai romantici come me non piace) ha ragione, perché questo è il solo modo di far calcio oggi in una società media come il Verona. Così i giovani calciatori di talento per lui sono “materie grezze” su cui creare il “prodotto” e da cui trarre profitto da reinvestire. L’allenatore nella sua testa dovrebbe essere l’operaio specializzato che con le sue qualità esegue la trasformazione nel “ciclo produttivo” (il campionato). Dico dovrebbe, perché poi tra il dire e il fare esiste ancora (e per fortuna) il calcio inteso come sport e quindi smentitore di qualsiasi ratio presente nelle aziende normali, permeato com’è di suoi sottili equilibri e illogicità (dalla gestione del gruppo, ai risultati del campo). Setti è persona acuta e ne è consapevole, per questo ha assunto e dato pieni poteri sportivi a Sogliano, come scritto sopra non solo un direttore sportivo ma il mediatore tra la visione a “lungo respiro” del presidente e i risultati sportivi immediati.

Che poi son quelli che guarda qualsiasi allenatore di “pura razza”. E Mandorlini è di questa scuola, un tecnico vecchio stampo, concentrato esclusivamente sul campo e lo spogliatoio e poco su ciò che succede sopra la sua testa. Non è insomma per natura il tipico allenatore aziendalista, l’operaio specializzato che Setti vorrebbe, ma (come scrissi nell’estate del 2012) più un artigiano fai da te, che ama costruire e si esprime al meglio senza troppi lacci e lacciuoli governativi.

Sono due visioni diverse del calcio e che probabilmente rimarranno diverse in eterno. Sogliano sinora le ha mediate abilmente e i risultati hanno cementificato il compromesso. Il resto lo ha fatto un gruppo ancora mandorliniano nell’ossatura, ma che per motivi di mercato (Jorginho e forse Hallfredsson) o anagrafici non sarà eterno. In quest’ottica va intesa la risposta di Setti a Vighini sul futuro del mister: “Io spero che Mandorlini rimanga qui per sempre, ma il progetto della società è puntare sui giovani”. La sensazione perciò è che, qualunque cosa succeda, la partita del rinnovo del contratto dell’allenatore si giocherà più sui progetti futuri che sui risultati attuali.

A luglio comunque comincerà un nuovo ciclo, le cui basi verranno gettate già nell’imminente mercato di gennaio. Mandorlini in questo anno e mezzo del nuovo corso societario è stato bravo ad adattarsi senza snaturarsi, Setti ad applicare un pragmatico “riformismo” al suo ideale di fondo. In attesa di capire chi sarà il ds (in questo gioco delle parti figura determinante) e se è vero che l’acqua passata non macina più, i due non dimentichino come sono nate le recenti fortune del Verona.

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